[Pagina precedente]...omia grave, e vagamente malinconica, dal quale non potei staccare gli occhi per un pezzo quando l'avvocato m'ebbe detto ch'era un Peruviano; poiché mi pareva che la forma oblunga del capo e la grande bocca e la barba rada rispondessero alle descrizioni che si leggon nelle storie di quegli Incas misteriosi, che m'avevan sempre tormentato la fantasia. Me lo raffiguravo vestito di lana rossa, con una benda intorno al capo e gli orecchini dorati, inteso a segnare i suoi pensieri coi fili variopinti d'una cordicella a nodi, e vedevo sfolgorare dietro di lui le gigantesche statue d'oro del palazzo imperiale di Cuzco, circondato di giardini scintillanti di frutti e di fiori d'oro. Ed era invece il proprietario d'una fabbrica di zolfanelli di Lima, che discorreva prosaicamente della sua industria col commensale che gli stava di faccia.
Alle frutta le conversazioni s'animarono un poco. Sentii che il Comandante raccontava un'avventura di quando era capitano di bastimento a vela; un'avventura il cui scioglimento, a giudicare dal gesto, doveva essere una solenne distribuzione di scapaccioni fatta da lui in non so che porto straniero a non so quale mascarson, che gli aveva mancato di rispetto. In fondo alla tavola gli Argentini provocarono più volte delle risate sonore pigliandosi spasso, a quanto mi parve, d'un commesso viaggiatore francese dai capelli grigi, il solito commesso che si trova in tutti i piroscafi, il quale rispondeva con la disinvoltura imperturbabile d'un vecchio monello, profondendo le spiritosaggini del solito prontuario, che tutti i suoi colleghi hanno a memoria. Mentre servivano il caffè, il piroscafo fece due o tre mosse più forti, e allora s'alzò da tavola, guardata da tutti, una bella signora argentina, che non avevo ancora veduta; ma essendosene andata barcollando, sorretta da suo marito, non mi potei accertare della "grazia maravigliosa d'andatura" che gli scrittori di viaggi attribuiscono alle donne del suo paese. Mi potei però accorgere, dalla curiosità ammirativa di tutti gli sguardi, che già le doveva esser stato riconosciuto il primato estetico tra le signore del Galileo, e che difficilmente sarebbe stata scoronata nel corso del viaggio. Poco dopo tutti gli altri s'alzarono, tornarono a guardarsi da capo a piedi, con la coda dell'occhio, come all'entrata, e poi si sparpagliarono a poppa, nel fumatoio e per i camerini, mostrando già sul viso la noia delle sei ore eterne che li dividevano dal pranzo.
Io però non m'annoiavo: un sentimento mi riempiva l'anima, nuovo e piacevolissimo, che non si può provare in nessun luogo, in nessuna condizione al mondo, fuorché sopra un piroscafo che attraversi un oceano: il sentimento d'un'assoluta libertà dello spirito. Potevo dire, insomma: per venti giorni, sono diviso dall'universo abitato, son sicuro di non vedere altri miei simili che quelli che ho intorno, i quali sono per me tutto il genere umano; per venti giorni sono sciolto d'ogni dovere e d'ogni servitù sociale, e certo che nessun dolore mi verrà dal mondo esteriore, perché non mi può giungere nessuna notizia da nessuna parte. Mille sventure possono minacciarmi, nessuna mi può raggiungere. L'Europa si può sconvolgere, io non lo saprò. Venti giorni di orizzonte senza limite, di meditazione senza disturbo, di pace senza timore, di ozio senza rimorso. Un lungo volo senza fatica a traverso a un deserto sterminato, davanti a uno spettacolo sublime, dentro un'aria purissima, verso un mondo sconosciuto, in mezzo a gente che non mi conosce. Prigioniero in un'isola, è vero; ma in un'isola che mi porta e che mi serve, che guizza sotto i miei piedi, e mi trasfonde nel sangue il fremito della sua vita, ed è un frammento palpitante della mia patria.
L'ITALIA A BORDO
E poi, come ricetta contro la noia, avevo una lettera di presentazione per il Commissario, scritta da un amico di Genova, il quale lo pregava di facilitarmi le osservazioni che avrei voluto fare sul Galileo. Prima che s'arrivasse a Gibilterra, gli andai a far visita. Egli stava di casa in coperta, vicino all'ufficio del Comandante, in uno dei due lunghi passaggi che vanno da poppa a prua; al quale, perché v'era un andirivieni continuo di gente, gli ufficiali avevano posto il nome di Corso Roma. Lo trovai in un camerino bianco, tutto ornato di ritratti fotografici, e pieno di piccoli oggetti di comodità e di ninnoli, che gli davano un'aria di nido domestico, affatto diversa da quella delle nostre celle nude di locanda. Era un bel giovanotto genovese, biondo, che vestiva con grazia la divisa modesta d'ufficiale di bordo, e lasciava trasparire dalla serietà del viso regolare e immobile un'acuta facoltà d'osservazione e un fino senso comico. Mi condusse subito nel suo ufficio, posto dall'altra parte del Corso. Oltre che amministratore e depositario della posta, egli era sul piroscafo un quissimile di pretore, che vegliava sul buon ordine e giudicava le liti che potessero insorgere tra i passeggieri di terza classe.
Bastò uno scambio di poche parole a farmi capire che avrei avuto nel viaggio un assai più vasto e nuovo campo d'osservazione di quello che mi fossi immaginato. Per effetto dell'agglomerazione in cui erano costretti a vivere, e delle grandi differenze d'indole e di costumi che passavan fra di loro, ed anche dello stato d'animo straordinario nel quale si trovavano, quella moltitudine di emigranti dava luogo, nel corso di pochi giorni, a una molteplicità e varietà di casi psicologici e di fatti, quale appena suol darla a terra, nello spazio di un anno, una popolazione quattro volte maggiore. Nei primi giorni non me ne sarei potuto fare un'idea. Bisognava aspettare che si fossero un poco assettati e ritrovati, che fossero nate le relazioni, le simpatie, le gelosie, i contrasti, e che si fosse elevata la temperatura. Occorreva lasciare ai capi originali il tempo d'acquistare la loro piccola celebrità , ai capipopolo di formarsi il loro uditorio, alle "bellezze" di essere conosciute, ai pettegoli dei due sessi, di trovar materiale da lavorare e da rivendere: poi la vita di bordo avrebbe preso il carattere e l'andamento della vita di un grosso villaggio, dove tutti gli abitanti, oziosi per necessità o per abito, passassero la giornata per le strade e mangiassero tutti insieme sulla piazza. Io potevo dunque immaginare che razza di cronaca quotidiana ci sarebbe stata. E dicendo questo, il Commissario scrollava il capo con un leggiero sorriso, che faceva indovinare i tesori di pazienza ch'ei doveva spendere, e la stranezza delle scene a cui gli toccava d'assistere.
Aveva sul tavolino un monte di passaporti, di cui mi mostrò lo spoglio. Il Galileo portava mille e seicento passeggieri di terza classe, dei quali più di quattrocento tra donne e bambini: non compresi nel numero gli uomini dell'equipaggio, che toccavan quasi i duecento. Tutti i posti erano occupati. La maggior parte degli emigranti, come sempre, provenivano dall'Italia alta, e otto su dieci dalla campagna. Molti Valsusini, Friulani, agricoltori della bassa Lombardia e dell'alta Valtellina: dei contadini d'Alba e d'Alessandria che andavano all'Argentina non per altro che per la mietitura, ossia per metter da parte trecento lire in tre mesi, navigando quaranta giorni. Molti della Val di Sesia, molti pure di que' bei paesi che fanno corona ai nostri laghi, così belli che pare non possa venir in mente a nessuno d'abbandonarli: tessitori di Como, famigli d'Intra, segantini del Veronese. Della Liguria il contingente solito, dato in massima parte dai circondari d'Albenga, di Savona e di Chiavari, diviso in brigatelle, spesate del viaggio da un agente che le accompagna, al quale si obbligano di pagare una certa somma in America, entro un tempo convenuto. Fra questi c'erano parecchie di quelle nerborute portatrici d'ardesie di Cogorno, che possono giocar di forza coi maschi più vigorosi. Di Toscani un piccolo numero: qualche lavoratore d'alabastro di Volterra, fabbricatori di figurine di Lucca, agricoltori dei dintorni di Firenzuola, qualcuno dei quali, come accade spesso, avrebbe forse un giorno smesso la zappa per fare il suonatore ambulante. C'erano dei suonatori d'arpa e di violino della Basilicata e dell'Abruzzo, e di quei famosi calderai, che vanno a far sonare la loro incudine in tutte le parti del mondo. Delle province meridionali i più erano pecorari e caprari del litorale dell'Adriatico, particolarmente della terra di Barletta, e molti cafoni di quel di Catanzaro e di Cosenza. Poi dei merciaiuoli girovaghi napoletani; degli speculatori che, per cansare il dazio d'importazione, portavano in America della paglia greggia, che avrebbero lavorata là ; calzolai e sarti della Garfagnana, sterratori del Biellese, campagnuoli dell'isola d'Ustica. In somma, fame e coraggio di tutte le province e di tutte le professioni, ed anche molti affamati senza professione, di quelli aspiranti ad impieghi indeterminati, che vanno alla caccia della fortuna con gli occhi bendati e con le mani ciondoloni, e son la parte più malsana e men fortunata dell'emigrazione. Delle donne il numero maggiore avevan con sé la famiglia; ma molte pure erano sole, o non accompagnate che da un'amica; e fra queste, parecchie liguri, che andavano a cercar servizio come cuoche o cameriere; altre che andavano a cercar marito, allettate dalla minor concorrenza con cui avrebbero avuto a lottare nel nuovo mondo; e alcune che emigravano con uno scopo più largo e più facile. A tutti questi italiani eran mescolati degli Svizzeri, qualche Austriaco, pochi Francesi di Provenza. Quasi tutti avevan per meta l'Argentina, un piccolo numero l'Uruguay, pochissimi le repubbliche della costa del Pacifico. Qualcuno, anche, non sapeva bene dove sarebbe andato: nel continente americano, senz'altro: arrivato là , avrebbe visto. C'era un frate che andava alla Terra del Fuoco.
La compagnia, dunque, era svariatissima, e prometteva bene. E non era soltanto un grosso villaggio, come m'osservava il Commissario; ma un piccolo Stato. Nella terza classe c'era il popolo, la borghesia nella seconda, nella prima l'aristocrazia; il comandante e gli ufficiali superiori rappresentavano il Governo; il Commissario, la magistratura; e della stampa poteva fare ufficio il registro dei reclami e dei complimenti aperto nella sala da pranzo; oltre che i passeggieri stessi, qualche volta, non sapendo che far altro per ammazzare la noia, fondavano un giornale quotidiano. Ne vedrà e ne sentirà di tutti i generi, - mi disse, - e la commedia crescerà d'attrattiva fino all'ultimo giorno. - Intanto mi preparò alla rappresentazione, mostrandomi alcuni documenti curiosissimi d'ingenuità contadinesca, delle lettere di raccomandazione che certi emigranti avevan consegnate a lui e al Comandante, scritte in favor loro da parenti, o da altre persone sconosciutissime all'uno e all'altro. - Signor Comandante del bastimento, le raccomando tanto il tal dei tali, nativo del mio paese, bravo agricoltore, ottimo padre di famiglia, mio buon amico... - Alcuni avevano di queste lettere, firmate da Tizi ignoti, perfino per alte autorità di Montevideo e di Buenos Ayres. Gli erano anche state presentate da passeggiere bellocce e sorridenti delle commendatizie evidentemente apocrife d'un padre o d'uno zio, come un modo indiretto di domandar protezione, lasciando capire che non sarebbero state sorde alla voce della gratitudine. — Le raccomando con tutto il cuore mia sorella, che essendo giovane e sola in mezzo a tanta gente, potrebbe trovarsi esposta... - E fin dal primo giorno aveva trovato nel suo ufficio un bigliettino scarabocchiato col lapis, senza nome; una dichiarazione cieca di simpatia, con l'espressione d'una vaga speranza che lui avrebbe riconosciuto il viso di lei in mezzo a tutti gli altri, dal sentimento; ma che per carità non dicesse nulla, che custodisse il segreto e perdonasse l'imprudenza. Amore, alma del mondo. Questo era il grand'affare in quei lunghi viaggi transatlantici. O fosse per effetto dell'ozio, che lasciava troppo libere le fantasie g...
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