[Pagina precedente]... Colle, patria del medesimo Campana, fu murata una commodissima e bella casa col disegno del detto Giuliano; il quale poco appresso cominciò per Messer Ugolino Grifoni, monsignor d'Altopascio, un palazzo a San Miniato al Tedesco che fu cosa magnifica. Et a Ser Giovanni Conti, uno de' segretarii del detto signor duca Cosimo, acconciò, con molti belli e commodi ornamenti, la casa di Firenze; ma ben è vero che nel fare le due finestre inginocchiate, le quali rispondono in sulla strada, uscì Giuliano del modo suo ordinario, e le tritò tanto con risalti, mensoline e rotti, ch'elle tengono più della maniera tedesca che dell'antica e moderna, vera e buona. E nel vero le cose d'architettura vogliono essere maschie, sode e semplici, et arricchite poi dalla grazia del disegno e da un sugetto vario nella composizione, che non alteri col poco o col troppo, né l'ordine dell'architettura, né la vista di chi intende.
Intanto, essendo tornato Baccio Bandinelli da Roma, dove aveva finito le sepolture di Leone e Clemente, persuase al signor Duca Cosimo, allora giovinetto, che facesse nella sala grande del palazzo ducale una facciata in testa tutta piena di colonne e nicchie, con un ordine di ricche statue di marmo, la qual facciata rispondesse con finestre di marmo e macigni in piazza. A che fare risoluto il Duca, mise mano il Bandinello a fare il disegno, ma trovato, come si è detto nella vita del Cronaca, che la detta sala era fuor di squadra, e non avendo mai dato opera all'architettura il Bandinello, come quello che la stimava arte di poco valore e si faceva maraviglia e rideva di chi le dava opera, veduta la difficultà di quest'opera, fu forzato conferire il suo disegno con Giuliano e pregarlo che come architettore gli guidasse quell'opera. E così, messi in opera tutti gli scarpellini et intagliatori di Santa Maria del Fiore, si diede principio alla fabrica, risoluto il Bandinello, col consiglio di Giuliano, di far che quell'opera andasse fuor di squadra, secondando in parte la muraglia. Onde avenne che gli bisognò fare tutte le pietre con le quadrature bieche, e con molta fatica condurle col pifferello, ch'è uno strumento d'una squadra zoppa. Il che diede tanto disgrazia all'opera che, come si dirà nella vita del Bandinello, è stato difficile ridurla in modo che ella accompagni l'altre cose. La qual cosa non sarebbe avenuta se il Bandinello avesse posseduto le cose d'architettura come egli possedeva quelle della scultura; per non dir nulla che le nicchie grandi, dove sono dentro nelle rivolte verso le facciate, riuscivano nane, e non senza difetto quella del mezzo, come si dirà nella vita di detto Bandinello. Quest'opera, dopo esservisi lavorato dieci anni, fu messa da canto, e così si è stata qualche tempo. Vero è che le pietre scorniciate e le colonne così di pietra del fossato come quelle di marmo furono condotte con diligenza grandissima dagli scarpellini et intagliatori per cura di Giuliano, e dopo tanto ben murate, che non è possibile vedere le più belle commettiture, e quadre tutte. Nel che fare si può Giuliano celebrare per eccellentissimo; e quest'opera, come si dirà a suo luogo, fu finita in cinque mesi, con una aggiunta, da Giorgio Vasari aretino. Giuliano intanto, non lasciando la bottega, attendeva insieme con i fratelli a fare di molte opere di quadro e d'intaglio, et a far tirare inanzi il pavimento di Santa Maria del Fiore. Nel qual luogo, perché si trovava capomaestro et architettore, fu ricerco dal medesimo Bandinello di far piante in disegno e modelli di legno sopra alcune fantasie di figure et altri ornamenti, per condurre di marmo l'altar maggiore di detta Santa Maria del Fiore. Il che Giuliano fece volentieri, come buonaria persona e da bene, e come quello che tanto si dilettava dell'architettura, quanto la spregiava il Bandinello; essendo anco a ciò tirato dalle promesse d'utili e d'onori, che esso Bandinello largamente faceva. Giuliano dunque, messo mano al detto modello, lo ridusse assai conforme a quello che già era semplicemente stato ordinato dal Brunellesco, salvo che Giuliano lo fece più ricco, radoppiando con le colonne l'arco disopra, il quale condusse a fine. Essendo poi questo modello et insieme molti disegni portato dal Bandinello al duca Cosimo, sua eccellenza illustrissima si risolvé con animo regio a fare non pure l'altare, ma ancora l'ornamento di marmo, che va intorno al coro, secondo che faceva l'ordine vecchio a otto faccie, con quegli ornamenti ricchi con i quali è stato poi condotto, conforme alla grandezza e magnificenza di quel tempio. Onde Giuliano con l'intervento del Bandinello diede principio a detto coro; senza alterar altro che l'entrata principale di quello, la qual è dirimpetto al detto altare, e la quale egli volle che fusse a punto et avesse il medesimo arco et ornamento che il proprio altare. Fece parimente due altri archi simili, che vengono con l'entrata e l'altare a far croce; e questi per due pergami come aveva anco il vecchio, per la musica et altri bisogni del coro e dell'altare. Fece in questo coro Giuliano un ordine ionico attorno all'otto faccie; et in ogni angolo pose un pilastro che si ripiega la metà , et in ogni faccia uno; e perché diminuiva al punto ogni pilastro che voltava al centro, veniva di dentro strettissimo e ripiegato, e dalla banda di fuori acuto e largo. La quale invenzione non fu molto lodata, né approvata per cosa bella di chi ha giudizio, atteso che in un'opera di tanta spesa et in luogo così celebre, doveva il Bandinello, se non apprezzava egli l'architettura o non l'intendeva, servirsi di chi allora era vivo et arebbe saputo e potuto far meglio. Et in questo Giuliano merita scusa perché fece quello che seppe, che non fu poco, se bene è più che vero, che chi non ha disegno e grande invenzione da sé, sarà sempre povero di grazia, di perfezione e di giudizio ne' componimenti grandi d'architettura; fece Giuliano un lettuccio di noce per Filippo Strozzi, che è oggi a Città di Castello in casa degl'eredi del signor Alessandro Vitelli, et un molto ricco e bel fornimento a una tavola che fece Giorgio Vasari all'altare maggiore della badia di Camaldoli, in Casentino, col disegno di detto Giorgio; e nella chiesa di Santo Agostino del monte San Savino, fece un altro ornamento intagliato, per una tavola grande che fece il detto Giorgio; in Ravenna nella badia di Classi de' monaci di Camaldoli fece il medesimo Giuliano, pure a un'altra tavola di mano del Vasari, un altro bell'ornamento. Et ai monaci della Badia di Santa Fiore in Arezzo fece nel refettorio il fornimento delle pitture che vi sono di mano di detto Giorgio aretino. Nel Vescovado della medesima città , dietro all'altare maggiore, fece un coro di noce bellissimo, col disegno del detto, dove si aveva a tirare inanzi l'altare, e finalmente poco anzi che si morisse fece sopra l'altare maggiore della Nunziata il bello e richissimo ciborio del Santissimo Sagramento, e li due Angeli di legno, di tondo rilievo, che lo mettono in mezzo. E questa fu l'ultima opera che facesse, essendo andato a miglior vita l'anno 1555.
Né fu di minor giudizzio Domenico, fratello di detto Giuliano, perché, oltre che intagliava molto meglio di legname, fu anco molto ingegnoso nelle cose d'architettura, come si vede nella casa che fece fare col disegno di costui Bastiano da Montaguto nella via de' Servi, dove sono anco di legname molte cose di propria mano di Domenico; il quale fece per Agostino del Nero in sulla piazza de' Mozzi le cantonate, et un bellissimo terrazzo a quelle case de' Nasi già cominciate da Baccio suo padre. E se costui non fusse morto così presto, avrebbe, si crede, di gran lunga avanzato suo padre e Giuliano suo fratello.
VITE DI VALERIO VICENTINO, DI GIOVANNI DA CASTEL BOLOGNESE, DI MATTEO DAL NASARO VERONESE E D'ALTRI ECCELLENTI INTAGLIATORI DI CAMEI E GIOIE
Da che i Greci negl'intagli delle pietre orientali furono così divini, e ne' camei perfettamente lavorarono, per certo mi parrebbe fare non piccolo errore, se io passassi con silenzio coloro che quei maravigliosi ingegni hanno nell'età nostra imitato. Conciò sia che niuno è stato fra i moderni passati, secondo che si dice, che abbia passato i detti antichi di finezza e di disegno in questa presente e felice età , se non questi che qui di sotto conteremo. Ma prima che io dia principio, mi convien fare un discorso breve sopra questa arte dell'intagliar le pietre dure e le gioie, la quale doppo le rovine di Grecia e di Roma ancora loro si perderono insieme con l'altre parti del disegno.
Queste opere dello intagliare in cavo e di rilievo, se n'è visto giornalmente in Roma trovarsi spesso fra le rovine: cammei e corgniole, sardoni et altri eccellentissimi intagli, e molti e molti anni stette persa, che non si trovava chi vi attendesse; e se bene si faceva qualche cosa, non erono di maniera che se ne dovessi far conto, e per quanto se n'ha cognizione, non si trova che si cominciasse a far bene, e dar nel buono, se non nel tempo di papa Martino V e di Paolo II. Et andò crescendo di mano in mano per fino che 'l Magnifico Lorenzo de' Medici, il quale si dilettò assai degli intagli de' cammei antichi, e fra lui e Piero suo figliuolo ne ragunarono gran quantità , e massimamente calcidoni, corgniuole et altra sorte di pietre intagliate, rarissime, le quali erano con diverse fantasie dentro, che furono cagione che per metter l'arte nella loro città e' conducessino di diversi paesi maestri che, oltra al rassettar loro queste pietre, gli condussono dell'altre cose rare in quel tempo.
Imparò da questi, per mezzo del Magnifico Lorenzo, questa virtù dell'intaglio in cavo un giovane fiorentino chiamato Giovanni delle Corgniuole, il quale ebbe questo cognome perché le intagliò eccellentemente, come fa testimonio infinite che se ne veggono di suo, grandi e piccole, ma particolarmente una grande, dove egli fece dentro il ritratto di fra' Girolamo Savonarola, nel suo tempo adorato in Fiorenza per le sue predicazioni, ch'era rarissimo intaglio.
Fu suo concorrente Domenico de' Cammei, milanese che, allora vivendo il duca Lodovico il Moro, lo ritrasse in cavo in un balascio della grandezza più d'un giulio, che fu cosa rara e de' migliori intagli che si fusse visto de' maestri moderni.
Accrebbe poi in maggiore eccellenza questa arte nel pontificato di papa Leone Decimo, per la virtù et opere di Piermaria da Pescia, che fu grandissimo imitatore delle cose antiche. E gli fu concorrente Michelino, che valse non meno di lui nelle cose piccole e grandi, e fu tenuto un grazioso maestro. Costoro apersono la via a quest'arte tanto difficile, poi che intagliando in cavo, che è proprio un lavorare al buio, da che non serve ad altro che la cera per occhiali a vedere di mano in mano quel che si fa, ridussono finalmente che Giovanni da Castel Bolognese e Valerio Vicentino e Matteo dal Nasaro et altri facessino tante bell'opere che noi faremo memoria. E per dar principio dico che Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, il quale nella sua giovanezza, stando appresso il duca Alfonso di Ferrara, gli fece, in tre anni che vi stette onoratamente, molte cose minute, delle quali non accade far menzione; ma di cose maggiori la prima fu che egli fece, in un pezzo di cristallo incavato, tutto il fatto d'arme della Bastia, che fu bellissimo; e poi in un incavo d'acciaio il ritratto di quel Duca, per far medaglie, e nel riverso Gesù Cristo preso dalle turbe. Dopo, andato a Roma, stimolato dal Giovio, per mezzo d'Ipolito cardinale de' Medici e di Giovanni Salviati cardinale, ebbe commodità di ritrarre Clemente Settimo, onde ne fece un incavo per medaglie che fu bellissimo, e nel rovescio quando Ioseffo si manifestò a' suoi fratelli. Di che fu da Sua Santità rimunerato col dono d'una mazza, che è un uffizio, del quale cavò poi al tempo di Paolo Terzo, vendendolo, dugento scudi. Al medesimo Clemente fece in quattro tondi di cristallo i quattro Evangelisti, che furono molto lodati e gl'acquistarono la grazia e l'amicizia di molti reverendissimi; ma partico...
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