[Pagina precedente]...enne con molto amorevoli accoglienze. E piaciutoli i modi di tal professione, volto egli ancora l'animo a quello esercizio, riuscì molto valente, e più del Morto fu col tempo raro et in Fiorenza molto stimato come si dirà di sotto. Per ch'egli fu cagione che il Morto dipignesse a Pier Soderini, allora gonfaloniere, la camera del palazzo a quadri di grottesche, le quali bellissime furono tenute; ma oggi, per racconciar le stanze del duca Cosimo, sono state ruinate e rifatte. Fece a maestro Valerio frate de' Servi, un vano d'una spalliera che fu cosa bellissima; e similmente per Agnolo Doni in una camera molti quadri, di variate e bizzarre grottesche. E perché si dilettava ancora di figure, lavorò alcuni tondi di Madonne, tentando se poteva in quelle divenir famoso, come era tenuto. Perché venutogli a noia lo stare a Fiorenza, si trasferì a Vinegia. E con Giorgione da Castelfranco, ch'allora lavorava il Fondaco de' tedeschi, si mise ad aiutarlo, facendo gli ornamenti di quella opera. E così in quella città dimorò molti mesi, tirato dai piaceri e dai diletti che per il corpo vi trovava. Poi se ne andò nel Friuli a fare opere, né molto vi stette, che faccendo i signori viniziani soldati, egli prese danari; e senza avere molto esercitato quel mestiero, fu fatta capitano di dugento soldati. Era allora lo essercito de' Viniziani condottosi a Zara di Schiavonia, dove appiccandosi un giorno una grossa scaramuccia, il Morto desideroso d'acquistar maggior nome in quella professione, che nella pittura non aveva fatto, andando valorosamente innanzi e combattendo in quella baruffa, rimase morto, come nel nome era stato sempre, d'età d'anni 45. Ma non sarà già mai nella fama morto, perché coloro che l'opere della eternità nelle arti manovali esercitano e di loro lasciano memoria dopo la morte, non possono per alcun tempo già mai sentire la morte delle fatiche loro. Perciò che gli scrittori grati fanno fede delle virtù di essi. Però molto deverebbono gli artefici nostri spronar se stessi con la frequenza degli studi, per venire a quel fine che rimanesse ricordo di loro per opere e per scritti, perché ciò facendo darebbono anima e vita a loro et all'opere ch'essi lasciano dopo la morte. Ritrovò il Morto le grottesche più simili alla maniera antica, ch'alcuno altro pittore, e per questo merita infinite lodi, da che per il principio di lui sono oggi ridotte dalle mani di Giovanni da Udine e di altri artefici a tanta bellezza e bontà , quanto si vede. Ma se bene il detto Giovanni et altri l'hanno ridotte a estrema perfezzione, non è però che la prima lode non sia del Morto, che fu il primo a ritrovarle e mettere tutto il suo studio in questa sorte di pitture, chiamate grottesche per essere elleno state trovate, per la maggior parte, nelle grotte delle rovine di Roma, senza che ognun sa che è facile aggiugnere alle cose trovate.
Seguitò nella professione delle grottesche in Fiorenza Andrea Feltrini detto di Cosimo, perché fu discepolo di Cosimo Rossegli per le figure, che le faceva acconciamente; e poi dal Morto per le grottesche, come s'è ragionato, il quale ebbe dalla natura in questo genere Andrea tanta invenzione e grazia, che trovò il far le fregiature maggiori e più copiose e piene, e che hanno un'altra maniera che le antiche, rilegandole con più ordine insieme, l'accompagnò con figure che né in Roma, né in altro luogo che in Fiorenza non se ne vede. Dove egli, se ne lavorò gran quantità , non fu nessuno che lo passassi mai di eccellenzia in questa parte. Come si vede in Santa Croce di Fiorenza l'ornamento dipinto, la predella a grottesche piccole e colorite intorno alla Pietà che fecie Pietro Perugino allo altare de' Seristori, le quali son campite prima di rosso e nero mescolato insieme, e sopra rilevato di varii colori, che son fatte facilmente e con una grazia e fierezza grandissima. Costui cominciò a dar principio di far le facciate delle case e palazzi sullo intonaco della calcina mescolata con nero di carbon pesto o vero paglia abrucciata, che poi sopra questo intonaco fresco dandovi di bianco, e disegnato le grottesche con que' partimenti che e' voleva sopra alcuni cartoni, spolverandogli sopra lo 'ntonaco veniva con un ferro a graffiare sopra quello talmente, che quelle facciate venivan disegnate tutte da quel ferro, e poi raschiato il bianco de' campi di queste grottesche che rimaneva scuro, le veniva ombrando, o col ferro medesimo trattegiando con buon disegno. Tutta quella opera poi, con un acquerello liquido come acqua tinta di nero, l'andava ombrando: che ciò mostra una cosa bella, vaga e rica da vedere, che, di ciò s'è trattato di questo modo nelle teoriche al capitolo 26 degli sgraffiti. Le prime facciate che fecie Andrea di questa maniera fu, in Borgo Ogni Santi, la facciata de' Gondi, che è molto leggiadra e graziosa, Lungarno fra 'l ponte Santa Trinita e quello della Carraia, di verso Santo Spirito, quella di Lanfredino Lanfredini, ch'è ornatissima e con varietà di spartimenti. Da San Michele di piazza Padella, lavorò pur di graffito la casa di Andrea e Tomaso Sertini, varia e con maggior maniera che l'altre due. Fece di chiaro scuro la facciata della chiesa de' frati de' Servi, dove fece fare in dua nichie a Tomaso di Stefano pittore l'Angelo che annunzia la Vergine, e nel cortile dove son le storie di San Filippo e della Nostra Donna fatte da Andrea del Sarto. Fra le dua porte fecie un'arme bellissima di papa Leone X, e per la venuta di quel pontefice in Fiorenza, fece alla facciata di Santa Maria del Fiore molti begli ornamenti di grottesche per Iacopo Sansovino, che gli piede per donna una sua sorella; fece il baldachino dove andò sotto il Papa con un cielo pien di grottesche bellissimo, e drapelloni a torno con arme di quel Papa et altre imprese della chiesa, che fu poi donato alla chiesa di San Lorenzo di Fiorenza, dove ancora oggi si vede, e così molti stendardi e bandiere per, quella entrata, e nella onoranza di molti cavalieri fatti da quel pontefice e da altri principi, che ne sono in diverse chiese appiccate in quella città . Servì Andrea del continuo la casa de' Medici nelle nozze del duca Giuliano et in quelle del duca Lorenzo per gli aparati di quelle, empiendole di vari ornamenti di grottesche, così nelle essequie di que' principi, dove fu adoperato grandemente e dal Francia Bigio e da Andrea del Sarto, dal Puntormo e Ridolfo Grillandaio, e ne' trionfi et altri aparati dal Granaccio, che non si poteva far cosa di buono senza lui. Era Andrea il migliore uomo che tocassi mai pennello e di natura timido, e non volse mai sopra di sé far lavoro alcuno perché temeva a riscuotere i danari delle opere, e si dilettava lavorar tutto il giorno, né voleva inpacci di nessuna sorte; là dove si accompagnò con Mariotto di Francesco Mettidoro, persona nel suo mestiero de' più valenti e pratichi che avessi mai tutta l'arte, et accortissimo nel pigliare opere, e molto destro nel riscuotere e far facende; il quale aveva anche messo Raffaello di Biagio Mettidoro in compagnia loro, e tre lavoravano insieme col partire in terzo tutto il guadagno dell'opere che facevano, che così durò quella compagnia fino alla morte di ciascuno, che Mariotto a morire fu l'ultimo. E tornando all'opere di Andrea, dico che e' fece a Giovan Maria Benintendi tutti e palchi di casa sua e gli ornamenti delle anticamere, dove son le storie colorite dal Francia Bigio e da Iacopo da Puntormo. Andò col Francia al Poggio, e gli ornamenti di quelle storie condusse di terretta che non è possibile veder meglio. Lavorò per il cavaliere Guidotti nella via Larga di sgraffito la sua facciata, e parimente a Bartolomeo Panciatichi un'altra della casa che e' murò sulla piazza degl'Agli, oggi di Ruberto de' Ricci, bellissima. Né si può dire le fregiature, i cassoni, i forzieri e la quantità de' palchi che Andrea di sua mano lavorò, che per esserne tutta questa città piena, lasserò il commemorarlo; né anche tacerò i tondi delle arme di diverse sorte fatte da lui, che non si faceva nozze che non avessi or di questo or di quello cittadino la bottega piena; né si fece mai opere di fogliature di broccati vari e di tele e drappi d'oro tessuti, che lui non ne facessi disegno e con tanta grazia, varietà e bellezza, che diede spirito e vita a tutte queste cose. E se Andrea avessi conosciuto la virtù sua, arebbe fatto una ricchezza grandissima, ma gli bastò vivere et avere amore all'arte.
Né tacerò che nella gioventù mia servendo il duca Alessandro de' Medici quando venne Carlo Quinto a Fiorenza, mi fu dato a fare le bandiere del Castello o vero Cittadella, che si chiami oggi, dove ci fu uno stendardo che era diciotto braccia in aste e quaranta lungo, di drappo chermisi, dove andò a torno fregiature d'oro con l'imprese di Carlo V imperadore e di casa Medici, e nel mezzo l'arme di Sua Maestà , nel quale andò dentro quarantacinque migliaia d'oro in fogli, dove io chiamai per aiuto Andrea per le fregiature e Mariotto per metter d'oro, che molte cose imparai da quello uomo pien di amore e di bontà verso coloro che studiano l'arte, dove fu tale la pratica di Andrea, che oltre che me ne servii in molte cose per gli archi che si feciono nella entrata di Sua Maestà , me lo volsi in compagnia insieme col Tribolo, venendo madama Margherita figliuola di Carlo V a marito al duca Alessandro, per l'apparato che io feci nella casa del Magnifico Ottaviano de' Medici da San Marco, che si ornò di grottesche per man sua, di statue per le mani del Tribolo, e per figure e storie di mia mano. Ultimamente nelle essequie del duca Alessandro si adoperò assai, e molto più nelle nozze del duca Cosimo, ché tutte le imprese del cortile scritte da Messer Francesco Giambullari, che scrisse l'apparato di quelle nozze, furono dipinte da Andrea con varii e diversi ornamenti, là dove Andrea, che molte volte per uno umor malinconico che spesso lo tormentava si fu per tor la vita, ma era da Mariotto suo compagno osservato molto e guardato talmente, che già venuto vecchio di 64 anni finì il corso della vita sua lassando di sé fama di buono e di eccellente e raro maestro nelle grottesche de' tempi nostri, dove ogni artefice di mano ha sempre imitato quella maniera non solo in Fiorenza, ma altrove ancora.
VITA DI MARCO CALAVRESE PITTORE
Quando il mondo ha un lume in una scienza che sia grande, universalmente ne risplende ogni parte, e dove maggior fiamma e dove minore; e secondo i siti e l'arie sono i miracoli ancora maggiori e minori; e nel vero di continuo certi ingegni in certe provincie sono a certe cose atti, ch'altri non possono essere. Né per fatiche, che eglino durino, arrivano però mai al segno di grandissima eccellenza. Ma se quando noi veggiamo in qualche provincia nascere un frutto che usato non sia a nascerci, ce ne maravigliamo, tanto più d'uno ingegno buono possiamo rallegrarci, quando lo troviamo in un paese dove non nascano uomini di simile professione. Come fu Marco Calavrese pittore, il quale uscito della sua patria, elesse come ameno e pieno di dolcezza per sua abitazione Napoli, se bene indrizzato aveva il camino per venirsene a Roma et in quella ultimare il fine che si cava dallo studio della pittura. Ma sì gli fu dolce il canto della Serena, dilettandosi egli massimamente di sonare di liuto, e sì le molli onde del Sebeto lo liquefecero, che restò prigione col corpo di quel sito fin che rese lo spirito al cielo, et alla terra il mortale. Fece Marco infiniti lavori, in olio et in fresco, et in quella patria mostrò valere più di alcuno altro che tale arte in suo tempo esercitasse. Come ne fece fede quello che lavorò in Aversa, dieci miglia lontano da Napoli, e particularmente nella chiesa di Santo Agostino allo altar maggiore una tavola a olio, con grandissimo ornamento; e diversi quadri con istorie e figure lavorate, nelle quali figurò Santo Agostino disputare con gli eretici e di sopra e dalle bande storie di Cristo e santi in varie attitudini. Nella quale opera si vede una maniera molto continuata e che tira al buono delle cose della manier...
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