[Pagina precedente]...ella casa che comperò la signora Gostanza, quando le Sabine son rapite; la qual istoria fa conoscere non meno la sete et il bisogno del rapirle, che la fuga e la miseria delle meschine portate via da diversi soldati, et a cavallo et in diversi modi. E non sono in questa sola simili avvertimenti, ma anco e molto più nelle istorie di Muzio e d'Orazio, e la fuga di Porsena re di Toscana. Lavorarono nel giardino di Messer Stefano dal Bufalo, vicino alla fontana di Trevi, storie bellissime del fonte di Parnaso. E vi fecero grottesche e figure piccole, colorite molto bene. Similmente nella casa del Baldassino, da S. Agostino, fecero graffiti e storie, e nel cortile alcune teste d'imperatori sopra le finestre. Lavorarono in Monte Cavallo vicino a S. Agata una facciata dentrovi infinite e diverse storie, come quando Tuzia vestale porta dal Tevere al tempio l'acqua nel crivello, e quando Claudia tira la nave con la cintura. E così lo sbaraglio che fa Camillo, mentre che Brenno pesa l'oro. E nella altra facciata doppo il cantone, Romolo et il fratello alle poppe della lupa, e la terribilissima pugna d'Orazio, che mentre solo fra mille spade difende la bocca del ponte, ha dietro a sé molte figure bellissime, che in diverse attitudini con grandissima sollecitudine, co' picconi tagliano il ponte. Èvvi ancora Muzio Scevola, che nel cospetto di Porsena abbrucia la sua stessa mano che aveva errato nell'uccidere il ministro in cambio del re; dove si conosce il disprezzo del re et il desiderio della vendetta. E dentro in quella casa fecero molti paesi. Lavorarono la facciata di S. Pietro in Vincola e le storie di S. Pietro in quella con alcuni profeti grandi. E fu tanto nota per tutto la fama di questi maestri, per l'abbondanza del lavoro, che furono cagione le publiche pitture da loro con tanta bellezza lavorate, che meritarono lode grandissima in vita, et infinita et eterna, per l'imitazione, l'hanno avuta dopo la morte. Fecero ancora su la piazza, dove è il palazzo de' Medici, dietro a Naona, una faccia coi trionfi di Paulo Emilio, et infinite altre storie romane. Et a S. Salvestro di Monte Cavallo, per fra Mariano, per casa e per il giardino alcune cosette; et in chiesa li dipinsero la sua cappella e due storie colorite di S. Maria Maddalena, nelle quali sono i macchiati de' paesi fatti con somma grazia e discrezione, perché Polidoro veramente lavorò i paesi e macchie d'alberi e sassi, meglio d'ogni pittore. Et egli nell'arte è stato cagione di quella facilità , che oggi usano gl'artefici nelle cose loro.
Fecero ancora molte camere e fregi per molte case di Roma, coi colori a fresco et a tempera lavorati, le quali opere erano da essi esercitate per pruova, perché mai a' colori non poterono dare quella bellezza, che di continuo diedero alle cose di chiaro e scuro, o in bronzo, o in terretta, come si vede ancora nella casa che era del cardinale di Volterra da Torre Sanguigna. Nella faccia della quale fecero un ornamento di chiaro scuro bellissimo, e dentro alcune figure colorite, le quali son tanto mal lavorate e condotte, che hanno deviato dal primo essere il disegno buono ch'eglino avevano. E ciò tanto parve più strano per esservi appresso un'arme di papa Leone, di ignudi, di mano di Giovan Francesco Vetraio, il quale se la morte non avesse tolto di mezzo arebbe fatto cose grandissime. E non isgannati per questo della folle credenza loro, fecero ancora in S. Agostino di Roma, all'altare de' Martelli, certi fanciulli coloriti, dove Giacopo Sansovino per fine dell'opera, fece una Nostra Donna di marmo; i quali fanciulli non paiono di mano di persone illustri, ma d'idioti che comincino allora a imparare. Per il che nella banda dove la tovaglia cuopre l'altare, fece Polidoro una storietta d'un Cristo morto con le Marie, ch'è cosa bellissima, mostrando nel vero essere più quella la professione loro che i colori. Onde, ritornati al sotto loro, fecero in Campo Marzio due facciate bellissime: nell'una le storie di Anco Marzio, e nell'altra le feste de' Saturnali celebrati in tal luogo, con tutte le bighe e quadrighe de' cavalli ch'agli obelischi aggirano intorno, che sono tenute bellissime per esser elleno talmente condotte di disegno e bella maniera, che espressissimamente rappresentano quegli stessi spettacoli per i quali elle sono dipinte. Sul canto della Chiavica, per andare a Corte Savella, fecero una facciata la quale è cosa divina, e delle belle che facessero, giudicata bellissima; perché oltra l'istoria delle fanciulle che passano il Tevere, abbasso vicino alla porta è un sacrifizio fatto con industria et arte maravigliosa, par vedersi osservato quivi tutti gli instrumenti e tutti quegli antichi costumi, che a' sacrifizii di quella sorte si solevano osservare. Vicino al Popolo, sotto S. Iacopo degli Incurabili, fecero una facciata con le storie d'Alessandro Magno ch'è tenute bellissima, nella quale figurarono il Nilo e 'l Tebro di Belvedere antichi. A San Simeone fecero la facciata de' Gaddi, ch'è cosa di maraviglia e di stupore nel considerarvi dentro i belli e tanti varii abiti, l'infinità delle celate antiche, de' soccinti, de' calzari e delle barche, ornate con tanta leggiadria e copia d'ogni cosa, che imaginar si possa un sofistico ingegno. Quivi la memoria si carica di una infinità di cose bellissime, e quivi si rappresentano i modi antichi, l'effigie de' savi e bellissime femmine, Perché vi sono tutte le spezie de' sacrifizii antichi, come si costumavano, e da che s'imbarca uno essercito, a che combatte con variatissima foggia di strumenti e d'armi, lavorate con tanta grazia e condotte con tanta pratica, che l'occhio si smarrisce nella copia di tante belle invenzioni. Dirimpetto a questa è un'altra facciata minore, che di bellezza e di copia non potria migliorare, dov'è nel fregio la storia di Niobe quando si fa adorare e le genti che portano tributi e vasi e diverse sorti di doni; le quali cose con tanta novità , leggiadria, arte, ingegno e rilievo espresse egli in tutta questa opera, che troppo sarebbe certo narrarne il tutto. Seguitò appresso lo sdegno di Latona e la miserabile vendetta ne' figliuoli della superbissima Niobe, e che i sette maschi da Febo e le sette femmine da Diana le sono ammazzati, con un'infinità di figure di bronzo che non di pittura, ma paiono di mettallo. E sopra, altre storie lavorate con alcuni vasi d'oro contrafatti con tante bizzarrie dentro, che occhio mortale non potrebbe imaginarsi altro, né più bello, né più nuovo, con alcuni elmi etrusci da rimaner confuso per la moltiplicazione e copia di sì belle e capricciose fantasie ch'uscivano loro de la mente. Le quali opere sono state imitate da infiniti che lavorano di sì fatt'opere. Fecero ancora il cortile di questa casa, e similmente la loggia, colorita di grotteschine picciole, che sono stimate divine. Insomma ciò che eglino toccarono, con grazia e bellezza infinita assoluto renderono. E s'io volessi nominare tutte l'opere loro, farei un libro intero de' fatti di questi due soli, perché non è stanza, palazzo, giardino, né vigna, dove non siano opere di Polidoro e di Maturino.
Ora, mentre che Roma ridendo s'abbelliva delle fatiche loro et essi aspettavano premio de' proprii sudori, l'invidia e la fortuna mandarono a Roma Borbone, l'anno 1527, che quella città mise a sacco. Laonde fu divisa la compagnia non solo di Polidoro e di Maturino, ma di tanti migliaia d'amici e di parenti, che a un sol pane tanti anni erano stati in Roma. Perché Maturino si mise in fuga, né molto andò, che da' disagi patiti per tale sacco, si stima a Roma che morisse di peste, e fu sepolto in S. Eustachio. Polidoro verso Napoli prese il camino, dove arivato, essendo quei gentiluomini poco curiosi delle cose eccellenti di pittura, fu per morirvisi di fame. Onde egli lavorando a opere per alcuni pittori, fece in S. Maria della Grazia un San Pietro nella maggior cappella; e così aiutò in molte cose que' pittori, più per campare la vita, che per altro. Ma pure essendo predicato le virtù sue, fece al conte di... una volta dipinta a tempera, con alcune facciate, ch'è tenuta cosa bellissima. E così fece il cortile di chiaro e scuro al signor... et insieme alcune logge, le quali sono molte piene d'ornamento e di bellezza, e ben lavorate. Fece ancora in S. Angelo, allato alla pescheria di Napoli, una tavolina a olio, nella quale è una Nostra Donna et alcuni ignudi d'anime cruciate, la quale di disegno, più che di colorito, è tenuta bellissima. Similmente alcuni quadri, in quella dell'altar maggiore, di figure intere sole, nel medesimo modo lavorate.
Avvenne che stando egli in Napoli, e veggendo poco stimata la sua virtù, deliberò partire da coloro che più conto tenevano d'un cavallo che saltasse, che di chi facesse con le mani le figure dipinte parer vive. Per il che, montato su le galee, si trasferì a Messina, e quivi trovato più pietà e più onore, si diede ad operare; e così lavorando di continuo prese ne' colori buona e destra pratica. Onde egli vi fece di molte opere, che sono sparse in molti luoghi. Et all'architettura attendendo, diede saggio di sé in molte cose ch'e' fece. Appresso nel ritorno di Carlo V dalla vittoria di Tunisi, passando egli per Messina, Polidoro gli fece archi trionfali bellissimi, onde n'acquistò nome e premio infinito. Laonde egli, che sempre ardeva di desiderio di rivedere quella Roma, la quale di continuo strugge coloro che stati ci sono molti anni nel provare gli altri paesi, vi fece per ultimo una tavola d'un Cristo che porta la croce, lavorata a olio, di bontà e di colorito vaghissimo; nella quale fece un numero di figure che accompagnano Cristo alla morte, soldati, farisei, cavagli, donne, putti et i ladroni innanzi, col tenere ferma l'intenzione, come poteva essere ordinata una giustizia simile: che ben pareva che la natura si fusse sforzata a far l'ultime pruove sue in questa opera veramente eccellentissima. Doppo la quale cercò egli molte volte svilupparsi di quel paese, ancora ch'egli ben veduto vi fosse; ma la cagione della sua dimora era una donna, da lui molti anni amata, che con sue dolci parole e lusinghe lo riteneva. Ma pure tanto poté in lui la volontà di rivedere Roma e gli amici, che levò dal banco una buona quantità di danari ch'egli aveva, e risoluto al tutto, si partì.
Aveva Polidoro tenuto molto tempo un garzone di quel paese, il quale portava maggiore amore a' danari di Polidoro, che a lui, ma per averli così sul banco, non poté mai porvi su le mani e con essi partirsi. Per il che caduto in un pensiero malvagio e crudele, deliberò la notte seguente, mentre che dormiva, con alcuni suoi congiurati amici, dargli la morte e poi partire i danari fra loro. E così in sul primo sonno assalitolo, mentre dormiva forte, aiutato da coloro, con una fascia lo strangolò. E poi datogli alcune ferite, lo lasciarono morto. E per mostrare ch'essi non l'avessero fatto, lo portarono su la porta della donna da Polidoro amata, fingendo che, o parenti, o altri in casa l'avessero amazzato. Diede dunque il garzone buona parte de' danari a que' ribaldi, che sì brutto eccesso avevan commesso; e quindi fatteli partire, la mattina piangendo andò a casa un Conte, amico del morto maestro, e raccontogli il caso; ma per diligenza che si facesse in cercar molti di chi avesse cotal tradimento commesso, non venne alcuna cosa a luce. Ma pure come Dio volle, avendo la natura e la virtù a sdegno d'essere per mano della fortuna percosse, fecero a uno, che interesso non ci aveva, dire che impossibil era che altri che tal garzone l'avesse assassinato. Per il che il Conte gli fece por le mani addosso, et alla tortura messolo, senza che altro martorio gli dessero, confessò il delitto, e fu dalla giustizia condannato alle forche, ma prima con tanaglie affocate per la strada tormentato et ultimamente squartato.
Ma non per questo tornò la vita a Polidoro, né alla pittura si rese quello ingegno pellegrino e veloce, che per tanti secoli non era più stato al mondo. Per il che se allora che morì, avesse potuto morire con lui, sarebbe...
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