[Pagina precedente]... ella è oggi tenuta con tanta venerazione e con solenne frequenza di tutti i popoli cristiani continuamente visitata. Questa storia, dico, secondo che da Andrea era stato ordinato, fu in quella facciata fatta di marmo dal Tribolo scultore fiorentino, come al suo luogo si dirà . Abbozzò similmente Andrea i Profeti delle nicchie, ma non avendo interamente finitone se non uno, gl'altri sono poi stati finiti dal detto Girolamo Lombardo e da altri scultori, come si vedrà nelle vite che seguono. Ma quanto in questa parte appartiene ad Andrea, questi suoi lavori sono i più belli e meglio condotti di scultura che mai fussero stati fatti insino a quel tempo. Il palazzo similmente della canonica di quella chiesa fu similmente seguitato da Andrea, secondo che Bramante di commessione di papa Leone aveva ordinato; ma essendo anco rimaso dopo Andrea imperfetto, fu seguitata la fabrica sotto Clemente Settimo da Antonio da San Gallo e poi da Giovanni Boccalino architetto, sotto il reverendissimo cardinale di Carpi, insino all'anno 1563. Mentre che Andrea lavorò alla detta cappella della Vergine, si fece la fortificazione di Loreto et altre cose, che molto furono lodate dall'invittissimo signor Giovanni de' Medici, col quale ebbe Andrea stretta dimestichezza, essendo stato da lui conosciuto primieramente in Roma.
Avendo Andrea di vacanza quattro mesi dell'anno, per suo riposo, mentre lavorò a Loreto, consumava il detto tempo al Monte, sua patria, in agricoltura, godendosi in tanto un tranquillissimo riposo con i parenti e con gl'amici. Standosi dunque la state al monte, vi fabbricò per sé una comoda casa e comperò molti beni, et ai frati di Santo Agostino di quel luogo fece fare un chiostro, che, per piccolo che sia, è molto bene inteso, se bene non è quadro, per averlo voluto que' padri fabricare in sulle mura vecchie. Nondimeno Andrea lo ridusse nel mezzo quadro ingrossando i pilastri ne' cantoni, per farlo tornare, essendo sproporzionato, a buona e giusta misura. Disegnò anco a una Compagnia, che è in detto chiostro, intitolata Santo Antonio, una bellissima porta di componimento dorico, e similmente il tramezzo et il pergamo della chiesa di esso Santo Agostino. Fece anco fare nello scendere, per andare alla fonte, fuor d'una porta, verso la pieve vecchia a mezza costa una cappelletta per i frati, ancor che non ne avessero voglia. In Arezzo fece il disegno della casa di Messer Pietro astrologo peritissimo, e di terra una figura grande per Monte Pulciano, cioè un re Porsena, che era cosa singulare, ma non l'ho mai rivista dalla prima volta in poi, onde dubito non sia male capitata. Et a un prete tedesco amico suo, fece un San Rocco di terra cotta grande quanto il naturale e molto bello; il quale prete lo fece porre nella chiesa di Battifolle, contado d'Arezzo: e questa fu l'ultima scultura che facesse. Diede anco il disegno delle scale della salita al Vescovado d'Arezzo. E per la Madonna delle Lagrime della medesima città fece il disegno d'uno ornamento che si aveva a fare di marmo, bellissimo con quattro figure di braccia quatro l'una, ma non andò questa opera inanzi per la morte di esso Andrea; il quale pervenuto all'età di LXVIII anni, come quello che mai non stava ozioso, mettendosi in villa a tramutare certi pali da luogo a luogo, prese una calda et in pochi giorni, aggravato da continua febre, si morì l'anno 1529.
Dolse la morte d'Andrea, per l'onore alla patria e per l'amore et utile a' tre suoi figliuoli maschi et alle femmine parimente; e non è molto tempo che Muzio Camillo, un de' tre predetti figliuoli, il quale negli studii delle buone lettere riusciva ingegno bellissimo, gl'andò dietro con molto danno della sua casa e dispiacere degl'amici. Fu Andrea, oltre alla professione dell'arte, persona invero assai segnalata; perciò che fu nei discorsi prudente e d'ogni cosa ragionava benissimo; fu provido e costumato in ogni sua azzione, amicissimo degl'uomini dotti e filosofo naturalissimo. Attese assai alle cose di cosmografia e lasciò ai suoi alcuni disegni e scritti di lontananze e di misure. Fu di statura alquanto piccolo, ma benissimo formato e complessionato. I capegli suoi erano distesi e molli, gl'occhi bianchi, il naso aquilino, la carne bianca e rubiconda, ma ebbe la lingua alquanto impedita. Furono suoi discepoli Girolamo Lombardo detto, Simone Cioli fiorentino, Domenico dal Monte San Savino, che morì poco dopo lui, Lionardo del Tasso fiorentino, che fece in Santo Ambruogio di Firenze sopra la sua sepoltura un San Bastiano di legno e la tavola di marmo delle monache di Santa Chiara. Fu similmente suo discepolo Iacopo Sansovino fiorentino, così nominato dal suo maestro, del quale si ragionerà a suo luogo distesamente.
Sono, dunque, l'architettura e la scultura molto obligate ad Andrea, per aver egli nell'una aggiunto molti termini di misure et ordini di tirar pesi et un modo di diligenza che non si era per innanzi usato, e nell'altra avendo condotto a perfezzione il marmo con giudizio, diligenza e pratica maravigliosa.
VITA DI BENEDETTO DA ROVEZZANO SCULTORE FIORENTINO
Gran dispiacere, mi penso io, che sia quello di coloro che, avendo fatto alcuna cosa ingegnosa, quando sperano goderla nella vecchiezza e vedere le prove e le bellezze degl'ingegni altrui in opere somiglianti alle loro e potere conoscere quanto di perfezzione abbia quella parte che essi hanno esercitato, si trovano dalla fortuna contraria o dal tempo o cattiva complessione o altra causa privi del lume degl'occhi. Onde non possono come prima facevano conoscere né il difetto, né la perfezzione di coloro che sentono esser vivi et esercitarsi nel loro mestiero. E molto più credo gli attristi il sentire le lode de' nuovi, non per invidia, ma per non potere essi ancora esser giudici, si quella fama viene a ragione o no. La qual cosa avvenne [a] Benedetto da Rovezzano scultore fiorentino, del quale al presente scriviamo la vita, acciò sappia il mondo quanto egli fusse valente e pratico scultore e con quanta diligenza campasse il marmo spiccato, facendo cose meravigliose. Fra le prime di molte opre che costui lavorò in Firenze, si può annoverare un camino di macigno ch'è in casa di Pierfrancesco Borgherini, dove sono di sua mano intagliati capitegli, fregi et altri molti ornamenti straforati con diligenza. Parimente in casa di Messer Bindo Altoviti è di mano del medesimo un camino et uno acquaio di macigno con alcune altre cose molto sottilmente lavorate, ma quanto appartiene all'architettura, col disegno di Iacopo Sansovino allora giovane.
L'anno poi 1512, essendo fatta allogazione a Benedetto d'una sepoltura di marmo con ricco ornamento nella cappella maggiore del Carmine di Firenze, per Piero Soderini stato gonfaloniere in Fiorenza, fu quella opera con incredibile diligenza da lui lavorata, perché, oltre ai fogliami et intagli di morte e figure, vi fece di basso rilievo un padiglione a uso di panno nero, di paragone, con tanta grazia e con tanto bel pulimento e lustro, che quella pietra pare più tosto un bellissimo raso nero che pietra di paragone. E per dirlo brevemente: tutto quello che è di mano di Benedetto in tutta questa opera, non si può tanto lodare che non sia poco. E perché attese anco all'architettura si rassettò col disegno di Benedetto, a Santo Apostolo di Firenze, la casa di Messer Oddo Altoviti, patrone e priore di quella chiesa; e Benedetto vi fece di marmo la porta principale e, sopra la porta della casa, l'arme degl'Altoviti di pietra di macigno et in essa il lupo scorticato, secco e tanto spiccato a torno, che par quasi disgiunto dal corpo dell'arme, con alcuni svolazzi trasforati e così sottili, che non di pietra, ma paiono di sottilissima carta. Nella medesima chiesa fece Benedetto sopra le due cappelle di Messer Bindo Altoviti, dove Giorgio Vasari aretino dipinse a olio la tavola della Concezzione, la sepoltura di marmo del detto Messer Oddo, con un ornamento intorno, pieno di lodatissimi fogliami e la cassa parimente bellissima. Lavorò ancora Benedetto a concorrenza di Iacopo Sansovino e di Baccio Bandinelli, come si è detto, uno degli Apostoli di quattro braccia e mezzo per Santa Maria del Fiore, cioè un San Giovanni Evangelista, che è figura assai ragionevole e lavorata con buon disegno e pratica. La quale figura è nell'Opera in compagnia dell'altre.
L'anno poi 1515, volendo i capi e maggiori dell'Ordine di Vallombrosa traslatar il corpo di San Giovanni Gualberto dalla Badia di Passignano nella chiesa di Santa Trinita di Fiorenza, badia del medesimo Ordine, feciono fare a Benedetto il disegno e metter mano a una cappella e sepoltura insieme, con grandissimo numero di figure tonde e grandi quanto il vivo, che accomodatamente venivano nel partimento di quell'opera in alcune nicchie tramezzate di pilastri, pieni di fregiature e di grottesche intagliate sottilmente. E sotto a tutta questa opera aveva ad essere un basamento alto un braccio e mezzo, dove andavano storie della vita di detto San Giovangualberto et altri infiniti ornamenti avevano a essere intorno alla cassa e per finimento dell'opera. In questa sepoltura dunque lavorò Benedetto, aiutato da molti intagliatori, dieci anni continui, con grandissima spesa di quella Congregazione, e condusse a fine quel lavoro nelle case del Guarlondo, luogo vicino a San Salvi, fuor della porta alla Croce, dove abitava quasi di continuo il generale di quell'Ordine che faceva far l'opera. Benedetto dunque condusse di maniera questa cappella e sepoltura, che fece stupire Fiorenza. Ma come volle la sorte (essendo anco i marmi e l'opere egregie degl'uomini eccellenti sottoposte alla fortuna) essendosi fra que' monaci, dopo molte discordie, mutato governo, si rimase nel medesimo luogo quell'opera imperfetta insino al 1530. Nel qual tempo, essendo la guerra intorno a Fiorenza, furono da e' soldati guaste tante fatiche e quelle teste lavorate con tanta diligenza spiccate empiamente da quelle figurine et in modo rovinato e spezzato ogni cosa, che que' monaci hanno poi venduto il rimanente per piccolissimo prezzo. E chi ne vuole veder una parte, vada nell'Opera di Santa Maria del Fiore, dove ne sono alcuni pezzi stati comperi per marmi rotti, non sono molti anni, dai ministri di quel luogo. E nel vero sì come si conduce ogni cosa a buon fine in que' monasteri e luoghi dove è la concordia e la pace, così per lo contrario dove non è se non ambizione e discordia, niuna cosa si conduce mai a perfezzione, né a lodato fine; perché quanto acconcia un buono e savio in cento anni, tanto rovina un ignorante villano e pazzo in un giorno. E pare che la sorte voglia, che bene spesso coloro che manco sanno e di niuna cosa virtuosa si dilettano, siano sempre quelli che comandino e governino, anzi rovinino ogni cosa; sì come anco disse de' principi secolari non meno dottamente che con verità l'Ariosto nel principio del XVII canto.
Ma tornando a Benedetto, fu peccato grandissimo che tante sue fatiche e spese di quella Religione siano così sgraziatamente capitate male. Fu ordine et architettura del medesimo la porta e vestibulo della Badia di Firenze, e parimente alcune cappelle, et infra l'altre quella di Santo Stefano, fatta dalla famiglia de' Pandolfini. Fu ultimamente Benedetto condotto in Inghilterra a' servigi del re, al quale fece molti lavori di marmo e di bronzo, e particolarmente la sua sepoltura, delle quali opere, per la liberalità di quel re, cavò da poter vivere il rimanente della vita acconciamente; per che tornato a Firenze, dopo aver finito alcune piccole cose, le vertigini, che insino in Inghilterra gl'avevano cominciato a dar noia a gl'occhi, et altri impedimenti causati, come si disse, dallo star troppo intorno al fuoco a fondere i metalli, o pure d'altre cagioni, gli levarono in poco tempo del tutto il lume degl'occhi. Onde restò di lavorare intorno all'anno 1550 e di vivere pochi anni dopo. Portò Beneddetto con buona e cristiana pacienza quella cecità negl'ultimi anni della sua vita, ringraziando Dio che prima gl'aveva proveduto, mediante le sue fatic...
[Pagina successiva]