[Pagina precedente]...llo a partirsi di Firenze et andare a Urbino, per avere là , essendo la madre e Giovanni suo padre morti, tutte le sue cose in abandono. Mentre che dunque dimorò in Urbino, fece per Guidobaldo da Montefeltro, allora capitano de' Fiorentini, due quadri di Nostra Donna piccoli, ma bellissimi e della seconda maniera. I quali sono oggi appresso lo illustrissimo et eccellentissimo Guidobaldo, Duca d'Urbino. Fece al medesimo un quadretto d'un Cristo che ora nell'orto e, lontani alquanto, i tre Apostoli che dormono. La qual pittura è tanto finita che un minio non può essere né migliore né altrimenti. Questa, essendo stata gran tempo appresso Francesco Maria, Duca d'Urbino, fu poi dalla illustrissima signora Leonora, sua consorte, donata a don Paulo Iustiniano e don Pietro Quirini viniziani e romiti del sacro eremo di Camaldoli, e da loro fu poi come reliquia e cosa rarissima, et insomma di mano di Raffaello da Urbino e per memoria di quella illustrissima signora, posta nella camera del Maggiore di detto Eremo, dove è tenuta in quella venerazione ch'ella merita. Dopo queste opere et avere accomodate le cose sue, ritornò Raffaello a Perugia, dove fece nella chiesa de' frati de' Servi in una tavola alla cappella degl'Ansidei una Nostra Donna, San Giovanni Battista e San Nicola. Et in San Severo della medesima città , piccol monasterio dell'Ordine di Camaldoli, alla cappella della Nostra Donna, fece in fresco un Cristo in gloria, un Dio Padre con alcuni Angeli a torno e sei Santi a sedere, cioè tre per banda: San Benedetto, San Romualdo, San Lorenzo, San Girolamo, San Mauro e San Placido; et in questa opera, la quale per cosa in fresco fu allora tenuta molto bella, scrisse il nome suo in lettere grandi e molto bene apparenti. Gli fu anco fatto dipignere nella medesima città , dalle donne di Santo Antonio da Padoa, in una tavola la Nostra Donna et in grembo a quella, sì come piacque a quelle semplici e venerande donne, Gesù Cristo vestito, e dai lati di essa Madonna San Piero, San Paulo, Santa Cecilia e Santa Caterina. Alle qual due Sante vergini fece le più belle e dolci arie di teste e le più varie acconciature da capo, il che fu cosa rara in que' tempi, che si possino vedere. E sopra questa tavola in un mezzo tondo dipinse un Dio Padre bellissimo e nella predella dell'altare tre storie di figure piccole: Cristo quando fa orazione nell'orto; quando porta la Croce, dove sono bellissime movenze di soldati che lo stracinano, e quando è morto in grembo alla Madre: opera certo mirabile, devota e tenuta da quelle donne in gran venerazione e da tutti i pittori molto lodata. Né tacerò, che si conobbe, poi che fu stato a Firenze, che egli variò et abbellì tanto la maniera, mediante l'aver vedute molte cose e di mano di maestri eccellenti, che ella non aveva che fare alcuna cosa con quella prima se non come fussino di mano di diversi e più e meno eccellenti nella pittura. Prima che partisse di Perugia, lo pregò madonna Atlanta Baglioni che egli volesse farle per la sua cappella nella chiesa di San Francesco una tavola, ma, perché egli non poté servirla allora, le promise che tornato che fusse da Firenze, dove allora per suoi bisogni era forzato d'andare, non le mancherebbe. E così venuto a Firenze, dove attese con incredibile fatica agli studi dell'arte, fece il cartone per la detta cappella con animo d'andare, come fece quanto prima gli venisse in acconcio, a metterlo in opera.
Dimorando, adunque, in Fiorenza Agnolo Doni, il quale quanto era assegnato nell'altre cose tanto spendeva volentieri, ma con più risparmio che poteva, nelle cose di pittura e di scultura, delle quali si dilettava molto, gli fece fare il ritratto di sé e della sua donna in quella maniera che si veggiono appresso Giovanbatista, suo figliuolo, nella casa che detto Agnolo edificò bella e comodissima in Firenze nel corso de' Tintori, appresso al canto degl'Alberti. Fece anco a Domenico Canigiani in un quadro la Nostra Donna con il putto Gesù che fa festa a un San Giovannino portogli da Santa Elisabetta che mentre lo sostiene con prontezza vivissima guarda un San Giuseppo, il quale standosi appoggiato con ambe le mani a un bastone china la testa verso quella vecchia, quasi maravigliandosi e lodandone la grandezza di Dio che così attempata avesse un sì picciol figliuolo. E tutti pare che stupischino del vedere con quanto senno in quella età sì tenera i due cugini, l'uno reverente all'altro, si fanno festa; senza che ogni colpo di colore nelle teste, nelle mani e ne' piedi sono anzi pennellate di carne che tinta di maestro che faccia quell'arte. Questa nobilissima pittura è oggi appresso gl'eredi del detto Domenico Canigiani, che la tengono in quella stima che merita un'opera di Raffaello da Urbino.
Studiò questo eccellentissimo pittore nella città di Firenze le cose vecchie di Masaccio, e quelle che vide nei lavori di Lionardo e di Michelagnolo lo feciono attendere maggiormente agli studi e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario all'arte et alla sua maniera. Ebbe oltre gl'altri, mentre stette Raffaello in Fiorenza, stretta dimestichezza con fra' Bartolomeo di San Marco, piacendogli molto e cercando assai d'imitare il suo colorire, et all'incontro insegnò a quel buon padre i modi della prospettiva, alla quale non aveva il frate atteso insino a quel tempo. Ma in sulla maggior frequenza di questa pratica fu richiamato Raffaello a Perugia, dove primieramente in San Francesco finì l'opera della già detta madonna Atalanta Baglioni, della quale aveva fatto, come si è detto, il cartone in Fiorenza. E in questa divinissima pittura un Cristo morto portato a sotterrare, condotto con tanta freschezza e sì fatto amore, che a vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Raffaello nel componimento di questa opera il dolore che hanno i più stretti et amorevoli parenti nel riporre il corpo d'alcuna più cara persona, nella quale veramente consista il bene, l'onore e l'utile di tutta una famiglia: vi si vede la Nostra Donna venuta meno, e le teste di tutte le figure molto graziose nel pianto e quella particolarmente di San Giovanni, il quale, incrocicchiate le mani, china la testa con una maniera da far comuovere qual è più duro animo a pietà . E di vero chi considera la diligenza, l'amore, l'arte e la grazia di quest'opera, ha gran ragione di maravigliarsi perché ella fa stupire chiunque la mira per l'aria delle figure, per la bellezza de' panni et insomma per una estrema bontà ch'ell'ha in tutte le parti. Finito questo lavoro e tornato a Fiorenza, gli fu dai Dei, cittadini fiorentini, allogata una tavola che andava alla cappella dell'altar loro in Santo Spirito; et egli la cominciò e la bozza a bonissimo termine condusse, et intanto fece un quadro che si mandò in Siena, il quale nella partita di Raffaello rimase a Ridolfo del Ghirlandaio, perch'egli finisse un panno azzurro che vi mancava. E questo avvenne perché Bramante da Urbino, essendo a' servigi di Giulio II, per un poco di parentela ch'aveva con Raffaello e per essere di un paese medesimo, gli scrisse che aveva operato col Papa, il quale aveva fatto fare certe stanze ch'egli potrebbe in quelle mostrar il valor suo. Piacque il partito a Raffaello, perché lasciate l'opere di Fiorenza e la tavola dei Dei non finita, ma in quel modo che poi la fece porre Messer Baldassarre da Pescia nella Pieve della sua patria dopo la morte di Raffaello, si trasferì a Roma, dove giunto, Raffaello trovò che gran parte delle camere di palazzo erano state dipinte e tuttavia si dipignevano da più maestri; e così stavano, come si vedeva, che ve n'era una che da Pietro della Francesca vi era una storia finita, e Luca da Cortona aveva condotta a buon termine una facciata, e don Pietro della Gatta, abbate di San Clemente di Arezzo, vi aveva cominciato alcune cose; similmente Bramantino da Milano vi aveva dipinto molte figure, le quali la maggior parte erano ritratti di naturale che erano tenuti bellissimi.
Laonde Raffaello, nella sua arrivata avendo ricevute molte carezze da papa Iulio, cominciò nella camera della Segnatura una storia quando i Teologi accordano la filosofia e l'astrologia con la teologia, dove sono ritratti tutti i savi del mondo che disputano in vari modi; sonvi in disparte alcuni astrologi che hanno fatto figure sopra certe tavolette e caratteri in varii modi di geomanzia e d'astrologia, et ai Vangelisti le mandano per certi Angeli bellissimi, i quali Evangelisti le dichiarano. Fra costoro è un Diogene con la sua tazza a giacere in su le scalee, figura molto considerata et astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito così accaso è degna d'essere lodata. Similmente vi è Aristotile e Platone, l'uno col Timeo in mano, l'altro con l'Etica, dove intorno li fanno cerchio una grande scuola di filosofi. Né si può esprimere la bellezza di quelli astrologi e geometri che disegnano con le seste in su le tavole moltissime figure e caratteri. Fra i medesimi, nella figura d'un giovane di formosa bellezza, il quale apre le braccia per maraviglia e china la testa, è il ritratto di Federigo II, Duca di Mantova, che si trovava allora in Roma. Èvvi similmente una figura che, chinata a terra con un paio di seste in mano, le gira sopra le tavole, la quale dicono essere Bramante architettore, che egli non è men desso che se e' fusse vivo, tanto è ben ritratto. Et allato a una figura che volta il didietro et ha una palla del cielo in mano, è il ritratto di Zoroastro, et allato a esso è Raffaello, maestro di questa opera, ritrattosi da sé medesimo nello specchio: questo è una testa giovane e d'aspetto molto modesto, acompagnato da una piacevole e buona grazia, con la berretta nera in capo. Né si può esprimere la bellezza e la bontà che si vede nelle teste e figure de' Vangelisti, a' quali ha fatto nel viso una certa attenzione et accuratezza molto naturale e massimamente a quelli che scrivono. E così fece dietro ad un San Matteo mentre che egli cava di quelle tavole dove sono le figure i caratteri tenuteli da uno Angelo e che le distende in su un libro, un vecchio che messosi una carta in sul ginocchio copia tanto quanto San Matteo distende. E mentre che sta attento in quel disagio pare che egli torca le mascella e la testa, secondo che egli allarga et allunga la penna. Et oltra le minuzie delle considerazioni, che son pure assai, vi è il componimento di tutta la storia che certo è spartito tanto con ordine e misura, che egli mostrò veramente un sì fatto saggio di sé, che fece conoscere che egli voleva, fra coloro che toccavano i pennelli, tenere il campo senza contrasto. Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure finite con tanto delicata e dolce maniera che fu cagione che papa Giulio facesse buttare atterra tutte le storie degli altri maestri e vecchi e moderni, e che Raffaello solo avesse il vanto di tutte le fatiche che in tali opere fussero state fatte sino a quell'ora. E se bene l'opera di Giovan Antonio Soddoma da Vercelli, la quale era sopra la storia di Raffaello, si doveva per commessione del Papa gettare per terra, volle nondimeno Raffaello servirsi del partimento di quella e delle grottesche, e dove erano alcuni tondi, che son quattro, fece per ciascuno una figura del significato delle storie di sotto, volte da quella banda dove era la storia; a quella prima, dove egli aveva dipinto la Filosofia e l'Astrologia, Geometria e Poesia che si accordano con la Teologia, v'è una femmina fatta per la cognizione delle cose, la quale siede in una sedia che ha per reggimento da ogni banda una dea Cibele, con quelle tante poppe con che dagli antichi era figurata Diana Polimaste; e la veste sua è di quattro colori, figurati per li elementi, da la testa in giù v'è il color del fuoco e sotto la cintura quel dell'aria, da la natura al ginocchio è il color della terra e dal resto per fino a' piedi è il colore dell'acqua. E così la accompagnano alcuni putti veramente bellissimi.
In un altro tondo volto verso la finestra che guarda in Belvedere, è finta Poesia, la quale è in persona di...
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