[Pagina precedente]...l disegno, il che egli fece se bene non fu poi messo interamente in opera, né in quel modo che Antonio l'aveva disegnato. Dopo, deliberando gl'uomini di Monte Pulciano, per i miracoli fatti da una imagine di Nostra Donna, di fare un tempio di grandissima spesa, Antonio fece il modello e ne divenne capo; onde due volte l'anno visitava quella fabbrica, la quale oggi si vede condotta a l'ultima perfezzione, che fu nel vero di bellissimo componimento e vario dall'ingegno d'Antonio con somma grazia condotta; e tutte le pietre sono di certi sassi che tirano al bianco in modo di tivertini; la quale opra è fuor della porta di San Biagio a man destra et a mezzo la salita del Poggio. In questo tempo ancora diede principio al palazzo d'Antonio di Monte cardinale di Santa Prassedia, nel castello del Monte San Savino, et un altro per il medesimo ne fece a Monte Pulciano, cose di bonissima grazia, lavorato e finito. Fece l'ordine della banda delle case de' frati de' Servi, su la piazza loro, secondo l'ordine della loggia degli Innocenti. Et in Arezzo fece i modelli delle navate della Nostra Donna delle Lagrime che fu molto male intesa perché scompagna con la fabbrica prima, e gli archi delle teste non tornano in mezzo; similmente fece un modello della Madonna di Cortona, il quale non penso che si mettesse in opera.
Fu adoprato nello assedio per le fortificazioni e bastioni dentro alla città, et ebbe a cotale impresa per compagnia Francesco, suo nipote. Dopo, essendo stato messo in opera il gigante di piazza, di mano di Michelagnolo, al tempo di Giuliano fratello di esso Antonio, e dovendovisi condurre quel[l'] altro che aveva fatto Baccio Bandinelli, fu data la cura ad Antonio di condurvelo a salvamento; et egli, tolto in sua compagnia Baccio d'Agnolo, con ingegni molto gagliardi lo condusse e posò salvo in su quella base che a questo effetto si era ordinata. In ultimo, essendo egli già vecchio divenuto, non si dilettava d'altro che dell'agricoltura, nella quale era intelligentissimo. Laonde, quando più non poteva per la vecchiaia patire gli incomodi del mondo, l'anno 1534 rese l'anima a Dio, et insieme con Giuliano suo fratello nella chiesa di Santa Maria Novella, nella sepoltura de' Giamberti, gli fu dato riposo.
Le opere maravigliose di questi duoi fratelli faranno fede al mondo dello ingegno mirabile che egli ebbono e della vita e costumi onorati e delle azzioni loro, avute in pregio da tutto il mondo. Lasciarono Giuliano et Antonio ereditaria l'arte dell'architettura dei modi dell'architetture toscane, con miglior forma che gli altri fatto non avevano, e l'ordine dorico con miglior misure e proporzione che alla vitruviana opinione e regola prima non s'era usato di fare. Condussero in Fiorenza nelle lor case una infinità di cose antiche di marmo bellissime che non meno ornarono et ornano Fiorenza ch'eglino ornassero sé et onorassero l'arte. Portò Giuliano da Roma il gettare le volte di materie che venissero intagliate; come in casa sua ne fa fede una camera et al Poggio a Caiano nella sala grande la volta che vi si vede ora; onde obligo si debbe avere alle fatiche sue avendo fortificato il dominio fiorentino et ornata la città, e per tanti paesi dove lavorarono dato nome a Fiorenza et agli ingegni toscani, che per onorata memoria hanno fatto loro questi versi:
Cedite Romani structores, cedite Grai,
artis Vitruvi tu quoque cede parens.
Hetruscos celebrate viros, testudinis arcus,
urna, tholus, statuae, templa, domusque petunt.
VITA DI RAFFAELLO D'URBINO PITTORE ET ARCHITETTO
Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nell'accumulare in una persona sola l'infinite richezze de' suoi tesori e tutte quelle grazie e' più rari doni che in lungo spazio di tempo suol compartire fra molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Raffael Sanzio da Urbino. Il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole alcuna volta vedersi in coloro che più degl'altri hanno a una certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d'una graziata affabilità, che sempre suol mostrarsi dolce e piacevole con ogni sorte di persone et in qualunche maniera di cose. Di costui fece dono al mondo la natura quando vinta dall'arte, per mano di Michelagnolo Buonarroti, volle in Raffaello esser vinta dall'arte e dai costumi insieme.
E nel vero, poi che la maggior parte degl'artefici stati insino allora si avevano dalla natura recato un certo che di pazzia e di salvatichezza che, oltre all'avergli fatti astratti e fantastichi, era stata cagione che molte volte si era più dimostrato in loro l'ombra e lo scuro de' vizii che la chiarezza e splendore di quelle virtù che fanno gli uomini immortali, fu ben ragione che, per contrario, in Raffaello facesse chiaramente risplendere tutte le più rare virtù dell'animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia et ottimi costumi, quanti sarebbono bastati a ricoprire ogni vizio quantunque brutto et ogni macchia ancor che grandissima. Laonde, si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti, quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è lecito dire, dèi mortali; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi mediante l'opere loro onorato nome, possono anco sperare d'avere a godere in cielo con degno guidardone alle fatiche e merti loro.
Nacque adunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l'anno 1483, in venerdì santo a ore tre di notte, d'un Giovanni de' Santi, pittore non molto eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno et atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua gioventù. E perché sapeva Giovanni quanto importi allevare i figliuoli non con il latte delle balie, ma delle proprie madri, nato che gli fu Raffaello, al quale così pose nome al battesimo con buono augurio, volle, non avendo altri figliuoli come non ebbe anco poi, che la propria madre lo allattasse e che più tosto ne' teneri anni aparasse in casa i costumi paterni che per le case de' villani e plebei uomini, men gentili o rozzi costumi e creanze. E cresciuto che fu cominciò a esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte molto inclinato, di bellissimo ingegno; onde non passarono molti anni che Raffaello, ancor fanciullo, gli fu di grande aiuto in molte opere che Giovanni fece nello stato d'Urbino.
In ultimo, conoscendo questo buono et amorevole padre che poco poteva appresso di sé acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino il quale, secondo che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo; per che andato a Perugia, non vi trovando Pietro, si mise, per più comodamente poterlo aspettare, a lavorare in San Francesco alcune cose. Ma tornato Pietro da Roma, Giovanni, che persona costumata era e gentile, fece seco amicizia e quando tempo gli parve, col più acconcio modo che seppe, gli disse il desiderio suo. E così Pietro, che era cortese molto et amator de' belli ingegni, accettò Raffaello; onde Giovanni andatosene tutto lieto a Urbino e preso il putto, non senza molte lacrime della madre che teneramente l'amava, lo menò a Perugia, là dove Pietro, veduto la maniera del disegnare di Raffaello e le belle maniere e' costumi, ne fé quel giudizio che poi il tempo dimostrò verissimo con gl'effetti. È cosa notabilissima che, studiando Raffaello la maniera di Pietro, la imitò così a punto et in tutte le cose che i suo' ritratti non si conoscevano dagl'originali del maestro e fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere, come apertamente dimostrano ancora in San Francesco di Perugia alcune figure che egli vi lavorò in una tavola a olio per madonna Madalena degli Oddi, e ciò sono: una Nostra Donna assunta in cielo e Gesù Cristo che la corona, e di sotto intorno al sepolcro sono i dodici Apostoli che contemplano la gloria celeste. Et a' piè della tavola in una predella di figure piccole, spartite in tre storie, è la Nostra Donna annunziata dall'Angelo; quando i Magi adorano Cristo e quando nel tempio è in braccio a Simeone, la quale opera certo è fatta con estrema diligenza e chi non avesse in pratica la maniera, crederebbe fermamente che ella fusse di mano di Pietro, là dove ell'è senza dubbio di mano di Raffaello. Dopo questa opera, tornando Pietro per alcuni suoi bisogni a Firenze, Raffaello, partitosi di Perugia, se n'andò con alcuni amici suoi a Città di Castello, dove fece una tavola in Santo Agostino, di quella maniera e similmente in S. Domenico una d'un Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro. In San Francesco ancora della medesima città fece in una tavoletta lo Sposalizio di Nostra Donna, nel quale espressamente si conosce l'augumento della virtù di Raffaello venire con finezza assotigliando e passando la maniera di Pietro. In questa opera è tirato un tempio in prospettiva con tanto amore che è cosa mirabile a vedere le difficultà che egli in tale esercizio andava cercando.
In questo mentre, avendo egli acquistato fama grandissima nel seguito di quella maniera, era stato allogato da Pio Secondo pontefice la libreria del Duomo di Siena al Pinturicchio, il quale, essendo amico di Raffaello e conoscendolo ottimo disegnatore, lo condusse a Siena, dove Raffaello gli fece alcuni dei disegni e cartoni di quell'opera; e la cagione che egli non continuò fu che, essendo in Siena da alcuni pittori con grandissime lodi celebrato il cartone che Lionardo da Vinci aveva fatto nella sala del palazzo in Fiorenza d'un gruppo di cavalli bellissimo per farlo nella sala del palazzo e similmente alcuni nudi fatti a concorrenza di Lionardo da Michelagnolo Buonarroti molto migliori; venne in tanto desiderio Raffaello, per l'amore che portò sempre all'eccellenza dell'arte, che, messo da parte quell'opera et ogni utile e comodo suo, se ne venne a Fiorenza. Dove arrivato, perché non gli piacque meno la città, che quell'opere le quali gli parvero divine, deliberò di abitare in essa per alcun tempo; e così, fatta amicizia con alcuni giovani pittori, fra' quali furono Ridolfo Ghirlandaio, Aristotile San Gallo et altri, fu nella città molto onorato e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua et alla sua tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù. E Raffaello, che era la gentilezza stessa, per non esser vinto di cortesia, gli fece due quadri che tengono della maniera prima di Pietro e dell'altra che poi studiando apprese molto migliore, come si dirà. I quali quadri sono ancora in casa degli eredi del detto Taddeo. Ebbe anco Raffaello amicizia grandissima con Lorenzo Nasi, al quale avendo preso donna in que' giorni, dipinse un quadro, nel quale fece fra le gambe alla Nostra Donna un Putto, al quale un San Giovannino tutto lieto porge un uccello con molta festa e piacere dell'uno e dell'altro; e nell'attitudine d'ambi due una certa simplicità puerile e tutta amorevole, oltre che sono tanto ben coloriti e con tanta diligenza condotti che più tosto paiono di carne viva che lavorati di colori, e disegnò parimente la Nostra Donna, [che] ha un'aria veramente piena di grazia e di divinità, et insomma il piano, i paesi e tutto il resto dell'opera è bellissimo. Il quale quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandissima venerazione mentre che visse, così per memoria di Raffaello statogli amicissimo, come per la dignità et eccellenza dell'opera. Ma capitò poi male quest'opera l'anno 1548 a dì 17 novembre, quando la casa di Lorenzo insieme con quelle ornatissime e belle degl'eredi di Marco del Nero, per uno smottamento del Monte di San Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine. Nondimeno, ritrovati i pezzi d'essa fra i calcinacci della rovina, furono da Batista, figliuolo di esso Lorenzo, amorevolissimo dell'arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potette.
Dopo queste opere fu forzato Raffae...
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