[Pagina precedente]...nsieme molte cose e d'intaglio e d'architettura operato per Lorenzo de' Medici; acconciò, il detto Francesco, Giuliano uno de' detti suoi figliuoli, il quale Giuliano imparò in modo bene tutto quello che il Francione gl'insegnò, che gl'intagli e le bellissime prospettive, che poi da sé lavorò nel coro del Duomo di Pisa, sono ancor oggi, fra molte prospettive nuove, non senza maraviglia guardate. Mentre che Giuliano attendeva al disegno et il sangue della giovanezza gli bolliva, l'esercito del Duca di Calavria, per l'odio che quel signore portava a Lorenzo de' Medici, s'accampò alla Castellina per occupare il dominio alla Signoria di Fiorenza e per venire, se gli fusse riuscito, a fine di qualche suo disegno maggiore; per che, essendo forzato il Magnifico Lorenzo a mandare uno ingegnero alla Castellina, che facesse molina e bastie e che avesse cura e maneggiasse l'artiglieria, il che pochi in quel tempo sapevano fare, vi mandò Giuliano, come d'ingegno più atto e più destro e spedito e da lui conosciuto, come figliuolo di Francesco, stato amorevole servitore di casa Medici. Arrivato Giuliano alla Castellina, fortificò quel luogo dentro e fuori di buone mura e di mulina, e d'altre cose necessarie alla difesa di quella la provide. Dopo, veggendo gli uomini star lontani all'artiglieria e maneggiarla e caricarla e tirarla timidamente, si gettò a quella e l'acconciò di maniera che da indi in poi a nessuno fece male, avendo ella prima occiso molte persone, le quali nel tirarla, per poco giudizio loro, non avevano saputo far sì che nel tornare a dietro non offendesse. Presa dunque Giuliano la cura della detta artiglieria fu tanta nel tirarla e servirsene la sua prudenza che il campo del Duca impaurì di sorte, che per questo et altri impedimenti ebbe caro di accordarsi e di lì partirsi. Di che conseguì Giuliano non piccola lode in Fiorenza appresso Lorenzo, onde fu poi di continuo ben veduto e carezzato. Intanto, essendosi dato alle cose d'architettura, cominciò il primo chiostro di Cestello, e ne fece quella parte che si vede di componimento ionico, ponendo i capitelli sopra le colonne con la voluta che girando cascava fino al collarino dove finisce la colonna, avendo sotto l'uovolo e fusarola fatto un fregio alto il terzo del diametro di detta colonna; il quale capitello fu ritratto da uno di marmo antichissimo, stato trovato a Fiesole da Messer Lionardo Salutati, vescovo di quel luogo, che lo tenne con altre anticaglie un tempo nella via di San Gallo in una casa e giardino dove abitava dirimpetto a Santa Agata; il quale capitello è oggi appresso Messer Giovanbatista da Ricasoli, vescovo di Pistoia, e tenuto in pregio per la bellezza e varietà sua, essendo che fra gl'antichi non se n'è veduto un altro simile. Ma questo chiostro rimase imperfetto per non potere fare allora quei monaci tanta spesa.
Intanto, venuto in maggior considerazione Giuliano appresso Lorenzo, il quale era in animo di fabricare al Poggio a Caiano, luogo fra Fiorenza e Pistoia, e n'aveva fatto fare più modelli al Francione et ad altri, esso Lorenzo fece fare di quello che aveva in animo di fare un modello a Giuliano, il quale lo fece tanto diverso e vario dalla forma degl'altri e tanto secondo il capriccio di Lorenzo che egli cominciò subitamente a farlo mettere in opera come migliore di tutti; et accresciutogli grado per queste, gli dette poi sempre provisione. Volendo poi fare una volta alla sala grande di detto palazzo nel modo che noi chiamiamo a botte, non credeva Lorenzo che per la distanzia si potesse girare; onde Giuliano, che fabricava in Fiorenza una sua casa, voltò la sala sua a similitudine di quella per far capace la volontà del magnifico Lorenzo; per che egli quella del Poggio felicemente fece condurre. Onde la fama sua talmente era cresciuta che a' preghi del Duca di Calavria fece il modello d'un palazzo, per commissione del Magnifico Lorenzo che doveva servire a Napoli, e consumò gran tempo a condurlo. Mentre adunque lo lavorava, il castellano di Ostia, vescovo allora della Rovere, il quale fu poi co 'l tempo Papa Giulio II, volendo acconciare e mettere in buono ordine quella fortezza, udita la fama di Giuliano, mandò per lui a Fiorenza, et ordinatoli buona provisione ve lo tenne due anni a farvi tutti quegli utili e comodità che poteva con l'arte sua. E perché il modello del Duca di Calavria non patisse e finir si potesse, ad Antonio suo fratello lasciò che con suo ordine lo finisse, il quale nel lavorarlo aveva con diligenza seguitato e finito, essendo Antonio ancora di sofficienza in tale arte non meno che Giuliano. Per il che fu consigliato Giuliano da Lorenzo Vecchio a presentarlo egli stesso, acciò che in tal modello potesse mostrare le difficultà che in esso aveva fatto; laonde partì per Napoli e, presentato l'opera, onoratamente fu ricevuto, non con meno stupore de lo averlo il Magnifico Lorenzo mandato con tanto garbata maniera, quanto con maraviglia per il magisterio de l'opera nel modello; il quale piacque sì che si diede con celerità principio all'opera vicino al Castel Nuovo.
Poi che Giuliano fu stato a Napoli un pezzo, nel chiedere licenza al Duca per tornare a Fiorenza, gli fu fatto dal re presenti di cavalli e vesti e fra l'altre d'una tazza d'argento con alcune centinaia di ducati, i quali Giuliano non volle accettare, dicendo che stava con padrone il quale non aveva bisogno d'oro né d'argento. E se pure gli voleva far presente o alcun segno di guidardone, per mostrare che vi fosse stato, gli donasse alcuna de le sue anticaglie a sua elezzione. Le quali il re liberalissimamente per amor del Magnifico Lorenzo e per le virtù di Giuliano gli concesse, e queste furono: la testa d'uno Adriano imperatore, oggi sopra la porta del giardino in casa Medici, una femmina ignuda più che 'l naturale et un Cupido che dorme, di marmo tutti tondi; le quali Giuliano mandò a presentare al Magnifico Lorenzo, che per ciò ne mostrò infinita allegrezza, non restando mai di lodar l'atto del liberalissimo artefice, il quale rifiutò l'oro e l'argento per l'artificio, cosa che pochi averebbono fatto; questo Cupido è oggi in guardaroba del Duca Cosimo.
Ritornato dunque Giuliano a Fiorenza fu gratissimamente raccolto dal Magnifico Lorenzo, al quale venne capriccio, per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo de l'Ordine de' frati eremitani di Santo Agostino, di edificargli, fuor de la porta S. Gallo, un convento capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modelli, et in ultimo si mise in opera quello di Giuliano. Il che fu cagione che Lorenzo lo nominò da questa opera Giuliano da San Gallo. Onde Giuliano, che da ognuno si sentiva chiamare da San Gallo, disse un giorno burlando al Magnifico Lorenzo: "Colpa del vostro chiamarmi da San Gallo, mi fate perdere il nome del casato antico; e credendo avere andare inanzi per antichità , ritorno a dietro". Per che Lorenzo gli rispose che più tosto voleva che per la sua virtù egli fosse principio d'un casato nuovo che dependessi da altri; onde Giuliano di tal cosa fu contento. Seguitandosi pertanto l'opera di San Gallo insieme con le altre fabriche di Lorenzo, non fu finita né quella né l'altre per la morte di esso Lorenzo. E poi ancora poco viva in piede rimase tal fabrica di San Gallo, perché nel 1530 per lo assedio di Fiorenza fu rovinata e buttata in terra insieme col borgo, che di fabriche molto belle aveva piena tutta la piazza; et al presente non vi si vede alcun vestigio né di casa, né di chiesa, né di convento.
Successe in quel tempo la morte del re di Napoli, e Giuliano Gondi, ricchissimo mercante fiorentino, se ne tornò a Fiorenza, e dirimpetto a San Firenze, di sopra dove stavano i lioni fece di componimento rustico fabricare un palazzo da Giuliano, col quale, per la gita di Napoli, aveva stretta dimestichezza. Questo palazzo doveva fare la cantonata finita e voltare verso la Mercatanzia Vecchia, ma la morte di Giuliano Gondi la fece fermare; nel qual palazzo fece fra l'altre cose un cammino molto ricco d'intagli e tanto vario di componimento e bello che non se n'era insino alora veduto un simile, né con tanta copia di figure.
Fece il medesimo per un viniziano, fuor de la porta a Pinti in Camerata, un palazzo, et a' privati cittadini molte case, delle quali non accade far menzione. E volendo il Magnifico Lorenzo, per utilità publica et ornamento dello stato lasciar fama e memoria, oltre alle infinite che procacciate si aveva, fare la fortificazione del Poggio Imperiale sopra Poggibonzi su la strada di Roma per farci una città , non la volle disegnare senza il consiglio e disegno di Giuliano; onde per lui fu cominciata quella fabbrica famosissima, nella quale fece quel considerato ordine di fortificazione e di bellezza che oggi veggiamo. Le quali opere gli diedero tal fama che dal Duca di Milano, a ciò che gli facesse il modello d'un palazzo per lui, fu per il mezzo poi di Lorenzo condotto a Milano, dove non meno fu onorato Giuliano dal Duca che e' si fusse stato onorato prima dal re quando lo fece chiamare a Napoli. Perché, presentando egli il modello per parte del Magnifico Lorenzo, riempié quel Duca di stupore e di maraviglia nel vedere in esso l'ordine e la distribuzione di tanti begli ornamenti, e con arte tutti e con leggiadria accomodati ne' luoghi loro. Il che fu cagione che, procacciate tutte le cose a ciò necessarie, si cominciasse a metterlo in opera. Nella medesima città furono insieme Giuliano e Lionardo da Vinci, che lavorava col Duca, e parlando esso Lionardo del getto che far voleva del suo cavallo, n'ebbe bonissimi documenti. La quale opra fu messa in pezzi per la venuta de' Franzesi, e così il cavallo non si finì, né ancora si poté finire il palazzo.
Ritornato Giuliano a Fiorenza, trovò che Antonio suo fratello, che gli serviva ne' modegli, era divenuto tanto egregio che nel suo tempo non c'era chi lavorasse et intagliasse meglio di esso e massimamente Crocifissi di legno grandi, come ne fa fede quello sopra lo altar maggiore nella Nunziata di Fiorenza, et uno che tengono i frati di San Gallo in San Iacopo tra' Fossi et uno altro nella Compagnia dello Scalzo, i quali sono tutti tenuti bonissimi. Ma egli lo levò da tale essercizio et alla architettura in compagnia sua lo fece attendere, avendo egli per il privato e publico a fare molte faccende. Avvenne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtù levò gli appoggi delle speranze a' virtuosi con la morte di Lorenzo de' Medici; la quale non solo fu cagione di danno agli artefici virtuosi et alla patria sua, ma a tutta l'Italia ancora; onde rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi sconsolatissimo, e per lo dolore si trasferì a Prato vicino a Fiorenza a fare il tempio della Nostra Donna delle carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche publiche e private. Dimorò dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e 'l doloro come potette il meglio. Dopo, avendosi a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto e voltare la cupola, già stata cominciata e non finita da Giuliano da Maiano, dubitavano coloro che di ciò avevano la cura, che la debolezza de' pilastri non reggesse così gran peso; per che scrivendo a Giuliano che, se voleva, tale opera andasse a vedere, egli come animoso e valente andò e mostrò con facilità quella poter voltarsi e che a ciò gli bastava l'animo; e tante e tali ragioni allegò loro che l'opera gli fu allogata. Dopo la quale allogazione fece spedire l'opera di Prato e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perché tale opra avesse fermezza nelle pietre, e saldezza e forma e stabilità e facesse legazione, mandò a Roma per la pozzolana; né calce fu che con essa non fosse temperata e murata ogni pietra; e così in termine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta.
Andò poi a Roma, dove a papa Alessandro vi restaurò il tetto di Santa Maria Maggiore, che ruinava; e vi fece quel palco ch'al presente si vede. Così nel praticare per la corte il vescovo dell...
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