[Pagina precedente]... alcune dissegnate di lapis rosso di sua mano, con certi fregi di putti bellissimi et altri fregi fatti in quella opera per ornamento, con diverse fantasie di sacrifizii alla antica; e nel vero, se Antonio non avesse condotte l'opere sue a quella perfezzione che le si veggono, i disegni suoi (se bene hanno in loro una buona maniera e vaghezza, e pratica di maestro) non gli arebbano arecato fra gli artefici quel nome, che hanno l'eccellentissime opere sue. È quest'arte tanto dificile et ha tanti capi, che uno artefice bene spesso non li può tutti fare perfettamente; perché molti sono che hanno disegnato divinamente, e nel colorire hanno avuto qualche imperfezzione, altri hanno colorito maravigliosamente, e non hanno disegnato alla metà; questo nasce tutto dal giudizio e da una pratica che si piglia da giovane chi nel disegno e chi sopra i colori. Ma perché tutto s'impara per condurre l'opere perfette nella fine, il quale è il colorire con disegno tutto quel che si fa, per questo il Coreggio merita gran lode avendo conseguito il fine della perfezione ne l'opere, che egli a olio et a fresco colorì; come nella medesima città nella chiesa de' frati de' Zoccoli di S. Francesco, che vi dipinse una Nunziata in fresco tanto bene, che accadendo per aconcime di quel luogo, rovinarla, feciono que' frati ricingere il muro atorno con legnami armati di ferramenti, e tagliandolo a poco a poco la salvorono, et in un altro loco più sicuro fu murata da loro nel medesimo convento. Dipinse ancora sopra una porta di quella città una Nostra Donna, che ha il Figliuolo in braccio, ch'è stupenda cosa a vedere il vago colorito in fresco di questa opera, dove ne ha riportato da forestieri viandanti, che non hanno visto altro di suo, lode et onore infinito. In S. Antonio ancora di quella città dipinse una tavola, nella qual è una Nostra Donna e S. Maria Madalena, et apresso vi è un putto, che ride, che tiene a guisa di Angioletto un libro in mano, il quale par che rida tanto naturalmente, che muove a riso chi lo guarda, né lo vede persona di natura malinconica che non si rallegri; èvvi ancora un S. Girolamo, ed è colorita di maniera sì maravigliosa e stupenda, che i pittori ammirano quella per colorito mirabile, e che non si possa quasi dipignere meglio. Fece similmente quadri et altre pitture per Lombardia a molti signori; e fra l'altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II, per mandare a lo imperatore, cosa veramente degna di tanto principe. Le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch'aggiugnesse a quel segno: l'uno era una Leda ignuda, e l'altro una Venere, sì di morbidezza colorito e d'ombre di carne lavorate, che non parevano colori ma carni; era in una un paese mirabile, né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui, et oltra di ciò, capegli sì leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni amori, che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d'oro e di piombo, lavorati con bello artificio, e, quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida, che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella e quasi nessuno ne ocupava. Onde nello scorgere quella candidezza con quella dilicatezza, faceva agl'occhi compassione nel vedere. Perché certissimamente Antonio meritò ogni grado et ogni onore vivo e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte. Dipinse ancora in Modena una tavola d'una Madonna tenuta da tutti i pittori in pregio e per la maggior pittura di quella città. In Bologna parimente è di sua mano in casa gl'Arcolani, gentiluomini bolognesi, un Cristo che ne l'orto apare a Maria Madalena, cosa molto bella. In Reggio era un quadro bellissimo e raro, che non è molto che passando Messer Luciano Palavigino, il quale molto si diletta delle cose belle di pittura, e vedendolo non guardò a spesa di danari, e come avesse compero una gioia, lo mandò a Genova nella casa sua. È in Reggio medesimamente una tavola, drentovi una Natività di Cristo, ove partendosi da quello uno splendore fa lume a' pastori et intorno alle figure che lo contemplano, e fra molte considerazioni avute in questo suggetto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della sua divinità, che con i raggi par che percuota quella figura, si mette la mano dinanzi agl'occhi, tanto bene espressa, che è una maraviglia. Èvvi un coro di Angeli sopra la capanna che cantano, che son tanto ben fatti che par che siano piutosto piovuti dal cielo, che fatti dalla mano d'un pittore. È nella medesima città un quadretto di grandezza di un piede, la più rara e bella cosa che si possa vedere di suo di figure piccole, nel quale è un Cristo ne l'orto, pittura finta di notte, dove l'Angelo aparendogli col lume del suo splendore fa lume a Cristo, che è tanto simile al vero che non si può né immaginare né esprimere meglio; giuso a' piè del monte in un piano si veggono tre Apostoli che dormano, sopra' quali fa ombra il monte dove Cristo ora, che dà una forza a quelle figure che non è possibile; e più là, in un paese lontano, finto l'apparire della aurora; e si veggono venire da l'un de' lati alcuni soldati con Giuda; e nella sua piccolezza questa istoria è tanto bene intesa, che non si può né di pazienza, né di studio per tanta opera paragonalla.
Potrebbonsi dire molte cose delle opere di costui, ma perché fra gli uomini eccellenti de l'arte nostra è amirato per cosa divina ogni cosa che si vede di suo, non mi distenderò più. Ho usato ogni diligenzia d'avere il suo ritratto, e perché lui non lo fecie, e da altri non è stato mai ritratto, perché visse sempre positivamente, non l'ho potuto trovare; e nel vero fu persona che non si stimò né si persuase di sapere far l'arte, conoscendo la difficultà sua, con quella perfezzione che egli arebbe voluto. Contentavasi del poco e viveva da bonissimo cristiano.
Desiderava Antonio, sì come quello ch'era aggravato di famiglia, di continuo risparmiare et era divenuto perciò tanto misero che più non poteva essere. Per il che si dice che, essendoli stato fatto in Parma un pagamento di sessanta scudi di quattrini, esso volendoli portare a Correggio per alcune occorenzie sue, carico di quelli si mise in camino a piedi; e per lo caldo grande, che era allora scalmanato dal sole, beendo acqua per rinfrescarsi, si pose nel letto con una grandissima febre, né di quivi prima levò il capo, che finì la vita nell'età sua d'anni XL o circa. Furono le pitture sue circa il 1512. E fece alla pittura grandissimo dono ne' colori da lui maneggiati come vero maestro, e fu cagione che la Lombardia aprisse per lui gl'occhi, dove tanti belli ingegni si son visti nella pittura, seguitandolo in fare opere lodevoli e degne di memoria; perché mostrandoci i suoi capegli fatti con tanta facilità nella difficultà del fargli, ha insegnato come e' si abbino a fare. Di che gli debbono eternamente tutti i pittori; ad istanzia de' quali gli fu fatto questo epiggrama da Messer Fabio Segni, gentiluomo fiorentino:
Huius cum regeret mortales spiritus artus
pictoris, Charites suplicuere Iovi.
Non alia pingi dextra Pater alme rogamus:
hunc praeter, nulli pingere nos liceat.
Annuit his votis summi regnator Olympi:
et iuvenem subito sydera ad alta tulit,
ut posset melius Charitum simulacra referre
praesens et nudas cerneret inde Deas.
Fu in questo tempo medesimo Andrea del Gobbo milanese, pittore e coloritore molto vago, di mano del quale sono sparse molte opere nelle case per Milano sua patria; et alla Certosa di Pavia una tavola grande con la Assunzione di Nostra Donna, ma imperfetta per la morte che li sopravvenne, la quale tavola mostra quanto egli fusse eccellente et amatore delle fatiche dell'arte.
VITA DI PIERO DI COSIMO PITTOR FIORENTINO
Mentre che Giorgione et il Correggio con grande loro loda e gloria onoravano le parti di Lombardia, non mancava la Toscana ancor ella di belli ingegni, fra' quali non fu de' minimi Piero, figliuolo d'un Lorenzo orafo et allievo di Cosimo Rosselli, e però chiamato sempre, e non altrimenti inteso, che per Piero di Cosimo: poiché invero non meno si ha obligo e si debbe riputare per vero padre quel che c'insegna la virtù e ci dà il bene essere, che quello che ci genera e dà l'essere semplicemente. Questi dal padre, che vedeva nel figliuolo vivace ingegno et inclinazione al disegno, fu dato in cura a Cosimo, che lo prese più che volentieri, e fra molti discepoli ch'egli aveva, vedendolo crescere, con gli anni e con la virtù gli portò amore come a figliuolo e per tale lo tenne sempre. Aveva questo giovane da natura uno spirito molto elevato et era molto stratto e vario di fantasia dagli altri giovani che stavono con Cosimo per imparare la medesima arte. Costui era qualche volta tanto intento a quello che faceva, che ragionando di qualche cosa, come suole avvenire, nel fine del ragionamento, bisognava rifarsi da capo a racontargnene, essendo ito col cervello ad un'altra sua fantasia. Et era similmente tanto amico de la solitudine, che non aveva piacere, se non quando pensoso da sé solo poteva andarsene fantasticando e fare suoi castelli in aria. Onde aveva cagione di volergli ben grande Cosimo suo maestro, perché se ne serviva talmente ne l'opere sue, che spesso spesso gli faceva condurre molte cose che erano d'importanza, conoscendo che Piero aveva e più bella maniera e miglior giudizio di lui. Per questo lo menò egli seco a Roma, quando vi fu chiamato da papa Sisto, per far le storie de la cappella, in una de le quali Piero fece un paese bellissimo, come si disse ne la vita di Cosimo. E perché egli ritraeva di naturale molto eccellentemente, fece in Roma di molti ritratti di persone segnalate e particularmente quello di Verginio Orsino e di Ruberto Sanseverino, i quali misse in quelle istorie. Ritrasse ancora poi il duca Valentino figliuolo di papa Alessandro Sesto; la qual pittura oggi, che io sappia, non si trova; ma bene il cartone di sua mano, et è appresso al reverendo e virtuoso Messer Cosimo Bartoli, proposto di San Giovanni.
Fece in Fiorenza molti quadri a più cittadini, sparsi per le loro case, che ne ho visti de' molto buoni, e così diverse cose a molte altre persone. E nel noviziato di San Marco in un quadro una Nostra Donna ritta col Figliuolo in collo, colorita a olio. E ne la chiesa di Santo Spirito di Fiorenza lavorò a la cappella di Gino Capponi una tavola, che vi è dentro una Visitazione di Nostra Donna, con San Nicolò et un S. Antonio, che legge con un par d'occhiali al naso, che è molto pronto. Quivi contrafece uno libro di carta pecora un po' vecchio, che par vero, e così certe palle a quel San Niccolò con certi lustri ribattendo i barlumi, e riflessi l'una ne l'altra, che si conosceva in fino allora la stranezza del suo cervello, et il cercare che e' faceva de le cose difficili. E bene lo dimostrò meglio dopo la morte di Cosimo, che egli del continuo stava rinchiuso, e non si lasciava veder lavorare, e teneva una vita da uomo più tosto bestiale che umano. Non voleva che le stanze si spazzassino, voleva mangiare all'ora che la fame veniva, e non voleva che si zappasse o potasse i frutti dell'orto, anzi lasciava crescere le viti et andare i tralci per terra, et i fichi non si potavono mai, né gli altri alberi, anzi si contentava veder salvatico ogni cosa come la sua natura, allegando che le cose d'essa natura bisogna lassarle custodire a lei senza farvi altro. Recavasi spesso a vedere o animali o erbe o qualche cosa, che la natura fa per istranezza et accaso di molte volte; e ne aveva un contento et una satisfazione che lo furava tutto a se stesso. E replicavalo ne' suoi ragionamenti tante volte, che veniva talvolta, ancor che e' se n'avesse piacere, a fastidio. Fermavasi tallora a considerare un muro, dove lungamente fusse stato sputato da persone malate e ne cavava le battaglie de' cavagli e le più fantastiche città e più gran paesi che si vedesse mai; ...
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