[Pagina precedente]...uali lo ritornarono a Filippino, il quale sopravenuto egli ancora dalla morte non lo poté finire. Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò; nella qual testa chi voleva veder quanto l'arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contrafatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipignere. Avvenga che gli occhi avevano que' lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo; et intorno a essi erano tutti que' rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con l'incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola, chi intentissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d'una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte, che essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse o cantasse, e di continuo buffoni che la facessino stare allegra, per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a' ritratti che si fanno. Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa maravigliosa, per non essere il vivo altrimenti.
Per la eccellenzia dunque delle opere di questo divinissimo artefice, era tanto cresciuta la fama sua, che tutte le persone che si dilettavano de l'arte, anzi la stessa città intera disiderava ch'egli le lasciasse qualche memoria; e ragionavasi per tutto di fargli fare qualche opera notabile e grande, donde il pubblico fusse ornato et onorato di tanto ingegno, grazia e giudizio, quanto nelle cose di Lionardo si conosceva. E tra il gonfalonieri et i cittadini grandi si praticò che essendosi fatta di nuovo la gran sala del consiglio, l'architettura della quale fu ordinata col giudizio e consiglio suo, di Giuliano S. Gallo e di Simone Pollaiuoli detto Cronaca e di Michelagnolo Buonarroti e Baccio d'Agnolo (come a' suoi luoghi più distintamente si raggionerà ). La quale finita, con grande prestezza fu per decreto publico ordinato, che a Lionardo fussi dato a dipignere qualche opera bella; e così da Piero Soderini, gonfaloniere allora di giustizia, gli fu allogata la detta sala. Per il che volendola condurre Lionardo, cominciò un cartone alla sala del papa, luogo in S. Maria Novella, dentrovi la storia di Niccolò Piccinino, capitano del duca Filippo di Milano, nel quale disegnò un groppo di cavalli che combattevano una bandiera, cosa che eccellentissima e di gran magisterio fu tenuta per le mirabilissime considerazioni che egli ebbe nel far quella fuga. Perciò che in essa non si conosce meno la rabbia, lo sdegno e la vendetta negli uomini che ne' cavalli; tra quali due intrecciatisi con le gambe dinanzi non fanno men guerra coi denti, che si faccia chi gli cavalca nel combattere detta bandiera, dove apiccato le mani un soldato, con la forza delle spalle, mentre mette il cavallo in fuga, rivolto egli con la persona, aggrappato l'aste dello stendardo, per sgusciarlo per forza delle mani di quattro, che due lo difendono con una mano per uno, e l'altra in aria con le spade tentano di tagliar l'aste; mentre che un soldato vecchio con un berretton rosso, gridando, tiene una mano nell'asta e con l'altra inalberato una storta, mena con stizza un colpo, per tagliar tutte a due le mani a coloro, che con forza digrignando i denti, tentano con fierissima attitudine di difendere la loro bandiera; oltra che in terra fra le gambe de' cavagli v'è due figure in iscorto, che combattendo insieme, mentre uno in terra ha sopra uno soldato, che alzato il braccio quanto può, con quella forza maggiore gli mette alla gola il pugnale, per finirgli la vita: e quello altro con le gambe e con le braccia sbattuto, fa ciò che egli può per non volere la morte. Né si può esprimere il disegno che Lionardo fece negli abiti de' soldati, variatamente variati da lui; simile i cimieri e gli altri ornamenti, senza la maestria incredibile che egli mostrò nelle forme e lineamenti de' cavagli: i quali Lionardo meglio ch'altro maestro fece, di bravura, di muscoli e di garbata bellezza. Dicesi che per disegnare il detto cartone fece uno edifizio artificiosissimo che, stringendolo, s'alzava, et allargandolo, s'abbassava. Et imaginandosi di volere a olio colorire in muro, fece una composizione d'una mistura sì grossa, per lo incollato del muro, che continuando a dipignere in detta sala, cominciò a colare, di maniera che in breve tempo abbandonò quella, vedendola guastare. Aveva Lionardo grandissimo animo et in ogni sua azzione era generosissimo. Dicesi che andando al banco per la provisione, ch'ogni mese da Piero Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini; et egli non li volse pigliare, rispondendogli: "Io non sono dipintore da quattrini". Essendo incolpato d'aver giuntato da Piero Soderini fu mormorato contra di lui; per che Lionardo fece tanto con gli amici suoi, che ragunò i danari e portolli per ristituire, ma Piero non li volle accettare.
Andò a Roma col duca Giuliano de' Medici nella creazione di papa Leone, che attendeva molto a cose filosofiche e massimamente alla alchimia, dove formando una pasta di una cera, mentre che caminava faceva animali sottilissimi pieni di vento, ne i quali soffiando, gli faceva volare per l'aria; ma cessando il vento, cadevano in terra. Fermò in un ramarro, trovato dal vignaruolo di Belvedere, il quale era bizzarrissimo, di scaglie di altri ramarri scorticate, ali a dosso con mistura d'argenti vivi, che nel moversi quando caminava tremavano; e fattogli gl'occhi, corna e barba, domesticatolo e tenendolo in una scatola, tutti gli amici ai quali lo mostrava, per paura faceva fuggire. Usava spesso far minutamente digrassare e purgare le budella d'un castrato, e talmente venir sottili, che si sarebbono tenuto in palma di mano. Et aveva messo in un'altra stanza un paio di mantici da fabbro, ai quali metteva un capo delle dette budella, e gonfiandole ne riempieva la stanza, la quale era grandissima, dove bisognava che si recasse in un canto chi v'era, mostrando quelle trasparenti e piene di vento, dal tenere poco luogo in principio, esser venute a occuparne molto, aguagliandole alla virtù. Fece infinite di queste pazzie, et attese alli specchi; e tentò modi stranissimi nel cercare olii per dipignere e vernice per mantenere l'opere fatte. Fece in questo tempo per Messer Baldassarri Turini da Pescia che era datario di Leone, un quadretto di una Nostra Donna col Figliuolo in braccio con infinita diligenzia et arte. Ma, o sia per colpa di chi lo ingessò o pur per quelle sue tante e capricciose misture delle mestiche e de' colori, è oggi molto guasto. Et in un altro quadretto ritrasse un fanciulletto, che è bello e grazioso a maraviglia, che oggi sono tutti e due in Pescia appresso a Messer Giulio Turini. Dicesi, che essendogli allogato una opera dal Papa, subito cominciò a stillare olii et erbe per far la vernice; perché fu detto da papa Leone: "Oimè costui non è per far nulla, da che comincia a pensare alla fine innanzi il principio dell'opera". Era sdegno grandissimo fra Michele Agnolo Buonaroti e lui; per il che partì di Fiorenza Michelagnolo per la concorrenza, con la scusa del duca Giuliano, essendo chiamato dal Papa per la facciata di S. Lorenzo. Lionardo intendendo ciò partì, et andò in Francia, dove il re avendo avuto opere sue, gli era molto affezzionato; e desiderava ch'e' colorisse il cartone della S. Anna; ma egli, secondo il suo costume, lo tenne gran tempo in parole. Finalmente venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, si volse diligentemente informare de le cose catoliche e della via buona e santa religione cristiana, e poi con molti pianti, confesso e contrito, se bene e' non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia di suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il santissimo Sacramento fuor del letto. Sopragiunseli il re che spesso et amorevolmente lo soleva visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal suo e gli accidenti di quello mostrava tuttavia quanto avea offeso Dio e gli uomini del mondo, non avendo operato nell'arte come si conveniva. Onde gli venne un parossismo messaggero della morte. Per la qual cosa rizzatosi il re e presoli la testa per aiutarlo e porgerli favore, acciò che il male lo allegerisse, lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re nella età sua d'anni 75. Dolse la perdita di Lionardo fuor di modo a tutti quegli che l'avevano conosciuto, perché mai non fu persona, che tanto facesse onore alla pittura. Egli con lo splendor dell'aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva al sì et al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva ogni violenta furia; e con la destra torceva un ferro d'una campanella di muraglia et un ferro di cavallo, come se fusse piombo. Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, pur che egli avesse ingegno e virtù.
Ornava et onorava con ogni azzione qualsivoglia disonorata e spogliata stanza; per il che ebbe veramente Fiorenza grandissimo dono nel nascere di Lionardo, e perdita più che infinita nella sua morte. Nell'arte della pittura aggiunse costui alla maniera del colorire ad olio una certa oscurità ; donde hanno dato i moderni, gran forza e rilievo alle loro figure. E nella statuaria fece pruove nelle tre figure di bronzo che sono sopra la porta di S. Giovanni da la parte di tramontana fatte da Giovan Francesco Rustici, ma ordinate co 'l consiglio di Lionardo, le quali sono il più bel getto e di disegno e di perfezzione, che modernamente si sia ancor visto. Da Lionardo abbiamo la notomia de' cavalli e quella degli uomini assai più perfetta. Laonde per tante parti sue sì divine, ancora che molto più operasse con le parole che co' fatti, il nome e la fama sua non si spegneranno già mai. Per il che fu detto in lode sua da Messer Giovanbatista Strozzi così:
Vince costui pur solo
tutti altri; e vince Fidia e vince Apelle;
e tutto il lor vittorioso stuolo.
Fu discepolo di Lionardo Giovanantonio Boltraffio milanese, persona molto pratica et intendente, che l'anno 1500 dipinse in nella chiesa della Misericordia fuor di Bologna, in una tavola a olio, con gran diligenzia la Nostra Donna col Figliuolo in braccio, S. Giovanni Batista e S. Bastiano ignudo, et il padrone che la fé fare ritratto di naturale ginocchioni, opera veramente bella et in quella scrisse il nome suo e l'esser discepolo di Lionardo. Costui ha fatto altre opere et a Milano et altrove; ma basti aver qui nominata questa che è la migliore. E così Marco Uggioni, che in S. Maria della Pace fece il transito di Nostra Donna e le nozze di Cana Galilee.
VITA DI GIORGIONE DA CASTEL FRANCO PITTOR VINIZIANO
Ne' medesimi tempi che Fiorenza acquistava tanta fama, per l'opere di Lionardo, arrecò non piccolo ornamento a Vinezia la virtù et eccellenza [di] un suo cittadino, il quale di gran lunga passò i Bellini, da loro tenuti in tanto pregio, e qualunque altro fino a quel tempo avesse in quella città dipinto. Questi fu Giorgio che in Castel Franco, in sul trevisano, nacque l'anno 1478, essendo doge Giovan Mozenigo, fratel del doge Piero: dalle fattezze della persona e da la grandezza de l'animo, chiamato poi col tempo Giorgione. Il quale, quantunque egli fusse nato d'umilissima s...
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