[Pagina precedente]...amento di serpe la più strana e stravagante invenzione che si possa immaginare mai; ma come opera, che portava tempo, e come quasi interviene in tutte le cose sue, rimase imperfetta. Questa è fra le cose eccellenti nel palazzo del duca Cosimo insieme con una testa d'uno Angelo che alza un braccio in aria, che scorta dalla spalla al gomito venendo inanzi, e l'altro ne va al petto con una mano. È cosa mirabile, che quello ingegno, che avendo desiderio di dare sommo rilievo alle cose che egli faceva, andava tanto con l'ombre scure a trovare i fondi de' più scuri, che cercava neri che ombrassino e fussino più scuri degl'altri neri per fare del chiaro, mediante quegli, fussi più lucido; et infine riusciva questo modo tanto tinto, che non vi rimanendo chiaro avevon più forma di cose fatte per contrafare una notte, che una finezza del lume del dì: ma tutto era per cercare di dare maggiore rilievo, di trovar il fine e la perfezzione dell'arte.
Piacevagli tanto quando egli vedeva certe teste bizzarre, o con barbe o con capegli degli uomini naturali, che arebbe seguitato uno, che gli fussi piaciuto, un giorno intero e se lo metteva talmente nella idea, che poi arrivato a casa lo disegnava come se l'avesse avuto presente. Di questa sorte se ne vede molte teste e di femine e di maschi, e n'ho io disegnato parechie di sua mano con la penna, nel nostro libro de' disegni tante volte citato, come fu quella di Amerigo Vespucci, ch'è una testa di vecchio bellissima disegnata di carbone e parimenti quella di Scaramuccia, capitano de' Zingani, che poi ebbe Messer Donato Valdanbrini d'Arezzo canonico di S. Lorenzo lassatagli dal Giambullari. Cominciò una tavola della adorazione da Magi, che v'è su molte cose belle massime di teste. La quale era in casa d'Amerigo Benci dirimpetto alla loggia dei Peruzzi, la quale anche ella rimase imperfetta come l'altre cose sua.
Avvenne che morto Giovan Galeazzo duca di Milano e creato Lodovico Sforza nel grado medesimo l'anno 1494, fu condotto a Milano con gran riputazione Lionardo al Duca, il quale molto si dilettava del suono de la lira, perché sonasse: e Lionardo portò quello strumento, ch'egli aveva di sua mano fabricato d'argento gran parte in forma d'un teschio di cavallo, cosa bizzarra e nuova, acciò ché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce, laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare. Oltra ciò fu il migliore dicitore di rime a l'improviso del tempo suo. Sentendo il Duca i ragionamenti tanto mirabili di Lionardo, talmente s'innamorò de le sue virtù, che era cosa incredibile. E pregatolo, gli fece fare in pittura una tavola d'altare, dentrovi una Natività che fu mandata dal Duca a l'imperatore. Fece ancora in Milano ne' frati di S. Domenico a S. Maria de le Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa, et alle teste degli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità celeste, che a l'imagine di Cristo si richiede. La quale opera, rimanendo così per finita, è stata dai milanesi tenuta del continuo in grandissima venerazione, e dagli altri forestieri ancora, atteso che Lionardo si imaginò e riuscigli di esprimere quel sospetto che era entrato negl'Apostoli, di voler sapere chi tradiva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l'amore, la paura e lo sdegno, o vero il dolore, di non potere intendere lo animo di Cristo. La qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo incontro l'ostinazione, l'odio e 'l tradimento in Giuda, senza che ogni minima parte dell'opera mostra una incredibile diligenzia. Avvenga che insino nella tovaglia è contraffatto l'opera del tessuto, d'una maniera che la rensa stessa non mostra il vero meglio.
Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo che finissi l'opera, parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzo giorno per volta astratto in considerazione, et arebbe voluto, come faceva dell'opere che zappavano ne l'orto, che egli non avesse mai fermo il pennello. E non gli bastando questo, se ne dolse col Duca e tanto lo rinfocolò, che fu costretto a mandar per Lionardo e destramente sollecitarli l'opera, mostrando con buon modo, che tutto faceva per l'importunità del priore. Lionardo, conoscendo l'ingegno di quel principe esser acuto e discreto, volse (quel che non avea mai fatto con quel priore) discorrere col Duca largamente sopra di questo; gli ragionò assai de l'arte, e lo fece capace che gl'ingegni elevati, talor che manco lavorano, più adoperano, cercando con la mente l'invenzioni, e formandosi quelle perfette idee, che poi esprimono e ritraggono le mani da quelle già concepute ne l'intelletto. E gli soggiunse che ancor gli mancava due teste da fare, quella di Cristo, della quale non voleva cercare in terra e non poteva tanto pensare, che nella imaginazione gli paresse poter concipere quella bellezza e celeste grazia, che dovette essere quella de la divinità incarnata. Gli mancava poi quella di Giuda, che anco gli metteva pensiero, non credendo potersi imaginare una forma, da esprimere il volto di colui, che dopo tanti benefizii ricevuti, avessi avuto l'animo sì fiero, che si fussi risoluto di tradir il suo Signore e creator del mondo, purché di questa seconda ne cercherebbe, ma che alla fine non trovando meglio, non gli mancherebbe quella di quel priore, tanto importuno et indiscreto. La qual cosa mosse il Duca maravigliosamente a riso e disse che egli avea mille ragioni. E così il povero priore confuso attese a sollecitar l'opera de l'orto e lasciò star Lionardo. Il quale finì bene la testa del Giuda, che pare il vero ritratto del tradimento et inumanità . Quella di Cristo rimase, come si è detto, imperfetta.
La nobiltà di questa pittura, sì per il componimento, sì per essere finita con una incomparabile diligenza, fece venir voglia al re di Francia, di condurla nel regno: onde tentò per ogni via, se ci fussi stato architetti, che con travate di legnami e di ferri, l'avessino potuta armar di maniera, che ella si fosse condotta salva, senza considerare a spesa, che vi si fusse potuta fare, tanto la desiderava. Ma l'esser fatta nel muro, fece che Sua Maestà se ne portò la voglia, et ella si rimase a' milanesi. Nel medesimo refettorio, mentre che lavorava il Cenacolo, nella testa dove è una Passione di maniera vecchia, ritrasse il detto Lodovico, con Massimiliano suo primogenito, e dall'altra parte la duchessa Beatrice, con Francesco altro suo figliuolo, che poi furono amendue duchi di Milano, che sono ritratti divinamente. Mentre che egli attendeva a questa opera, propose al Duca fare un cavallo di bronzo di maravigliosa grandezza, per mettervi in memoria l'imagine del Duca. E tanto grande lo cominciò e riuscì, che condur non si poté mai. Ècci chi ha avuto opinione (come son varii e molte volte per invidia maligni, i giudizii umani) che Lionardo (come dell'altre sue cose) lo cominciasse perché non si finisse; perché, essendo di tanta grandezza in volerlo gettar d'un pezzo, vi si vedeva difficultà incredibile, e si potrebbe anco credere, che dall'effetto, molti abbin fatto questo giudizio, poiché delle cose sue ne son molte rimase imperfette. Ma per il vero si può credere che l'animo suo grandissimo et eccellentissimo per esser troppo volontaroso fusse impedito, e che il voler cercare sempre eccellenza sopra eccellenza, e perfezzione sopra perfezzione ne fusse cagione, talché l'opra fusse ritardata dal desio, come disse il nostro Petrarca; e nel vero quelli che veddono il modello, che Lionardo fece di terra grande, giudicano non aver mai visto più bella cosa, né più superba, il quale durò fino che i francesi vennono a Milano con Lodovico re di Francia, che lo spezzarono tutto. Ènne anche smarrito un modello piccolo di cera, ch'era tenuto perfetto, insieme con un libro di notomia di cavagli fatta da lui per suo studio. Attese di poi, ma con maggior cura, alla notomia degli uomini, aiutato e scambievolmente aiutando in questo Messer Marc'Antonio della Torre, eccellente filosofo, che allora leggeva in Pavia e scriveva di questa materia e fu de' primi (come odo dire) che cominciò a illustrare con la dottrina di Galeno le cose di medicina, et a dar vera luce alla notomia, fino a quel tempo involta in molte e grandissime tenebre d'ignoranza. Et in questo si servì maravigliosamente dell'ingegno, opera e mano di Lionardo, che ne fece un libro disegnato di matita rossa e tratteggiato di penna [dove disegnò cadaveri] che egli di sua mano scorticò e ritrasse con grandissima diligenza, dove egli fece tutte le ossature et a quelle congiunse poi con ordine tutti i nervi, e coperse di muscoli i primi appiccati all'osso, et i secondi che tengono il fermo, et i terzi che muovano, et in quegli a parte per parte di brutti caratteri scrisse lettere, che sono fatte con la mano mancina a rovescio, e chi non ha pratica a leggere non l'intende, perché non si leggono se non con lo specchio.
Di queste carte della notomia degl'uomini n'è gran parte nelle mani di Messer Francesco da Melzo, gentiluomo milanese, che nel tempo di Lionardo era bellissimo fanciullo e molto amato da lui, così come oggi è bello e gentile vecchio, che le ha care e tiene come per reliquie tal carte insieme con il ritratto della felice memoria di Lionardo. E chi legge quegli scritti, par impossibile che quel divino spirito abbi così ben ragionato dell'arte e de' muscoli e nervi e vene, e con tanta diligenza d'ogni cosa. Come anche sono nelle mani di... pittor milanese alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a rovescio, che trattano della pittura e de' modi del disegno e colorire. Costui non è molto, che venne a Fiorenza a vedermi, desiderando stampar questa opera, e la condusse a Roma per dargli esito, né so poi che di ciò sia seguito.
E per tornare alle opere di Lionardo, venne al suo tempo in Milano il re di Francia, onde pregato Lionardo di far qualche cosa bizzarra, fece un lione, che caminò parecchi passi, poi s'aperse il petto e mostrò tutto pien di gigli. Prese in Milano Salaì milanese per suo creato, il qual era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo begli capegli, ricci et inanellati, de' quali Lionardo si dilettò molto et a lui insegnò molte cose dell'arte; e certi lavori, che in Milano si dicono essere di Salaì, furono ritocchi da Lionardo.
Ritornò a Fiorenza, dove trovò che i frati de' Servi avevano alloggato a Filippino l'opere della tavola dell'altar maggiore della Nunziata; per il che fu detto da Lionardo che volentieri avrebbe fatta una simil cosa. Onde Filippino inteso ciò, come gentil persona ch'egli era, se ne tolse giù: et i frati, perché Lionardo la dipignesse, se lo tolsero in casa, facendo le spese a lui et a tutta la sua famiglia. E così li tenne in pratica lungo tempo, né mai cominciò nulla. Finalmente fece un cartone dentrovi una Nostra Donna et una S. Anna, con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare tutti gl'artefici, ma finita ch'ella fu, nella stanza durarono due giorni d'andare a vederla gl'uomini e le donne, i giovani et i vecchi, come si va a le feste solenni, per veder le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo. Perché si vedeva nel viso di quella Nostra Donna, tutto quello che di semplice e di bello, può con semplicità e bellezza dare grazia a una madre di Cristo; volendo mostrare quella modestia e quella umiltà , che in una vergine contentissima d'allegrezza del vedere la bellezza del suo figliuolo, che con tenerezza sosteneva in grembo; e mentre che ella con onestissima guardatura a basso scorgeva un S. Giovanni piccol fanciullo, che si andava trastullando con un pecorino, non senza un ghigno d'una S. Anna, che colma di letizia, vedeva la sua progenie terrena esser divenuta celeste. Considerazioni veramente dallo intelletto et ingegno di Lionardo. Questo cartone, come di sotto si dirà , andò poi in Francia. Ritrasse la Ginevra d'Amerigo Benci cosa bellissima; et abbandonò il lavoro a' frati, i q...
[Pagina successiva]