[Pagina precedente]... il lusso che tuttavia appariva sulle povere vie di Trieste o compiangeva con tono alquanto enfatico la miseria che vi transitava in processione. Di faccia alla sua casa vi era un fornaio e spesso a quella porta si schierava la fila della gente che aspettava il tozzo di pane. Il vecchio compiangeva quella gente che aspettava con tanta ansietà un pane mal cotto che a lui faceva schifo, ma qui la sua pietà era una vera ipocrisia. Egli invidiava coloro che liberamente si muovevano per le vie. Puerilmente. In massima egli si trovava bene nella stanza protettrice, ben riscaldata, ma gli sarebbe piaciuto di vedere anche al di là di quella via. Gli esseri che passavano e destavano la sua curiosità , perché vestiti troppo bene o troppo male, svoltavano ed ecco che per lui erano perduti.
Una notte in cui non poteva dormire, si mise a camminare per la stanza, e nell'ansietà di moversi e di avere una distrazione andò alla finestra. La fila alla porta del fornaio era già costituita, tanto lunga che anche di notte macchiava di nero il marciapiede. Neppure allora compianse sinceramente quella gente che aveva sonno e non poteva andare a dormire. Egli aveva il letto e non poteva dormire. Stavano certo meglio i componenti della fila!
In quei giorni ci fu Caporetto. Le prime notizie del disastro egli le ebbe dal suo medico venuto a trovarlo per piangere in compagnia del vecchio amico, che egli (povero medico!) credeva capace di sentire come lui. Invece il vecchio non vide in quell'evento altro che un beneficio: la guerra si allontanava da Trieste e perciò da lui. Il medico piangeva: - Non vedremo piú neppure i loro velivoli! - Il vecchio mormorava: - Infatti! Forse non li vedremo piú! - Sentiva nell'animo la gioconda speranza di notti tranquille, ma tentava di copiare sulla propria faccia il dolore che vedeva impresso su quella del medico.
Nel pomeriggio, quando stava bene, riceveva il suo procuratore, un vecchio impiegato che godeva di tutta la sua fiducia. Negli affari il vecchio rimaneva abbastanza energico e lucido, e l'impiegato ne traeva la conclusione che la malattia del vecchio non fosse molto grave e che prima o poi sarebbe ritornato agli affari. Ma l'energia negli affari era la stessa che lo dirigeva nella tutela della sua salute. La piú lieve indisposizione lo induceva a rimandare gli affari al giorno dopo. E per stare meglio sapeva anche dimenticare gli affari non appena il suo impiegato se n'era andato. Si sedeva davanti alla stufa e amava di gettarvi dei pezzi di carbone che guardava poi bruciare. Poi chiudeva gli occhi abbacinati e li riapriva per riprendere lo stesso giuoco. Cosà passava la sera di giornate pur esse tanto vuote.
Ma cosà non doveva finire la sua vita. È il destino di certi organismi di non lasciar alcun residuo per la morte che cosà non arriva ad afferrare altro che un vaso vuoto. Tutto quanto poteva ardere arse e l'ultima sua fiamma fu la piú bella.
VII.
Il vecchio era alla finestra a guardare sulla via. Era un pomeriggio fosco. Il cielo era coperto da una nebbia grigiastra e il selciato bagnato ad onta che non fosse piovuto da due giorni. La fila degli affamati andava formandosi dinanzi alla porta del fornaio.
Il caso volle che la giovinetta passasse giusto allora dinanzi al balcone occupato da lui. Era senza cappello, ma al vecchio che non avrebbe saputo indicare alcun particolare del suo vestito parve meglio messa che nei tempi in cui l'amava. L'accompagnava un giovane vestito esageratamente alla moda, inguantato, un fine ombrello che si alzò alto due o tre volte col braccio che volle accompagnare la parola evidentemente vivace. Anche la giovinetta rideva e ciarlava.
Il vecchio guardava e ansava. Non era piú la vita altrui che passava per quella via, era la propria. E il primo istinto del vecchio fu di gelosia. L'amore non c'entrava, ma solo la piú abbietta gelosia: - Essa ride e si diverte mentre io sono ammalato. - Avevano sbagliato insieme e a lui ne era derivata la malattia, a lei nulla. Che fare? Essa procedeva col suo passo leggero e presto sarebbe arrivata alla svolta della via dove sarebbe scomparsa. Perciò il vecchio ansava. Non c'era neppur tempo di chiarire i propri pensieri ed egli avrebbe sentito tanto il bisogno di parlare e di predicarle la morale!
Quando la giovinetta e il suo compagno scomparvero il vecchio volle tagliar corto alla propria agitazione che poteva danneggiarlo e disse: - Tanto meglio! Essa vive e si diverte! -. V'erano due menzogne in quelle poche parole che prima di tutto avrebbero voluto significare che il vecchio durante la malattia si fosse preoccupato della sorte della giovinetta eppoi anche che egli sentisse una soddisfazione al vederla correre a quel modo le vie per divertirsi. Perciò non ne ebbe quiete. Restava alla finestra e guardava dalla parte dove la giovinetta era scomparsa. Se fosse ritornata egli l'avrebbe chiamata dalla finestra. Non faceva troppo freddo eppoi gli pareva necessario di vederla. E qualcuno, sospettoso, dal suo interno gli domandò: - Perché? Vuoi ricominciare? - Il vecchio si mise a ridere: - Desiderio? Ma neanche per sogno! - Però guardava sempre dalla stessa parte con l'atteggiamento del desiderio piú intenso. - Io - pensò, convinto questa volta di dire la verità , - sarei del tutto tranquillo se sapessi che quel giovinotto l'ama e vuole sposarla.
Nessuno, neppure lui stesso avrebbe saputo decifrare l'animo del vecchio, appassionatamente malcontento della giovinetta e di se stesso. Egli vedeva chiaro che nel comportamento della giovinetta era implicata una propria responsabilità . Cercava di diminuirla ricordando ch'egli le aveva predicata la morale e cercava di obliare il resto. Per riconquistare la tranquillità egli doveva ripeterle piú chiaramente (cioè ad essa, ch'egli per sé nulla domandava) i precetti di morale ch'essa poteva aver dimenticati. E v'era anche il pericolo che essa avesse dimenticato le sue parole e non le sue azioni.
Corse al tavolo per scriverle di venire a trovarlo. Perché no? L'avrebbe ricevuta sereno come tuttavia i suoi dipendenti in ufficio e le avrebbe raccomandato di badare meglio al suo destino.
Con la penna in mano si trovò imbarazzato. Voleva farle intendere subito che la lettera non proveniva da un amante ma da un vecchio rispettabile che la invitava per suo bene di venire a trovarlo. Prese un biglietto da visita e sotto al proprio nome scrisse due parole d'invito. Lasciò il biglietto sul tavolo e ritornò alla finestra. Sarebbe stato meglio ch'essa fosse passata di nuovo per la via. C'era il pericolo che a quell'invito, strano per lei, essa non corrispondesse. Ma era importante ch'essa venisse, importante per lui.
Ritornò al tavolo e riscrisse lo stesso biglietto che le aveva mandato tante volte. Col piú vivo rossore perché la sua colpa era cosà evocata addirittura tangibilmente. Ma non aveva da usare riguardi a quella bambina. Gli bastava d'indurla a venire per gettarla fuori dal proprio destino; e per nettare il suo destino da una presenza tanto incomoda a lui sembrava non occorresse altro che di poter dirle chiaramente (piú chiaramente di quanto avesse potuto farlo in passato): - Per quanto mi concerne, ti domando d'essere virtuosa con me e con tutti. - Poi sarebbe stato facile di non pensarci piú.
Cercò la quiete col rendere definitiva la propria risoluzione. Trovò il modo di spedire quel biglietto senza farlo passare per le mani della sua infermiera. L'appuntamento era per il giorno appresso nelle ore tarde del pomeriggio. Le prime ore erano dedicate a cure.
Ritornò alla finestra. Nel desiderio di nettarsi la coscienza di ogni rimprovero riandò col pensiero la storia delle relazioni colla giovinetta. Sarebbe stato strano di attribuirle una importanza. Troppo facile era stato di avere quella giovinetta. Un'avventura comunissima. Non nella sua vita, però, e anche importante per la giovinezza e la beltà della fanciulla. - È certo - pensò il vecchio - che gli altri sono peggiori di me e che oggi, poi, io sono superiore a tutti. - Gli pareva un vanto di non sentire alcun desiderio e un secondo vanto ancora maggiore di chiamare a sé la giovinetta per farle del bene.
Le avrebbe dato del denaro. Quanto? Due... tre... cinquecento corone. Il denaro bisognava darlo se non altro per acquisire il diritto di educare. Poi l'avrebbe messa in guardia contro gli amori disordinati. Anche in passato aveva predicato contro gli amori, ma bisognava far ora dimenticare ch'egli aveva tentato allora di mettere il proprio amore fra quelli permessi.
Su la via si svolse una scena che attrasse tutta la sua attenzione. Ne scorse già da lontano gli attori perché venivano dalla parte ch'egli fissava. Un fanciullo di forse otto o dieci anni, scalzo, scendeva la via traendosi dietro per mano un uomo evidentemente ubriaco. Pareva che il fanciullo fosse conscio della sua responsabilità . Procedeva con un passo piccolo ma risoluto. Guardava di tratto in tratto dietro di sé il grande uomo che pareva convinto di dover seguirlo, eppoi guardava dinanzi a sé per vedere la propria via. Certo egli sapeva di dover consigliare e dirigere. Cosà giunsero sotto le finestre del vecchio. A quel punto il fanciullo scese dal marciapiedi per camminare meglio e non subito fu seguito dall'uomo. Perciò avvenne che le loro braccia allacciate andarono a cozzare contro il colonnino di un fanale. Non subito il fanciullo intese che avrebbe dovuto retrocedere per accompagnarsi all'uomo. Aveva fretta e probabilmente fece male all'ubriaco premendone la mano sul colonnino. Costui fu preso da un improvviso furore. Si svincolò dal fanciullo e subito gli menò un calcio atterrandolo. Per fortuna la sua ebbrezza gli impediva la rapidità dei movimenti, perché si capiva che si raccoglieva per picchiare ancora. Il fanciullo, a terra, si celava puerilmente la faccia col braccio per proteggersi e piangeva, guardando terrorizzato l'ubriaco ch'era chino su lui e non riusciva a riacquistare l'equilibrio.
Il vecchio, alla finestra, fu invaso dal terrore. Aperse le lastre dimenticando per un istante la cura della propria salute e si mise a gridare con la sua voce roca chiamando aiuto. Subito, dalla fila alla porta del fornaio accorsero molte persone, tante, che, presto, il vecchio non poté piú vedere né il fanciullo né l'ubriaco. Richiuse la finestra, chiamò l'infermiera e, ansimante, si gettò su una poltrona. Era troppo per lui. Le gambe non lo reggevano piú.
Nella sua lunga solitudine, egli aveva accarezzato una grande ambizione e s'era creduto benefico e superiore a tutti, ma ora appena provava una sensazione veramente nuova e sorprendente di vera, istintiva bontà . Per un breve tempo restò buono e generoso senza che il suo sentimento fosse oscurato da alcun pensiero a se stesso. È ben vero che non fece alcun atto che avvicinasse a lui quel povero fanciullo abbisognante di soccorso e di conforto. Non ci pensò neppure; ma nel pensiero accarezzava con grande emozione la puerile figura abbattuta. Scoperse anche nella propria memoria un particolare che valse ad aumentare la sua pietà : egli aveva visto il pianto del fanciullo, ma non aveva sentito alcun suo grido. Forse il fanciullo si vergognava di essere punito in pubblico e la sua vergogna, che gli impediva di attrarre l'attenzione degli altri, era piú forte del suo terrore. Povero, piccolo essere reso perciò anche piú inerme.
Ben presto però il vecchio ritornò alla sua occupazione abituale: alla cura di se stesso. Intanto il suo sentimento generoso gli aveva allargato tanto bene il petto che poté subito constatare un beneficio da quel suo abbandono. Per continuarne l'effetto parlò con la sua infermiera della sua grande avventura. Disse di aver salvato lui quel fanciullo: - Se io non avessi gridato, quell'omaccio lo avrebbe spezzato. - Invece era possibile che il suo roco grido non fosse neppure giunto fino alla via.
Ritornò col pensiero alla fanciulla e qualche contatto si costituà nel suo pensiero fra il fanciullo maltrattato e la giovinetta che sulla stessa via veniva trascinata a ...
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