DISCORSO DELLA VIRTU' FEMINILE E DONNESCA, di Torquato Tasso - pagina 1
TORQUATO TASSO
DISCORSO DELLA VIRTÙ FEMINILE E DONNESCA
Serenissima Madama.
Sogliono le belle donne con vaghezza rimirare o statua o pittura ove alcuna somiglianza loro si vede espressa, e le giovani particolarmente di vagheggiarsi nello specchio e di vedere ivi ogni loro similitudine ritratta hanno vaghezza: ma Vostra Altezza, tutto che bellissima sia di corpo, né ancora sì attempata che non potesse o altrui piacere o di se stessa compiacersi molto, nondimeno né di suo ritratto né di specchio è tanto vaga, quanto di vedere se stessa rinata e ringiovinita ne' suoi bellissimi figliuoli, de' quali il Principe è tale, che ben di lui si può cantare quel verso oraziano:
...
quo calet iuventus
Nunc omnis et mox virgines tepebunt;
o più tosto quel di Virgilio:
Gratior et pulchro veniens in corpore virtus.
E la Duchessa di Ferrara è sì fatta, che tutto che sia venuta in una casa da cui bellissime signore sono uscite e bellissime ci son maritate, nondimeno agguaglia con la sua bellezza non solo le quattro bellissime signore ch'ora in questa casa risplendono, ma la fama e la memoria ancora di tutte l'antiche, la virtù delle quali così bene adegua, che non può Alfonso invidiar felicità di moglie ad alcuno suo antecessore.
Ma perché Vostra Altezza Serenissima non è solamente quella forma esteriore che discorre e che opera e che rivolge a Dio, come ad oggetto, ogni sua operazione o contemplazione, altri ritratti più proprii suoi, che non sono i figliuoli, potrebbe desiderar di vedere e nello specchio dell'anima essere vaga di vagheggiarsi; e perché sì come l'occhio non può in sé ritorcere la potenza visiva in modo che veda se stessa, così l'anima difficilmente intende se medesima, e malagevolmente gli occhi dell'intelletto possono in se medesimi rivolgersi.
Credo che talora cerchi Vostra Altezza alcun ritratto e specchio dell'anima sua; e quando rapita da zelo di contemplazione vede gli angeli, e favella con loro, di vedere alcuna somiglianza di se stessa è solita: ma non per ciò ivi ogni similitudine dell'anima sua vede espressa, perché ella per l'unione c'ha co'l corpo, di molte più potenze è composta, per il mezzo delle quali a lui è congiunta.
Oltre che la nostra umanità non sostiene che gli occhi della nostra mente lungamente si affissino al sole dell'eterna verità; onde è necessario talvolta nelle altre cose rivoltargli e quasi in cristallo la loro potenza visiva ristorare.
Ho pensato, dunque, che s'io offerirò a Vostra Altezza un breve discorso della virtù umana feminile, o delle varie opinioni ch'intorno ad essa hanno avuti gli uomini eccellenti, gli offerirò quasi specchio o ritratto in cui alcuna parte della sua interior bellezza potrà rimirare; dico alcuna parte, perché mia intenzione non è formar la perfetta idea della reina in quella guisa che del re formò Senofonte, ma più tosto sovra l'altrui opinioni filosofare; paucis nondimeno, come piacque a Neottolomeo, e la mia propria sentenza in mezzo recare.
Ma qualunque sia questa mia fatica, merita la mia affezione, e richiede la sua cortesia che da lei sia gradita.
Fu famosa sentenza di Tucidide, Serenissima Signora, che quella donna maggior laude meritasse, la cui laude e la cui fama tra le mura della casa privata fosser contenute.
La qual sentenza addotta da Plutarco nell'operetta che egli scrisse delle Donne illustri, ivi è da lui rifiutata; e l'uno e l'altro famosissimo scrittore sovra l'autorità di più stimato scrittore può la sua autorità appoggiare, perché a Tucidide Aristotele è favorevole, e Plutarco a Platone.
Crede Platone che l'istessa virtù sia quella della donna e quella dell'uomo, e che s'alcuna differenza è in loro, sia introdotta dall'uso e non dalla natura; e ne' libri civili vuol che le donne sian partecipi della republica e degli uffici militari, non meno che gli uomini; e dice che sì come la natura produce ambe le mani atte a tutte le operazioni, e l'usanza introduce poi in loro questa differenza di destro e di sinistro (perciò che quella che s'adopra di continuo par che s'adoperi e s'addestri nelle operazioni, e destra è nominata, ma l'altra che non è operata per incitazione diviene inabile a l'operare); così parimente produce l'uomo e la donna atti a tutti gli uffici civili e militari, ma l'uomo esercitandosi, e la donna standosi in ozio, aviene che l'uno quasi destro, e l'altro quasi sinistro siano nelle operazioni.
Il quale esempio trasse egli per avventura dalla dottrina de' Pitagorici, i quali dividono in due ordini i mali e i beni, ponendo nell'ordine de' beni il destro, il maschio e 'l finito; e nell'ordine de' mali il sinistro, la femina e l'infinito.
Conchiude nondimeno Platone che sì come quello è perfetto corpo e a tutte l'operazioni attissimo, il qual può non men bene la sinistra che la destra operare, così perfetta è quella republica, che non meno delle donne che degli uomini può valersi.
Questa fu l'opinione di Platone.
Ma Aristotele molto diversamente giudicò, perché egli vuole che il destro e il sinistro sian differenze poste non sol dall'uso ma dalla natura, non sol negli uomini ma nel mondo; che destra è quella parte dalla quale ha principio il movimento; onde, quasi contra natura, si prende per cattivo augurio quando il moto comincia dalla sinistra.
...il manco piede
giovinetto posi io nel costui regno,
dice il Petrarca.
Ma la parte sinistra è atta alla resistenza e alla sofferenza; e per questo su la spalla sinistra si sogliono i pesi sostenere, e tutta questa diversità procede dalla temperatura del corpo.
E avendo la natura prodotto l'uomo e la donna di molto differente temperatura e complessione, si può credere che non siano atti ne' medesimi uffici: ma l'uomo, come più robusto, ad alcuni è disposto, e la donna, come più delicata, ad alcuni altri, onde nel principio della Politica, contra Platone conchiude Aristotele che la virtù dell'uomo e della femina non sian la medesima; perciò che la virtù dell'uomo sarà la fortezza e la liberalità, e la virtù della donna la pudicizia.
E come piacque a Gorgia, così il silenzio è virtù della donna, come l'eloquenza dell'uomo.
Onde gentilmente disse il Petrarca:
In silenzio parole accorte e saggie.
La parsimonia ancora è virtù della donna.
Ma chiederebbe alcuno: onde avviene che ne' libri morali, ove delle virtù parla esquisitamente, Aristotele non pone alcuna distinzione fra la virtù degli uomini e quella della femina, e la pone poi ne' libri politici, ove la considerazione delle virtù è men propria? A questo si può rispondere che ne' libri morali considera le virtù in universale, non ristrette o applicate ad alcun soggetto; e per questo non era necessario il por distinzione tra la virtù civile e la feminile, oltre che il fine de' libri morali è la felicità dell'uomo e de' libri politici la felicità delle città.
Ma alla considerazione della felicità civile deve necessariamente precedere la cognizion della virtù civile, dico della virtù in quanto è utile alla città, perciò che molte fiate può avvenire che la città in uno abbia bisogno di minor virtù, e in altro di maggiore: e per questo ne' servi, che son parte della città, niuna o molto poca virtù è ricercata, e solo tanto quanto lor basti per obedire e per essequire gli altrui comandamenti.
Ma nelle donne, che son parte della città, pure alcuna virtù è ricercata, ancorché non tale quale è degli uomini; onde a ragione da Aristotele è ripresa la cittadinanza de' Lacedemoni, come quella che essendo priva della vergogna e della pudicizia feminile, era priva della metà della felicità civile.
Con molta ragion, dunque, non sol dalla natura, ma dall'usanza ancora e da' legislatori è stata introdotta la distinzione delle virtù; e avendo la città bisogno di molta distinzion d'uffici, non potevano i diversi uffici dell'istessa virtù esser bene essequiti.
Questo che si dice del governo delle città, si verifica parimente nel governo famigliare o della casa, che vogliam chiamarlo, il quale essendo composto d'acquisto e di conservazione, è stato bene instituito che gli uffici suoi si distinguessero, e che l'ufficio dell'acquistare all'uomo, e quel del conservare alla donna s'attribuisse.
Guerreggia l'uomo per acquistare e l'agricoltura esercita e la mercanzia e nella città si adopra, onde di molte virtù per sì fatte operazioni avea egli bisogno: ma conserva la donna l'acquistato, onde d'altre virtù, diverse da quelle dell'uomo, ha bisogno: e così la sua virtù s'impiega dentro la casa, come quella dell'uomo fuori si dimostra: ma se la virtù dentro la casa è contenuta, dentro la casa ancora la fama feminile par che debba esser contenuta, la quale se si divulga, non si può divulgare se non o per difetto della donna o per alcuna virtù che non sia sua propria.
A ragion, duque, par che Tucidide quella famosa sentenza pronunciasse, e che contra ragione da Plutarco fosse difesa: e la fama della pudicizia, ch'è più convenevole alla donna che alcun'altra, non può molto divulgarsi se la virtù della pudicizia, ch'è quella dalla quale principalmente deriva, ama la ritiratezza e i luoghi privati e solitari e fugge i teatri e le feste e i pubblici spettacoli, e se si divulga, non può intatta o netta a' posteri o alle lontane nazioni trapassare.
Ma onde aviene che la donna impudica sia infame, e l'uomo impudico infame non sia riputato? Forse per la stessa ragione per la quale la timidità, che si biasima nell'uomo, non è vergognosa nelle donne, perciò che così l'uomo come la donna è onorato e disonorato per il proprio vizio e per la propria virtù, e non per gli altri, o almeno non tanto che lor si debba attribuire assolutamente il nome d'onorato e di disonorato.
Onde essendo propria virtù dell'uomo la fortezza, per la fortezza è onorato, e alla fortezza erano più statue da gli antichi ch'a niun'altra virtù dirizzate; sì come, all'incontro, per la viltà è disonorato.
Similmente la donna per la pudicizia è onorata, e disonorata per l'impudicizia, perché l'uno è suo proprio vizio e l'altro suo propria virtù.
Ma contraria alla nostra opinione par che sia l'autorità d'Aristotele in quel luogo ov'egli tratta delli estremi della temperanza, perciò che ivi che l'abito dell'intemperanza s'acquista più spontaneamente che quel della timidità, e che per ciò è degno di maggior riprensione, perché è più facile avezzarsi alle cose che recan piacere; e soggiunge che la timidità non pare volontaria, come gli altri vizi, per ciò che apporta dolore e in guisa co'l dolore rende attonito, che sforza a gittar l'arme e a far altre cose contra il decoro, le quali paiono violente.
Questa opinione d'Aristotele, nel proposito ch'egli la dice, è vera: ma noi consideriam ora queste cose non come le considera il moral filosofo, ma come dal politico son considerate; e secondo l'opinione de' civili, l'infamia a' timidi s'attribuisce.
Onde nel capitolo de' cinque modi di fortezza non vera, si leggono appresso Aristotele queste parole: I cittadini per l'esortazione delle leggi, e per le pene di vergogna proposte, s'espongono a' pericoli e prendono gli onori, onde paiono fortissimi, appresso i quali i timidi sono infami, e i forti sono onorati.
E qui voglio soggiungere che non solo appresso il politico, ma né anco appresso il morale, ogni vizio reca infamia e disonore; e molti sono gli estremi delle virtù i quali, se ad Aristotele crediamo, non possono essere cagione di scorno, non che di disonore.
Fermaremo, dunque, questa conclusione: che l'uomo per la viltà, e la donna per l'impudicizia sia disonorata, perché quella è proprio vizio dell'uomo, e questa della donna.
Non niego nondimeno che la fortezza non sia virtù feminile ancora, ma non l'assoluta fortezza, ma la fortezza ch'ubidisce, come dice Aristotele.
Molti di quelli atti, nondimeno, che sono atti di fortezza nelle donne, non sarebbono atti di fortezza negli uomini; e all'incontro, molte azioni nella donna, azioni di temperanza sarebbono giudicate, che negli uomini a niuna intemperanza si possono ridurre.
Ma qual ordine di virtù nondimeno è più proprio dell'uomo? qual della donna? puossi più universalmente insegnare che da Aristotele non è insegnato.
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