[Pagina precedente]...nore faceto e amabile, ma assestato e intollerantissimo del disordine nelle cose sue, occupava un camerino sopra coperta. Ora mentre egli giocava nel salone o passeggiava a prua, la signora e una sua amica avevano preso l'abitudine d'andargli a metter tutto sottosopra per farlo poi ammattire a riordinare. E il gioco era riuscito bene parecchie volte. Ma un giorno essendosi arrischiata sola la svizzerella a fare il solito arruffio, era sopraggiunto all'impensata l'argentino e, montato sulle furie, aveva chiuso l'uscio del camerino per obbligarla a rimettere ogni cosa al suo posto. Senonché le cose spostate essendo molte, il lavoro di riordinamento era durato un pezzo, e levatasi in quel frattempo una burrasca per effetto d'un colpo di vento improvviso, la signora aveva dovuto rimaner chiusa là dentro per varie ore, mentre di sotto, pei corridoi, il marito spaventato la chiamava da ogni parte ad alte grida, e voleva che si gettasse una lancia in mare per ripescarla, senz'accorgersi della ridente commiserazione che lo circondava. Nondimeno tutto era finito senza guai. Ma in questo viaggio pareva che il signore e la signora non dessero segno di conoscersi. Io mi voltai a guardar lui, in fondo alla tavola: era un bruno tra i trentotto e i quaranta, di profilo energico, con l'occhialetto: una faccia d'uomo, infatti, da non permettere che gli si violasse impunemente il domicilio. Quanto al marito professore, disse l'agente, era un bel capo: appassionato, sebbene avesse una faccia più letteraria che scientifica, per gli studi di meccanica nautica: passava le giornate in grevi meditazioni davanti alla macchina, ai timoni, ai verricelli, a ogni più piccolo ordigno del piroscafo, facendosi dare dagli uffiziali delle spiegazioni minute, che andava poi a ripetere a prua, per il gusto di sbocconcellare al popolo il pane della scienza, mentre altri gli addentava il suo a poppa. Ma in quel momento io stavo osservando, accanto all'argentino, un signore biondo slavato, con due favoriti che parevan due salici piangenti di capelli, come quei che si vedono nelle vetrine dei parrucchieri; il quale girava intorno degli occhi di pesce sospettosi, e non parlava a nessuno. Domandai all'agente se sapeva chi fosse. Oh! un bel caso. Si sospettava che fosse un ladro fuggitivo. Ne correva la voce sul Galileo. Era un francese. Non si sapeva quale dei passeggieri, leggendo il Figaro arrivato a Genova il giorno stesso della partenza, aveva creduto di riconoscere una maravigliosa rassomiglianza fra quella faccia strana e diffidente, e certi connotati che dava il giornale parigino di un cassiere di non so quale casa bancaria di Lione, scappato tre giorni prima, lasciando un vuoto di macchina pneumatica. Egli avrebbe fatto delle investigazioni: alla peggio, sperava di scoprire il segreto all'arrivo, quando fosse salita a bordo la polizia. Della coppia matrimoniale che sedea dirimpetto a costui, non aveva ancora chiesto informazioni: erano i miei due vicini di camerino, quelli della spazzola: la signora, sulla quarantina, piccoletta, con due occhi freddi, e un perpetuo sorriso forzato sulle labbra sottili; non brutta, ma di quelle persone a cui l'animo ha guastato il viso, le quali, a primo aspetto, ispirano ripugnanza per cagion del male che debbono fare agli altri, e compassione per quello che debbono soffrire esse medesime: il marito, una figura di maggior di cavalleria in riposo, d'animo forte, pareva; ma domato da una natura più forte della sua, e logorato da un'afflizione sorda e immutabile. Non si parlavano mai, come se non si conoscessero, e non erano mai insieme, fuorché a tavola; ma il mio vicino aveva osservato che lei saettava a lui delle terribili occhiate di traverso, quando le pareva che fissasse qualche signora: all'affetto morto era sopravvissuta la gelosia dell'orgoglio. Una coppia male accoppiata, insomma, come due forzati stretti da una catena, fra i quali ci doveva essere un'avversione profonda, e un mistero. Quello che conosceva meglio di tutti era il comandante: bravo marinaio, rozzo e irascibile, possessore d'un vocabolario maravigliosamente ricco di sacrati e d'ingiurie genovesi, che prodigava al basso personale dell'equipaggio: vere litanie d'improperi, condotte con un crescendo di effetto irresistibile; e altero della vigoria dei suoi pugni, dei quali s'era molto servito durante i suoi vent'anni di onorato comando. Aveva una fissazione, quella d'una severità assoluta in fatto di morale. Porcaie a bordo no ne véuggio. - Non voglio porcherie a bordo - era il suo intercalare. Voleva il bastimento casto come un monastero, e credeva d'ottenerlo. All'occasione dava delle lezioni memorabili. In uno degli ultimi viaggi, avendo scoperto una sera che due passeggieri di diverso sesso, non legati né dal codice né dalla chiesa, erano addormentati in un camerino di coperta, egli aveva fatto inchiodare una grand'asse a traverso all'uscio, e ce l'aveva lasciata fino a che i due, il dì seguente, morsi dalla fame, dopo aver picchiato furiosamente, erano stati costretti a uscire coram populo, mëzi morti da-a vergêugna. Ma aveva rischiato d'ammalare dalla rabbia nell'ultima traversata, portando da Buenos Ayres a Genova un'intera compagnia lirica, e un corpo di ballo di cento e venti gambe; a tener a segno le quali non ci sarebbero stati sul piroscafo abbastanza assi né chiodi; e tutta la sua eloquenza minacciosa nella lingua del scì non aveva impedito che il Galileo si convertisse in un paradiso maomettano, filante dodici miglia all'ora. In condizioni ordinarie, peraltro, quando non era soverchiato dal numero e dall'audacia del nemico, era rigoroso al punto da non tollerare nemmeno un corteggiamento discreto. Ma si vantava di far stare tutti a segno senza mancare menomamente alle leggi della cortesia, di saper dir tutto a tutti senza offendere. Quando un passeggiere si stringeva troppo intorno a una signora, egli lo chiamava in disparte, e gli diceva rispettosamente: - Mi scusi, lei comincia a diventar nauseante (angoscioso). Porcaie a bordo no ne vêuggio. Del rimanente, un galantuomo. Il vecchio maestoso che gli stava accanto - l'Hamerling -, era un chileno, un gran signore, chiamato a bordo quello che fa forare una montagna, perché aveva fatto quel po' di viaggio dal suo paese (trentacinque giorni di mare) per andare a comprare delle perforatrici in Inghilterra, non trattenendosi in Europa, dallo sbarco all'imbarco, che due settimane precise. Serio, come sono i chileni in generale, e di modi aristocratici, aveva bazzicato nei primi giorni la brigata degli argentini; ma questi avendolo punto in una disputa sull'eterna questione dei confini meridionali delle due repubbliche, egli se n'era scostato, e non parlava più che col comandante e col prete. Altri non conosceva, per il momento, il mio vicino. Ma andava spiando un giovane toscano sbarbatello e azzimato, seduto a tavola davanti alla moglie del professore, addosso alla quale lasciava gli occhi, assorto a tal segno che qualche volta gli rimaneva la forchetta per aria, a mezza via tra il piatto e la bocca, come colpita anch'essa d'ammirazione. Costui aveva l'aspetto d'un Don Giovannino affamato, che facesse la prima volata lunga fuori di casa; ma dotato, sotto quell'apparenza di primo amoroso esordiente, d'un'audacia unica; e mentre circuiva la svizzera, che doveva aver conosciuto a terra, faceva ogni momento delle escursioni a prua, fiutando l'aria come un poledro stallino, la sera in special modo, con molto rischio di farsi spolverare dagli emigranti i panni attillati, ch'ei cambiava due volte al giorno. Ciò dicendo, l'agente fece rotolare un'arancia fin quasi sul piatto dello sposo, e tese improvvisamente la mano, dicendo: - Favorisca... - Povero sposo! Proprio in quel momento, approfittando della solita confusione d'ogni fin di pasto, egli lasciava spenzolare il braccio destro sotto la tavola, mentre la sposa teneva nascosto nello stesso modo il braccio sinistro: alla improvvisa domanda, le due mani risalirono vivamente sopra la mensa, separate, è vero, ma troppo tardi: la "casta porpora" aveva già tradito il segreto. - Son troppo felici, - mi disse sotto voce l'agente; - gli voglio amareggiare la vita. - Poi s'alzò, e mezz'ora dopo, salendo sul cassero, lo vidi sul castello centrale, che discorreva con un prete delle seconde classi. Ma queste, quasi spopolate, non dovevano offrire gran pascolo alla sua curiosità. C'eran due preti vecchi che leggevano quasi sempre il breviario; una vecchia signora sola, con gli occhiali verdi, che sfogliava dalla mattina alla sera una raccolta di antichi giornali illustrati, e una famiglia numerosa, tutta vestita a lutto, che formava in mezzo al piroscafo un gruppo nero e triste, immobile per ore intere. Solamente i due ragazzi più piccoli facevano qualche volta, per il ponte pénsile, una scappata fin sul cassero di poppa, dove la signorina dalla croce nera li carezzava mestamente, con le sue manine affilate d'inferma.
RANCORI E AMORI
Uno spruzzo d'acqua ricevuto in pieno viso la mattina all'alba, nel punto che aprivo il finestrino per respirare, mi fece stare in cuccetta tutto il giorno dopo, con un turbante bagnato intorno al capo, a meditare sulla brutalità del gran padre Oceàno: lo schiaffo era stato così violento e appoggiato bene, che m'aveva mandato a battere della contraccassa del cervello nella parete opposta al camerino, e fatto ricadere stordito, in un lago d'acqua, con la bocca piena di sale.
Per quest'accidente non potei fare che la mattina del nono giorno la mia prima visita agli emigranti. Ruy Blas, porgendomi dignitosamente il caffè, m'annunziò che il tempo era bello; ma più che il suo decotto, mi svegliò il solito concerto mattutino dei gorgheggi del tenore e del gnaulío del bimbo brasiliano, accompagnati dalle note del pianoforte, che doveva esser sonato da quel bel tometto della signorina della lettera. Fra questi rumori, mi ferì l'orecchio una discussione concitata che veniva dal camerino accanto, occupato dalla signora della spazzola e da suo marito. Oh miseria! Non capivo che qualche parola qua e là; ma lo stridore e l'accento di quelle due voci, ferme nella loro concitazione, e animate da un sentimento meno caldo e più tristo dell'ira, rivelavano la consuetudine della disputa nata di nulla, involontaria quasi, come uno straripamento improvviso di pensieri e di sensi maligni, ch'ei lasciassero andare per non morir soffocati. Il dialogo era rotto da risa sardoniche e da parole tronche, ripetute parecchie volte or dall'uno or dall'altro, sullo stesso tuono, come un ritornello ingiurioso, e da certi: - Taci! Taci! - piuttosto che detti, fischiati, in cui non si distingueva più la voce dell'uomo da quella della donna, e parevan lacerati dai denti. Era come una lotta sommessa di soffi avvelenati, cento volte più penosa a sentirsi che le percosse e le grida. Che tremenda cosa quell'odio coniugale dentro a quella segreta, nel mezzo dell'oceano, quelle due creature avviticchiate per mordersi, che portavano da un mondo all'altro l'inferno che le straziava! Tutt'a un tratto tacquero, e pochi minuti dopo, mentre io uscivo, uscivano essi pure, vestiti di tutto punto, e apparentemente impassibili; ma, arrivati alle due scalette che conducevano in coperta, voltarono l'uno a destra l'altro a sinistra, senza guardarsi. Pel corridoio m'imbattei nel giovine toscano, attillato, che stava in sentinella, e passando davanti all'uscio della signora svizzera, mi parve di veder scintillare al fessolino un occhio azzurro. Poi m'urtai nell'agente, il quale mi disse ex-abrupto: - Ma sa che quegli sposi mi seccano! - Aveva sentito che la sposa, la sera, diceva le orazioni. E poi... mille noie. Fra le altre cose, a tempo perso, studiavano la grammatica spagnuola: coniugavano dei verbi a mezza voce, interrompendosi a ogni tempo per darsi dei baci. Giusto la sera avanti aveva inteso un passato remoto insopportabile. Voleva farsi cambiar di camerino. E aveva notizie nuove da darmi intorno a nuovi personaggi; ma lo pre...
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