[Pagina precedente]...falsetto, come li fanno i popolani dell'alta Italia, in fondo a ogni strofa di canzonetta. Alla colazione, rallegrata da un suon di pifferi e di zampogne, fu fatta una distribuzione straordinaria di galletta, di cui tutti s'empiron le tasche, e il "cambusiere" mescè senza possa rum e acquavite come un cantiniere di reggimento il giorno della battaglia. Dopo di che, tutti i passeggieri, appoggiati al parapetto o seduti, si voltarono verso occidente, ad aspettare l'apparizione del nuovo mondo.
Ma le ore passarono, e la terra non spuntava. Il cielo era sparso di nuvole, ma l'orizzonte sgombro, e il mare presentava sempre la sua linea azzurra nettissima, senza un'ombra di promessa. Dopo il mezzogiorno i passeggieri cominciarono a dar segni di stanchezza. A quella gente che aveva avuto tanta pazienza per tre settimane, non ne rimaneva più un briciolo per le ultime ore. E molti già s'indispettivano e si lagnavano. Come mai non si vedeva nulla? Gli ufficiali avevan dunque sbagliato i calcoli? La terra si sarebbe già dovuta vedere. Oramai non saremmo più arrivati in giornata. E Dio sa quando si sarebbe arrivati. - Piroscafi italiani! - era tutto detto: fortuna quando s'arrivava entro l'anno. E facevan delle allusioni maligne, quando passava un ufficiale, guardandolo di mal occhio. Molti, anzi, affettando di non creder più che s'arrivasse, scrollavan le spalle e voltavano la schiena al mare, fingendo di occuparsi d'altro. Ma ogni volta che l'ufficiale del dispaccio, ch'era di guardia sul palco, appuntava il canocchiale, tutti fissavano gli occhi su di lui, in grande silenzio; e non ricominciava il mormorio se non quando era tolta ogni speranza dall'atto d'indifferenza con cui egli riabassava lo strumento. Egli però non si moveva dall'estremità del terrazzino; il che faceva credere che s'aspettasse da un momento all'altro di veder qualche cosa. Il contadino dal naso mozzo, intestato di voler esser il primo ad annunziare l'America, stava ritto a metà della scaletta del palco, pronto a cogliere a volo il primo movimento dell'ufficiale, per lanciare il grido, e ad ogni alzata del cannocchiale faceva con la mano verso la folla un gesto maestosamente buffo, come d'un tribuno che imponga silenzio alla moltitudine in un momento supremo.
A poppa, intanto, tutti pure aspettavano; le signore sedute, rivolte a occidente; gli uomini facendo dei nastri pel cassero, eccitati. La signorina di Mestre stava al suo posto solito, tra il garibaldino e la zia, più pallida in viso, e più sfinita che gli altri giorni; ma non più triste; anzi più accesa e più vivente negli occhi, che non l'avessi mai vista, e con un'espressione di bontà straordinaria, che pareva una bellezza nuova che le fosse venuta, dopo il trabocco di sangue. Per la prima volta era vestita tutta di nero, e la chiarezza diafana delle sue carni pigliava da quel vestito un risalto che metteva sgomento, come una faccia viva che uscisse di sotto a un panno mortuario. Essa e la zia tenevan sulle ginocchia delle carte e dei piccoli involti di panni, che andavano raccomodando con la punta delle dita. C'erano pure la madre della pianista e la signora grassa, sedute alle due estremità opposte del cassero; la prima con la sua solita faccia di isterica, che mostrava i bei denti, con un'espressione di ferocia rincrudita; l'altra col suo faccione benigno, ridipinto di beatitudine alcoolica, come se avesse tutto dimenticato. Tutte le altre signore facevano coi loro vestiti chiari una macchia di colori allegri, come una filza di bandiere marine, spiegate in segno di festa. Ma anche lì si cominciava a manifestar l'impazienza: i piedi stropicciavano il tavolato, le mani tormentavano i ventagli, le teste s'agitavano, le conversazioni andavano pigliando una tinta verdognola, e non si dicevano contro il comando le sciocchezze piccose degli emigranti, ma si pensavano, e schizzavan dagli occhi di tutti.
A una cert'ora, la signorina s'alzò, appoggiandosi al braccio della zia, e tutt'e due, coi loro involti, si diressero verso le terze classi. Sulla piazzetta si unì a loro la cameriera veneta, che le aspettava, tenendo fra le braccia altre robe. Essendo quella l'ultima visita ch'essa faceva a prua, curioso di vedere, presi per la passerella delle seconde classi, e passando per il castello centrale, andai sul palco di comando.
Aveva forse scelto quell'ora per esser meno osservata, essendo tutta l'attenzione dei passeggieri rivolta all'orizzonte. Dal palco potei seguire con gli occhi tutti i suoi giri in mezzo alla folla, e fui maravigliato al vedere quanta gente conosceva, a quanti aveva fatto del bene in quei pochi giorni. Rimise al contadino malato di febbre e a sua moglie il frutto della colletta; diede roba a un'altra famiglia, vicino all'albero di trinchetto; ad altri porse biglietti e lettere; poi s'accostò alla ragazza genovese, e non vidi bene, perché la gente s'era affollata, ma mi parve che le infilasse un anello nel dito. I ragazzi le correvano incontro da ogni parte, un branco dei più piccoli la seguitava, ed essa passava una mano sulle fronti, e coll'altra dava dolci e soldi. Andò a salutare la famiglia di Mestre, e baciò il piccolo Galileo. Vari uomini le si avvicinarono col cappello basso, e stettero discorrendo un poco con lei, come se le chiedessero consiglio. Qua e là dava strette di mano, e sembrava che si congedasse. Il suo piccolo viso bianco e i suoi capelli di morta si perdevano nella folla, poi riapparivano: si nascose nell'ombra sotto il castello di prua, ricomparve alla porta della "cambusa" sparì per la scala dell'infermeria, la rividi accanto al verricello, in mezzo a un gruppo di donne che sporgevano verso di lei i bambini lattanti, perché la toccassero. Dove passava, le faccie ridenti si ricomponevano, quelli che schiamazzavano, abbassavan la voce, tutti si scansavano e si voltavano. E il suo volto mostrava una stanchezza mortale, ma sempre aveva quel sorriso, un tremolìo luminoso negli occhi velati e sulle labbra smorte, nel quale pareva che si fosse ridotta tutta la sua vita, come un ultimo luccicore di sole sopra una rosa bianca, già curvata verso terra. Quando fu al passaggio coperto per tornar verso poppa, si fermò un momento e respirò, premendosi una mano sul petto. Lì sopraggiunse la contadina di Mestre che le baciò la manica del vestito, e scappò. Essa riprese il cammino, lentamente.
E la terra non spuntava! Ma già io non avevo più alcuna impazienza. Ed ero stizzito con me stesso perché, dopo averla tanto sospirata, quell'imminenza dell'arrivo in America non mi destava più alcuna commozione. Era un altro fenomeno morale simile a quello che avevo provato nei primi giorni del viaggio, in faccia al mar giallo; una specie di sincope del sentimento della curiosità e del piacere. Come se non mi rimanesse uno solo dei mille ardenti desideri con cui ero partito, il pensiero della terra nuova non mi dava più che un senso di noia, accompagnato dalla preoccupazione meschina delle seccature dello sbarco, e dalla molestia d'un brucior di gola che m'aveva lasciato un sigaro cattivo. E mi faceva perfino dispetto l'agitazione degli altri, - sciocchi, - che parevano smaniosi di ritornare alle fatiche e agli affanni d'ogni giorno, come se quelle tre settimane di navigazione non fossero state per tutti uno dei periodi meno tristi della vita. Tanto che, per non vedere, m'andai a sedere nel camerino del Commissario, e vi rimasi un pezzo a rileggere un vecchio numero del Caffaro maledicendo, tra una colonna e l'altra, ai libri, ai racconti di viaggio, alle stampe e alle conferenze che ci rendono familiari i paesi più lontani, e ci mandano a vederli con la mente già piena e sazia della loro immagine, incapaci d'ogni forte impressione. Dio mio, è così: mi dovrei vergognare di confessarlo: a poche miglia dal continente americano, io mi scervellavo sopra una sciarada del giornale genovese, della quale mi scappava il secondo
Il secondo è sempre in moto;
e correvo col pensiero tutti i regni della natura per rintracciar quel segreto, mentre il marinaio gobbo, indifferentissimo egli pure all'America, lustrava la maniglia d'ottone dell'uscio, canterellando una canzonetta ligure
Gh'ëa na votta na bælla figgia
con una voce strascicata e nasale, che mi addormentava.
A un tratto il canto cessò, come se l'attenzione del marinaio fosse improvvisamente attirata altrove, e udii dalla parte del palco un grido altissimo - lungo - interminabile - lamentevole:
- L'America!
Mi corse un brivido per le vene. Fu come l'annunzio d'un grande avvenimento inatteso, la visione immensa e confusa d'un mondo, che mi ridestò tutt'in un punto la curiosità , la maraviglia, l'entusiasmo, la gioia, e mi fece scattare in piedi, con un'ondata di sangue alla fronte.
Un altro grido, ma di mille voci, rispose a quel primo, e nello stesso tempo il piroscafo s'inclinò fortemente a destra sotto il peso della folla accorrente.
Corsi sul cassero, cercai all'orizzonte... Per qualche momento non vidi nulla. Poi, aguzzando lo sguardo, distinsi una striscia rossastra che si perdeva a destra e a sinistra in due lingue sottili, simile a una nuvola leggerissima che lambisse la faccia del mare.
E stetti qualche minuto a guardare, stupito come gli altri, senza sapere di che.
Molte esclamazioni proruppero intorno a me. - Està mos a casa! - Ghe semmo finalmente! - Quatre heures, vingt-cinq minutes! — esclamò il marsigliese, guardando l'orologio: — l'heure que j'avais prevue. - Ecco la vera tierra del progresso! - gridò il mugnaio. - Il tenore disse semplicemente, con l'aria di dire una cosa profonda: - L'America! - La signora grassa, sovreccitata, chiamava l'uno e l'altro per nome, fraternamente, per pregarli che guardassero, che facessero festa a quel lembo di terra, ch'essa vedeva forse assai più vasto di noi. La sola faccia che rimaneva chiusa era quella del garibaldino, e al vederlo, provai un nuovo senso di ripulsione per lui, parendomi che fosse troppo, che fosse una miseria ignobile alla fine quella di veder tutto l'universo morto perché son morte quattro povere illusioni nel nostro povero cuore.
E corsi subito a prua, dove al primo tumulto era seguito un grande silenzio. Tutti stavano con gli occhi fissi su quella striscia di terra nuda, dove non vedevano nulla, immobili e assorti, come davanti alla faccia d'una sfinge, a cui volessero strappare il segreto del proprio avvenire, e come se al di là di quella macchia rossastra apparissero già al loro sguardo le vaste pianure su cui avrebbero curvato la fronte e lasciato le ossa. Pochi parlavano. Il piroscafo volava, la striscia di terra s'alzava e s'allungava. Era la costa dell'Uruguay. Non si vedeva né vegetazione né abitato. Parecchi che s'aspettavano di scoprire una terra maravigliosa, parevan delusi; dicevano: - Ma è tale quale come i paesi nostri. - In un crocchio parlavano di Garibaldi, che su quella costa aveva combattuto, e si capiva che il trovar dopo tanti giorni di viaggio una terra sconosciuta dove quel nome era vivo come nella patria, ingigantiva smisuratamente la sua gloria nel loro concetto. Una contadina giovane, seduta vicino all'uscio del dormitorio, con un bimbo fra le braccia, piangeva, e suo marito la trattava di fabioca (scimunita), dandole del gomito nella spalla. Domandai a una vicina che cos'avesse. Un'idea, rispose. La vista dell'America, come se soltanto al vederla si fosse persuasa d'aver abbandonato irrevocabilmente il suo paese, le aveva stretto il cuore, e s'era messa a piangere. Mi spinsi oltre, vicino al castello di prua. E trovai due operai torinesi seduti sull'opera morta... Ah! questa non la scorderò mai più. Sulle acque dell'oceano, in faccia al nuovo mondo e al nuovo avvenire, in quel momento solenne, discutevano intorno all'ubicazione precisa della trattoria di Casal Borgone: se fosse sul crocicchio di via Deposito e di via del Carmine, o di via del Carmine e di via dei Quartieri; e uno di essi s'arrabbiava. In generale, le donne si mostravan più pensierose degli uomini; molte parevano attonite. Di all...
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