[Pagina precedente]...ava confessando parecchi nel dormitorio degli uomini. Varie donne avevan domandato supplicando che le lasciassero andare a salutare l'ultima volta i loro mariti prima di morire, e altre di poter salire un momento in coperta, un momento solo, per gettare in mare un'immagine di santo o una crocetta che avrebbero calmate le onde. Ce n'era pure che lo scongiuravano in nome del cielo che facesse voltare il bastimento per tornare indietro. Una delle più atterrite era stata quella falsa leonessa della bolognese, che singhiozzava e s'arruffava i capelli apostrofando il destino, come un'attrice di circo. E raccontava anche degli esempi di paura ingenua. Una povera vecchia l'aveva chiamato dalla sua cuccetta, e, con la voce strozzata dal pianto, mettendogli in mano settanta lire in argento, l'aveva pregato, già che era destino che s'andasse a fondo, che gli facesse la carità di far pervenire quella somma a suo fratello, a Paranà ; come se, qualunque disastro avvenisse, fosse legge di natura che gli ufficiali di un piroscafo dovessero giungere salvi a destinazione. Una povera contadina, cadendo da una cuccetta del secondo piano, aveva abortito. Altre dallo spavento avevano perso la parola, e non facevano più che voci inarticolate e gesti di deliranti. In quel momento ancora ce n'erano molte che non volevano credere che fosse cessato il pericolo, e stavano sempre afferrate convulsamente alla loro cuccetta, respingendo ogni parola di consolazione. Povere donne! Esse mettevano anche più compassione perché non nascondevano per orgoglio l'animo loro. Quelle già risalite sopra coperta, alcune con la testa fasciata, molte con dei gonfi sul viso, tutte spossate e come inebetite, che guardavano il mare con quell'occhio che si dice proprio dei groenlandesi, quasi pietrificato dalla visione abituale d'un infinito lugubre, davano una dolorosa immagine dello stato in cui dovevan essere ridotte quelle di sotto. La vivacità loquace che suol succedere ai pericoli scampati non era nata ancora. Tutti erano ancora agitati per modo che ad ogni ondata più grossa, ad ogni sbalzo forte del piroscafo, davano indietro dai parapetti, rimescolandosi, pronti a ricadere nel terrore di prima, e volgevan gli occhi dilatati verso il palco di comando, per consultare il viso degli ufficiali. Non cominciarono a rasserenarsi che quando videro uscire dalla macchina, coi torsi nudi e coi visi infiammati e sudanti, superbi della loro vittoria, i fuochisti di ricambio, che andavano a riposare delle loro fatiche straordinarie: perché, durante la tempesta, tutti erano stati chiamati, dovendo quelli che lavoravano ai fuochi esser tenuti ritti a braccia dai loro compagni, per non rompersi la nuca contro le caldaie o bruciarsi la faccia nelle fornaci.
Ma allo spuntare delle prime stelle rinacquero la spensieratezza e l'allegria, e sorse un tale cicaleccio da ogni parte che pareva che tutti i mille e settecento passeggieri parlassero insieme. Tutti descrivevano, tutti raccontavano, ed eran racconti concitati, interminabili e dieci volte ripetuti di mille piccoli incidenti di nulla, che la paura aveva ingigantiti nella immaginazione di ognuno, e che assumevano nell'esagerazione del discorso l'importanza di fatti degni di poema e di storia. Metà dei passeggieri, dimenticando o negando la paura propria, dipingeva a colori comici, e fingeva di sprezzare, e forse disprezzava realmente la paura dell'altra metà . Dopo la cena, s'intese a prua un chiasso straordinario di canti e di grida di briachi. E anche alla nostra mensa ci fu festa. Tutti sgranocchiarono come lupi, contenti della vita, beffandosi dell'oceano. E il pranzo finì comicamente con un brindisi che fece il marsigliese all'intrepidité froide del comandante, con l'accento e il sorriso consapevole di uno che se ne intende. Ma l'avvocato non c'era. E, con rammarico di tutti, mancava anche la signorina di Mestre, che da quelle otto ore di strapazzo era stata scossa profondamente, e aveva avuto un trabocco di sangue.
DOMANI!
La mattina seguente il cielo e il mare erano splendidi, e tutta la popolazione del Galileo si dava moto, perché se il tempo durava bello, si sarebbe arrivati in America la sera dopo, forse ancora in tempo per isbarcare, e bisognava preparar le robe con comodo, e intendersi un po' tra amici e conoscenti intorno al da farsi. L'affare più grave era l'iscrizione per lo sbarco, il decidere, cioè, se convenisse di andare o no dal Commissario a farsi notare fra coloro che intendevan di valersi delle offerte del Governo argentino, il quale pagava le spese dello sbarco agli immigranti che lo chiedessero, e dava loro vitto e ricovero per cinque giorni, e a quelli che si recavano nelle provincie dell'interno, il viaggio gratuito. Quell'atto di farsi o non farsi iscrivere era chiamato dagli emigranti "dichiarar di voler essere o no con l'emigrazione". Certo, i vantaggi erano grandi; ma eran grandi anche le diffidenze, poiché quella generosità del Governo (era un Governo!) dava a sospettare che vi si celasse qualche tranello, e che l'accettarla, fra l'altre cose, fosse un vincolare fin d'allora la propria libertà riguardo alla scelta dei luoghi e alle condizioni dei contratti. Ciò non ostante, i più accettavano, e v'era una processione continua all'uffizio del Commissario, che pareva ridotto un'agenzia. Entravano e, dando il nome, stroppiavano in cento modi quell'unica parola difficile che avevan da dire: - Mi noti con l'amigrazione. - Accetto l'anmigrazione. - Vado con l'inimigrazione. - O pure, senz'altro: - Tal dei tali, migrazione. - Molti, peraltro, ci andavano senz'aver anche preso una risoluzione, come si va a chiedere un parere a un uomo di legge, e dopo essersi fatti dare molti ragguagli, rifiutavano. Le più perplesse erano le donne, le quali, quasi tutte, si fermavano a riflettere ancora una volta sull'uscio, grattandosi la fronte, come se si fosse trattato del destino di tutta la loro vita; e alcune, dato il nome ed uscite, ritornavano in fretta mezz'ora dopo a farsi cancellare, perché avevan saputo che il governo tradiva. E con questi, era un affollarsi d'altri emigranti che venivano a chiedere informazioni intorno alla dogana, se per la tal cosa avrebbero dovuto pagare o no, e quanto, e anche se ci fosse modo di scansar la visita, per via di favore o d'astuzia. E commoveva il sentire di che povere cose si trattasse, di regali, per lo più, che portavano a parenti o ad amici d'America: chi una bottiglia di vino particolare, chi un caciocavallo, chi un salame, o un chilogramma di paste di Genova e di Napoli, un litro d'olio, una scatola di fichi secchi, perfino una grembialata di fagiuoli, ma di casa propria, di quel tal angolo dell'orto, di cui il parente o l'amico si doveva ricordare sicuramente. E venivano a domandare se fosse soggetto a dazio un piffero, una zampogna, un merlo, una cassapanca piena di padelle e di pentole usate. Tutti parevano compresi dal terrore della dogana di Montevideo e di Buenos Ayres, della quale avevano udite raccontare cose favolose, e ne parlavano come d'un passaggio di foresta di mala fama, dove fosse appostata una banda, che li avrebbe ridotti in camicia. Ma quelli che mettevan più compassione erano i malaticci, e certi vecchi soli: gli uni timorosi che la loro brutta cera desse nell'occhio al medico americano, alla visita dell'arrivo, e che questi li facesse cacciare in un lazzaretto; gli altri tormentati dal dubbio che non salissero a bordo in tempo, secondo l'intesa, il figliuolo o un parente prossimo, che doveva far garanzia dei loro mezzi di sussistenza; senza di che, giusta la legge argentina, che respinge le bocche inutili di sessant'anni, non avrebbero potuto sbarcare. Gli uni e gli altri venivano a domandare al Commissario, ansiosi, che cosa sarebbe accaduto di loro in quei due casi di disgrazia, e uscivano crollando il capo, tristamente.
E il Commissario scriveva e scriveva, e si vedeva ripassar dinanzi l'un dopo l'altro i protestanti della montagna a cui aveva fatto delle reprimende, le ragazze che gli avevan rotto la testa con gli amori, le mamme che l'avevano infastidito con le gelosie, gli innamorati impudenti, le comari mettiscandoli, i rissanati che era stato costretto a spartire e a punire; e a ciascuno mostrava di riconoscerlo con un sorriso, o con un scotimento di capo, o con una buona parola. Ed io, accanto a lui, non mi stancavo di riguardar quel camerino pieno di registri e di tabelle, pensando a quanti racconti di miserie e bugie romanzesche di ragazze e ire di litiganti e pianti di donne aveva già intesi. E più che altro mi attiravano i sacchi della posta, accumulati in un canto, legati e suggellati. Poiché v'eran là dentro i frammenti del dialogo di due mondi: chi sa quante lettere di donne che per la terza o la quarta volta chiedevano dolorosamente notizie del figliuolo o del marito, che non si facevan vivi da anni; e supplicazioni perché tornassero o le chiamassero a raggiungerli; domande di soccorso, annunzi di malattie, e di morti; e ritratti di ragazzi che i padri non avrebbero più riconosciuti, e richiami desolati di fidanzate e menzogne impudenti di mogli infedeli e ultimi consigli di vecchi: tutto questo mescolato a letteroni irti di cifre di banchieri, a epistole amorose di ballerine e di coriste, a prospetti di negozianti di vérmut, a fasci di giornali aspettati dalla colonia italiana, avida di notizie della patria; forse anche l'ultima poesia del Carducci e il nuovo romanzo del Verga: una confusione di fogli di tutti i colori, scritti in capanne, in palazzi, in officine, in soffitte, ridendo, piangendo, fremendo. E tutti quei sacchi si sarebbero sparpagliati fra pochi giorni dalle foci del Plata ai confini del Brasile e della Bolivia e fino alle rive del Pacifico e nell'interno del Paraguay e su per i fianchi delle Ande, a suscitare allegrezze, rimorsi, dolori, timori; i quali poi, alla volta loro, pigiati in altri sacchi, avrebbero fatto in direzione opposta il medesimo viaggio, ammucchiati in un altro camerino come quello, dove avrebbero visto passare altre processioni di povere genti, che se ne ritornavano al mondo vecchio, forse meno poveri, ma non più felici di quando l'avevano abbandonato con la speranza d'una sorte migliore.
Intanto la processione continuava. - Tal di tali: sta col Governo. — Tizio: con la migrazione. — Caio: disambarco ed asilo. - Il lavoro fu interrotto da un'apparizione improvvisa della bolognese, che veniva con tutte le furie addosso a lagnarsi d'una nuova sanguinosa offesa d'un canaglia d'erbóff, il quale, passandole accanto e toccandole la borsa misteriosa, le aveva detto, con evidente allusione a quel certo supposto irripetibile: - Pagano dogana. - Essa lo voleva vedere sul palco di comando coi ferri ai piedi e alle mani, o avrebbe proclamato davanti a tutti i Consoli d'America che gli ufficiali del piroscafo tenevano mano a tutti i più sfacciati boletà ri di terza per avvilire le ragazze onorate. Essendo vicina l'America, non parlava più del parente giornalista. Il Commissario la rimbeccò, senz'alterarsi, promise che, finita l'iscrizione, avrebbe fatto giustizia, e si voltò in tronco verso due contadini irritati, i quali ritornavano a farsi cancellare dall'elenco, per non cadere nelle mani di quei boia de lader che si offrivano di sbarcare gratis gli emigranti per essere i primi a spogliarli e a far delle proposte sporche alle loro donne. Erano evidentemente notizie raccolte calde calde a prua, dove degli agitatori lavoravano a scaldare le teste. Andato là , in fatti, vidi sul castello il vecchio dal gabbano verde che perorava in mezzo a un uditorio più numeroso del solito, appoggiandosi, forse per simpatia politica pel color rosso, all'ancora di speranza, e scotendo al vento i capelli grigi. La sbarbazzata del comandante per la protesta dei quarantasette non l'aveva punto intimidito; egli aveva risposto che si sarebbe fatto sentire sui giornali. Ora poi la vicinanza della terra della libertà lo imbaldanziva anche più, e non solo non abbassava più la voce ...
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