[Pagina precedente]... miei. Guardavo qualche volta, ma ritorcevo gli occhi immediatamente, intravvisti appena i contorni mostruosi delle montagne nere che s'avanzavano e i profili delle muraglie ciclopiche che rovinavano d'un colpo, e tra l'una e l'altra saetta che rigavan di fuoco l'ammasso spaventevole delle nubi caliginose, una luce non mai vista al mondo, da non saper dire se fosse notte o giorno, la luce indeterminata dei paesaggi dei sogni, in cui pare che non splenda il nostro sole. E così mi s'era turbata pure l'idea del tempo, che non avrei saputo dire in alcun modo da quante ore la tempesta durasse. E mi sembrava che avesse a durare un tempo incalcolabile, non sapendo immaginare una cagione abbastanza potente per cui quell'enorme commovimento dovesse aver fine. Mi sembrava incredibile che non tutto l'oceano e il mondo intero fossero a soqquadro come quel mare, che ci fossero poco lontano e poco al di sotto di noi delle acque tranquille, e della gente sulla terra che attendeva in pace alle proprie faccende. Ma mentre mi passavano questi pensieri, che erano come un breve respiro dell'anima, ecco un'altra ondata di fianco, come un colpo di cannone da costa, un altro sussulto del piroscafo, come di balena ferita al cuore, un altro schianto di travi, d'assiti, di tavoloni scricchiolanti e gementi, il senso dell'imminenza del disastro, la morte sull'uscio, un addio a tutto, l'angoscia d'un anno in un minuto. Dio eterno! Quanto durerà quest'agonia?
Durò molte ore. N'eran passate sette od otto, suppongo, quando l'illusione, continuamente perduta e rinascente, che la burrasca sfuriasse, mi parve che durasse più delle altre volte, poi si cangiò in una speranza, a cui la mente si rifiutava di credere ancora, ma che tutti i sensi andavano a poco a poco raffermando. I movimenti del piroscafo erano ancora impetuosissimi; ma quell'odioso fischio e miagolìo arrabbiato dei cordami pareva quetato un poco, e l'urto dell'onda, se non scemato di forza, meno frequente. Considerai come un buon segno il risentire tutto il corpo indolenzito dagli atteggiamenti acrobatici a cui ero stato costretto per tanto tempo, mentre fino allora non ci avevo badato, e il riprovare curiosità di sapere che cosa fosse accaduto e accadesse dintorno a me. Tra gli schianti degli assiti e i mugghi del mare, sentii il pianto del bambino brasiliano, e altri piagnucolii, pure infantili, ma che dovevan essere di signore. Delle voci affannose chiamavano da varie parti i camerieri, i campanelli tintinnavano, i bauli viaggiavano ancora pei corridoi come se vi saltassero dentro tante bestie rabbiose. Cogliendo bene il momento per non ammaccarmi il cranio contro una parete, spiccai un salto e m'afferrai agli spigoli dell'uscio, per guardar fuori, e vidi due o tre corpi umani moversi, tenendosi di qua e di là , a passi e a tracolloni di briachi, coi vestiti scomposti e i capelli arruffati fra i quali il marsigliese, i cui connotati accusavano una maledetta paura, già passata in gran parte, ma che non voleva finir di passare. Ogni tanto, infatti, una volata del piroscafo e uno scoppio istantaneo come dello spezzarsi di dieci travi, mi faceva dare indietro e ricercar la cuccetta a due mani, col terrore che ricominciasse il ballo più indiavolato di prima. Tra l'una e l'altra recrudescenza, tesi l'orecchio verso il camerino accanto, curioso di sentire se l'angoscia del pericolo comune avesse rallentato un poco fra i miei vicini la corda tesa dell'odio; e rimasi un momento sbalordito, udendo una respirazione rotta e dei gemiti fitti che potevano far sospettare una riconciliazione più che amichevole; ma subito mi disingannò una voce scellerata che fischiò queste parole: - Speravi che tutto fosse finito, non è vero? - Ma non intesi risposta. La prima nota incoraggiante che udii fu una risata di varie voci, che venne dalla parte degli argentini. Di faccia, sentii la voce del tenore, un tentativo di gorgheggio, interrotto bruscamente da un colpo sordo, che mi parve d'una capata. Poi per un pezzo non sentii più voci umane. Lo strepito del bastimento e del mare era ancora assordante, e il rullìo tale da stramazzare un quadrupede. Ma si poteva tentare una sortita. Aggrappandomi qua e là , e premeditando bene ogni passo, riuscii a trascinarmi fino al crocicchio dei corridoi. Che spettacolo! Per le porte delle cabine che s'aprivano e si chiudevano di continuo, si vedeva dentro un indescrivibile arruffio di valigie, di cuscini, di panni, teste ciondolanti sulle catinelle, corpi allungati come cadaveri, gambe di signore scoperte fino al ginocchio, vesti spettorate, visi bianchi, fazzoletti e boccette sparse sul tavolato. Incoraggito dallo scemare del movimento, svoltai nel corridoio principale, e mi trovai faccia a faccia col genovese, che veniva avanti a sbalzi lungo la parete, con la testa fasciata, bestemmiando. - Cos'è stato? - domandai. Rispose attaccando un moccolo. Poi spiegò: morto di fame, s'era arrampicato fin su alla dispensa, per pigliar due fette di prosciutto, un rostin, una cosa da nulla, insomma, e nel meglio un salto del piroscafo l'aveva gettato con la fronte contro uno spigolo della credenza, e s'era fatto uno spacco. In quel punto uscì una voce chiara dai camerini degli argentini:
Hijo audaz de la llanura
Y guardian de nuestro cielo...
Quei tristi inneggiavano al vento pampero, a cui dovevano quelle otto ore di morte. Ma il vento pareva che fosse caduto quasi del tutto, benché il mare durasse agitatissimo. Delle facce immelensite si sporgevano fuori degli usci, in aria interrogativa, e poi rientravano in fretta. Una voce, che mi parve quella del Secondo, gridò dall'alto della scala: - È passata, signori! - e gli risposero varie esclamazioni dei camerini: - Oh buon Dio! - Ma è vero proprio? - Laudate Dominum! - Che il diavolo ti porti! - Ah! son mezz'andato! - Ma un fremito di vita ricorreva da tutte le parti, come in un cimitero sotterraneo, dove i morti cominciassero a fregarsi gli occhi e a stirare le braccia. Mi sentii toccare la spalla: era l'agente, in veste da camera, con un livido a traverso il mento, ma allegro. - Ah! che scena! - disse - ho sentito tutto. - Parlava degli sposi: nel momento del pericolo s'eran messi a pregare, e poi s'erano scambiati gli addii, singhiozzando; lui le aveva chiesto perdono d'averla indotta a quel viaggio; s'erano dato il bacio supremo, anzi molti baci supremi. - Ah! Nina mia! -Ah! mæ poveo Geumo! - E... niente spagnuolo, oh no davvero. Detto questo, scomparve, ma tornò un minuto dopo, a zig zag, facendomi cenno d'accorrere presto, che c'era una grande cosa da vedere. Lo seguitai alla meglio: si fermò davanti al camerino dell'avvocato, ch'era aperto, e mi disse di guardare, dando in una risata. Oh mostro non mai veduto! Io non riconobbi subito una creatura umana in quella informe cosa che vidi distesa a traverso al tavolato, e da cui usciva il guaito che fa Ernesto Rossi sotto le spoglie di Luigi undecimo atterrato da Nemours. L'avvocato, bocconi, insaccato in non so quale vestimento di salvataggio inglese o americano, imbottito di sughero, aveva una gobba sul petto e una sul dorso, ricoperte da una specie di corazza di cotone forte, e una corona di vesciche gonfiate intorno al busto, che gli davan l'aspetto d'un bizzarro animale mammelluto, cascato a terra senza sensi, vinto dai dolori d'un'esuberanza di latte. Quel carico enorme di ridicolo su quel pover'uomo così disfatto e così infelice destava una compassione infinita. L'agente si chinò per richiamarlo in vita, ed io lo lasciai all'ufficio pietoso.
A stento salii nel salone dov'eran già molti passeggieri: il marsigliese, il mugnaio, il toscano, il commesso parigino, il prete lungo, ed altri. Nessuna signora. Balenavano ancora dei lampi; ma il tuono scoppiava più rado e più lontano; il mare sempre gonfio e nero, e nessuno poteva reggersi ritto. Mirabile natura umana! Dal modo d'atteggiarsi delle persone già si vedeva che anche quell'avvenimento della tempesta era convertito a soddisfazione d'amor proprio, come se il non essere andati a fondo fosse stato effetto del valor personale di ciascuno, e tutti pregustassero fin d'allora l'orgoglio con cui, molto tempo dopo, per tutta la vita, avrebbero raccontato d'aver fatto fronte a quel pericolo senza paura. Era stupefacente la disinvoltura con cui più d'uno, che avevo visto pallido come un moribondo, si metteva la maschera del coraggio in faccia a coloro stessi a cui sapeva d'aver mostrato poco innanzi i segni visibilissimi del terrore. Alcuni mutavan qualche passo da un tavolino all'altro, facendo ostentazione di piede marino, e ridevano a tutti i propositi con le labbra ancora senza sangue. Il marsigliese diceva: Je me suis enormément amusé. E il mugnaio fingeva di legger l'album di bordo! I camerieri intanto riferivan le prime notizie. Il mare aveva portato via varie lance, strappato e travolto le stie dei tacchini, annegato due buoi, sfondato uno sportello dell'opera morta di prua. Un marinaio, scaraventato contro l'albero di trinchetto, s'era ferito gravemente alla testa. L'osteria era stata mezzo sconquassata. Ma il poderoso corpo del Galileo non aveva patito altri danni, e non s'era arrestato un minuto; e a quella notizia rinasceva e si vedeva risplendere negli occhi di tutti il sentimento già umiliato dell'orgoglio umano, la fede ardita nell'opera dell'industria e della scienza dei propri simili; sulla quale quella immane forza dell'oceano ostile non aveva potuto far altro che minacce ed insulti, di cui appena c'eravamo accorti, e che già eran dimenticati. E non dimeno all'aprirsi della porta della sala, che equivaleva al permesso d'uscire, misero tutti un sospiro di soddisfazione, come se allora soltanto si fosse veramente certi che era tutto finito.
Ah! rieccolo dunque, il formidabile animale! Ci torniamo a guardare faccia a faccia. Ma com'era brutto ancora, e malauguroso! Grandi onde nere, biancheggianti di schiuma alle creste, tumultuavano, restringendo l'orizzonte da ogni parte, sotto una volta tenebrosa di nuvole, rotta qua e là da squarci grigi di luce crepuscolare, e come agitata da una nuvolaglia sottostante mobilissima e maligna, che volesse ricominciare la lotta. Il piroscafo era tutto bagnato come se in quelle sette od otto ore fosse stato sommerso da un capo all'altro. Per tutto correvan rigagnoli e s'allargavan chiazze d'acqua sudicia. I tetti, le pareti, gli alberi, le lance sgocciolavano come del sudore della battaglia. A poppa e a prua s'agitavano ancora i marinai, con grandi stivaloni, inzuppati da capo a piedi, coi capelli appiccicati alla fronte e al collo, rotti dalla fatica. Incontrammo nel passaggio coperto il comandante, tutto rosso, sudato e sbuffante, che ci passò accanto senza vederci. E picchiando spallate e fiancate dalle due parti del passaggio, sguazzando nella melletta color di carbone, urtati dalle persone affaccendate dell'equipaggio, arrivammo a prua.
Qui c'era già molta gente uscita dai dormitori, che si teneva con le mani ai guardacorpi, stati tesi a traverso alla coperta per uso dei marinai; e presentavano l'aspetto compassionevole d'una folla fuggita per quindici giorni dinanzi a un esercito invasore. Il Commissario, che era sceso più volte nei dormitori, ci fece delle descrizioni da stringere il cuore e da vincer lo stomaco. Aveva visto là sotto delle masse intricate di corpi umani, gli uni sopra e a traverso agli altri, con le schiene sui petti, coi piedi contro i visi, e le sottane all'aria; viluppi di gambe, di braccia, di teste coi capelli sciolti, striscianti, rotolanti sul tavolato immondo, in un'aria ammorbata, in cui d'ogni parte suonavano pianti, guaiti, invocazioni di santi e grida di disperazione. Delle donne inginocchiate in gruppi, con le teste prone, dicevano il rosario, picchiandosi il petto; alcune facevano ad alta voce il voto di andare scalze a certi santuari, appena fossero ritornate in patria; altre volevano ad ogni costo confessarsi, e pregavano piangendo il Commissario che mandasse a chiamare il frate; il quale intanto st...
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