[Pagina precedente]...oschi, tenuti per un momento con uno sforzo fuor della mente, vi rientravano, appena cessato quello, come un'onda di torrente, e ne invadevano tutti i recessi. E non so quanto tempo stetti su questi pensieri; poi m'addormentai. Ma ebbi un sogno orribile: casa mia di notte, - un via vai di lumi e di facce che non conoscevo, - un rantolo in una camera di cui non mi riusciva di trovar la porta, - e poi mutata la scena in un lampo, uno spaventevole grido: - Si salvi chi può! - e il disordine disperato d'un piroscafo che si sprofonda nell'abisso...
Nel punto stesso mi svegliò un forte rumore. Non so se avessi dormito tre ore o cinque minuti. Nel camerino brillava un raggio di sole. Il rumore cresceva sopra il mio capo. Era un gridìo di gente che si chiamava per nome, un suono di passi affrettati, un tramestìo come all'annunzio d'un pericolo. Feci un salto fuori: da tutti gli altri camerini uscivano i passeggieri correndo, e si slanciavano su per le scale. Salii in coperta, mi trovai tra una folla. Guardai verso prua: quanto c'era di vivo nelle più profonde cavità del bastimento era sbucato fuori; un brulicame nero da un capo all'altro; tutti si gettavano contro al parapetto di destra, salivano sulle stie, sulle panche e sulle scale a corda, guardando il mare. Io non vedevo nulla, un baluardo di schiene mi nascondeva l'orizzonte. Interrogai due che passavano: scapparono senza rispondere. Allora salii sul palco di comando... Ah! la benedetta apparizione! La divina cosa che vidi! Un piroscafo enorme e nero, imbandierato e affollato, veniva maestosamente verso di noi, fendendo il mare azzurro, sotto il cielo limpidissimo, con la prua alta e con le vele gonfie, dorato dal sole, fumante e festoso, che pareva balzato come un prodigio dal seno dell'oceano. Era il Dante, della stessa società di navigazione del Galileo, proveniente dal Plata, diretto in Italia, carico di emigrati che tornavano in patria. Era il primo grande piroscafo che incontravamo dopo l'uscita dal Mediterraneo, ed era un fratello. Ad ogni sbuffo dei suoi grandi fumaioli stellati, ingigantiva, e apparivano più nette le mille figure umane che lo coronavano. Le due moltitudini, affollate sulle due prue, si guardavano in silenzio; ma tutti fremevano. Il Dante ci s'avvicinò tanto che un'improvvisa ondata ci fece rullare violentemente. Quando fu alla massima vicinanza, a portata di voce da noi, presentandoci tutta la lunghezza del suo fianco superbo, un altissimo grido, da molto tempo trattenuto, proruppe quasi ad un punto dalle due folle, accompagnato da un frenetico sventolìo di cappelli e di fazzoletti; un grido interminabile d'augurio e d'addio, d'un accento strano, diverso da ogni altro grido di popolo che avessi inteso mai, uno scoppio di voci violente e tremanti, in cui si espandevano e si confondevano le tristezze del viaggio, il rimpianto della patria, la gioia di rivederla tra breve, la speranza di ritornarvi un giorno, la maraviglia e l'allegrezza affettuosa d'incontrar dei fratelli, di sentir la voce e l'alito dell'Italia nella solitudine dell'Atlantico immenso. Furono pochi minuti. In pochi minuti il Dante non fu più che una macchia nera nell'azzurro, dentellata appena dalle mille teste confuse dei suoi passeggieri. Ma quella rapida visione aveva tutto mutato a bordo del Galileo, aveva risuscitato le speranze di buona fortuna, ridestati i canti, le risa, la benevolenza, la vita.
- Signore! - intesi dire vicino a me. Mi voltai: era la signorina di Mestre che toccava il garibaldino col ventaglio. Questi si voltò, e la ragazza, con un viso come illuminato da un baleno dell'anima, accennandogli con la mano scarna il piroscafo che s'allontanava, gli disse con la sua dolcissima voce: - Ecco la patria.
IN EXTREMIS
La mattina dopo tutti si salutarono sul cassero con le stesse parole allegre: - Ancora tre giorni! - Siamo agli sgoccioli! - Dopodomani, dunque! - E, singolare! quella benevolenza insolita tra i passeggieri nasceva in gran parte dal pensiero di essere tra poco liberati per sempre gli uni dagli altri. Il tempo era buono, l'aria tepida. La prua pareva un villaggio in festa. Andandovi, incontrai il marinaio gobbo, meditabondo, che teneva a mano un paio di stivali. Si soffermò e mi disse piano: - E donne, l'è brutto quando cianzan, ma l'è pezo quando rian. - E mi spiegò il suo giudizio, che era fondato sull'esperienza. Quando lungo il giorno passava sul piroscafo una grande allegrezza, come quella del dì innanzi, seguiva quasi sempre che la sera e la notte fossero una disperazione; per lui, s'intende, e per quella certa ragione. La notte scorsa per esempio, gli sarebbe stata contata lasciù. - Grandi cose, dunque? - gli domandai. Alzò gli occhi al cielo. Poi disse bruscamente: - Son stüffo de fa o ruffian! - E se n'andò, vedendo avvicinarsi l'agente. Il quale pure era pensieroso, tormentato da due misteri che non gli riusciva di penetrare: l'uno, già detto, chi fosse il sospiro segreto di quel crostino della pianista, di cui coglieva sempre a volo lo sguardo e mai il guardato, come se facesse all'amore con uno spirito; e l'altro, il non aver veduto nessun indizio, neppure leggerissimo, sul viso di nessuno, della scenata che il comandante aveva promesso di fare per la signora svizzera. Ed era comico il veder quell'uomo coi capelli bianchi preoccupato sul serio di quelle due bazzecole, come un ministro delle fila d'una congiura di stato. E dicono che l'oceano ingrandisce l'anima! Eppure il comandante egli lo conosceva: non era uomo da aver minacciato a vuoto, in un affare di quella natura: chi poteva aver scongiurato la tempesta? Oh! l'avrebbe scoperto, se avesse dovuto logorarsi il cervello e star appostato tre giorni e tre notti, come un cacciatore di tigri.
La buona disposizione d'animo dei passeggieri favoriva i suoi studi. Poco dopo le nove, quasi tutti stavan sul cassero, e i gruppi e gli atteggiamenti loro mi rimasero stampati netti nella memoria come ci soglion rimanere quelli che presentava la nostra famiglia il momento prima dell'annunzio o dell'avvenimento d'una sventura domestica. Gli argentini formavano un cerchio vicino al timone a mano, col marsigliese, che si dondolava, motteggiando, davanti alla signora porteña; la quale lo stava a sentire con quel doppio sorriso finissimo delle donne, che sfuma la cortesia nella canzonatura. La famiglia brasiliana, seduta al posto solito, girava intorno silenziosamente i suoi dodici occhi neri, come se vedesse tutti i presenti per la prima volta; e ai piedi della signora era accucciata la negra, come un cane. Vicino all'albero stavano in piedi il ladro, l'impiccato e il direttore della società di spurgo inodoro, che da vari giorni erano sempre insieme, senza discorrer mai, come tre amici sordomuti. L'avvocato sonnecchiava sur una seggiola lunga, con un libro sul ventre. La signora bionda sedeva sopra un sofà, pigolando in mezzo al tenore e al peruviano, a cui copriva un ginocchio con la gonnella allargata; e pareva che il contatto di quella stoffa facesse balenare agli occhi gravi del quichua la visione delle mille e cinquecento sacerdotesse del Sole, ma di quelle del tempo della corruzione. E sull'ultimo sedile verso poppa c'era la signorina di Mestre, più pallida degli altri giorni, fuorché alle sommità delle guance, che le ardevano; la quale parlava con una specie di eccitazione di febbricitante, ma con un sorriso d'una dolcezza inesprimibile, al garibaldino, seduto accanto a lei, col capo poderoso e bello un po' chino, nell'atto d'un uomo triste, intento a una musica che gli rammenti dei tempi felici, ma non gli ridesti più alcuna illusione. Gli altri passeggiavano, col passo vivo e irregolare della gente allegra.
L'orizzonte era velato da una nebbia leggera, e c'era una certa gravezza nell'aria, che faceva sentire tratto tratto il bisogno di tirare un lungo respiro. Ma la temperatura era gradevole in confronto dei giorni passati. Gli argentini dicevano di sentir già los aires della patria. Dovevamo trovarci presso a poco alla latitudine di Santa Caterina del Brasile.
A un dato momento salì sul cassero il genovese, fregandosi le mani, e mi disse passando: - Il barometro s'abbassa.
Pur di scuotere la noia mortale che gli tarlava l'anima, egli desiderava perfin la tempesta. Ma non doveva avere il fatto suo l'uccellaccio del cattivo augurio. Altre volte aveva dato giù a un tratto il barometro, ma il mare non s'era rabbuffato. È del mare quello che si dice del popolo: che quando si vede in calma, non si capisce in che modo ne possa uscire, come non par possibile che s'abbia mai a racquetare, quando si vede in furia. Il velo dell'orizzonte, peraltro, s'andava facendo più alto e più fitto: era ora una grande fascia di vapori grigiastri, che stava per coprire il sole; e il mare, di color plumbeo, s'increspava. Ero però tanto lontano, io, dal prevedere il cattivo tempo, che mi divertivo a osservare l'avvocato, il quale, rizzatosi sul busto, girava sul grande nemico uno sguardo lento, in cui si vedeva crescere l'inquietudine, poi guardava verso il camerino del comandante, e più lontano, verso il palco di comando. Un gridìo stridulo d'uccelli mi fece levar gli occhi in su: erano gabbiani che roteavano intorno agli alberi. Quello veramente era un cattivo segno. Ma ciò che fece senso più che altro fu di vedere all'orizzonte, come sorto all'improvviso, un nuvolone di forma bizzarra, spesso e scuro, orlato di bianco dalla luce del sole impallidito, e che s'alzava rapidamente, gettando un'ombra tetra sul mare; il quale cominciava a ribollire. E facea quasi freddo.
Già i passeggieri s'erano avveduti tutti del cambiamento. I lettori avevano chiusi i libri; tutti s'erano alzati da sedere, e guardavano l'orizzonte con quello sguardo che si fissa in viso a uno sconosciuto, il quale ci si presenti per trattare d'un affare grave. Un lampo, e un brontolìo di tuono lontano, a cui tenne dietro subito un movimento brusco di rullìo, provocarono qualche esclamazione: - Ed ora? - Cos'è questo? - Si comincia male! - Le signore cercavano con gli occhi il comandante. L'avvocato era già scomparso. Alcuni altri se n'andarono pure, all'inglese. Questo bastò perché vari dei rimasti mostrassero uno straordinario buon umore, e pigliassero in faccia all'oceano degli atteggiamenti di ammiragli spavaldi, guardando le signore con la coda dell'occhio. Il marsigliese girava di gruppo in gruppo, dicendo allegramente: - Ça se brouille, ça se brouille. Nous allons voir un joli spectacle. - Lo spettacolo, in fatti, pareva che non si volesse far molto aspettare. Il nuvolone c'era già quasi sul capo, e altre nuvole accorrevano velocemente, alcune delle quali, lunghe e sottili, ci passavan sopra a volo così basse, che pareva che toccassero l'alberata. Il vento, intanto, si faceva più forte, e il mare principiava a ondeggiare, e il piroscafo a ballare più che fino allora non avesse mai fatto, tanto che tutti dovettero afferrarsi ai parapetti e ai sedili. Qualcuno, però, non credeva ancora che ci sarebbe stata tempesta. - Non è che un piovasco, - dicevano. Ma quelli che avevano già fatti molti viaggi, scrollavano il capo, strizzando un occhio.
Io mi ricordo bene che, osservando più che gli altri me stesso, stavo aspettando con una certa curiosità psicologica quando e come mi sarebbe entrato dentro quel sentimento che ci vergogniamo tanto di confessare; e m'illudevo di potere tener dietro al suo lento avvicinarsi, senza sospettare che mi dovesse balzar addosso tutt'a un tratto, nel punto in cui traboccando sulla bilancia dell'anima l'istinto della conservazione, il piattello della curiosità sarebbe andato per aria. Insomma, stando a terra, avevo pur desiderato molte volte di trovarmi a una tempesta di mare. Ecco dunque una buona fortuna per l'artista. Ma quando, voltatomi a guardare sulla piazzetta, vidi accorrere intorno al comandante, ufficiali, macchinisti, marinai, camerieri, e il comandante gesticolare come se desse ordini premurosi, e poi tutti sparpagliarsi di corsa da varie parti, e gittarsi ...
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