[Pagina precedente]...e li aveva mandati tutti e due alla gogna sul terrazzino del palco di comando, obbligandoli a star ritti, l'uno in faccia all'altro, coi nasi che si toccavano; ed essendosi tamburati anche là , erano stati chiusi in due ripostigli. Poi la bolognese, offesa d'una rispostaccia del panattiere di bordo, gli aveva rifilato un ceffone maiuscolo, per cui era stata chiamata dal Commissario. E come accade sempre, essendo contagioso l'esempio, erano accadute altre baruffe: parecchie donne avevano le trecce disfatte e il viso graffiato. Poi i ragazzi s'accapigliavano, aggrovigliandosi otto o dieci insieme, e rotolavano sul tavolato in gruppi confusi, che i parenti accorrevano a districare, prodigando sculacciate e scarpate alla cieca, e caricandosi fra loro di contumelie. L'irritazione aveva invaso perfin la cucina, dove, per rivalità di vendite di contrabbando, era scoppiato un accanito diverbio fra il cuoco e i suoi aiutanti, che si sentiva per tutta la prua, accompagnato da uno strepito furioso di cazzaruole.
Per noi di prima le cose si guastarono ancora alla colazione, che fu cattiva, e resa peggiore dal silenzio e dal cipiglio addirittura tragico del comandante, il quale avea sul cuore un affare, oltre a quello dei quarantasette, assai grave. Un'ora prima gli s'era presentata con molta dignità la madre della pianista, e gli avea sfoderata una protesta in tutte le forme contro gli svolazzamenti notturni della signora svizzera, la quale, a ore incredibili, passava in abbigliamenti leggerissimi davanti al suo camerino, attiguo a quello di lei, con molto scandalo della ragazza; quando pure lo scandalo non era peggio; il che accadeva tutte le volte ch'essa mandava il marito su, a studiare il cielo stellato, e nel camerino non restava sola. Ci doveva essere di balla qualche persona di servizio; oramai non si parlava d'altro a poppa; era una cosa che non poteva durare; il signor comandante ci avrebbe dovuto metter riparo. E il comandante, stuzzicato nel suo debole, aveva gettato fuoco e fiamme, e promesso in so zuamento [6] di dir quattro parole delle sue a quel barbagianni di professore, e alla signora, se fosse occorso, e anche a quell'altro o a quegli altri, che il bastimento non era quello che credevano, e che avrebbe fatto rispettare la decenza, perdio, da tutti quanti, a costo di mettere i marinai di sentinella nei corridoi. E aveva concluso solennemente: Porcaie a bordo no ne veuggio. C'era dunque da aspettarsi una scenata. Durante tutta la colazione, intanto, egli saettò occhiate da Torquemada sulla signora bionda, che molti altri guardavano, parlandosi nell'orecchio, senza che ella s'avvedesse di nulla. Stringata in una deliziosa veste color di tortora, più fresca e più vispa che mai, empiva l'orecchio a suo marito di cinguetii e di trilli, sorridendo a tutti i suoi amici coi suoi dolci occhi senza pensiero, simili a due belle finestre d'una sala vuota, mostrando in mille modi i denti bianchi, le mani piccole, il braccio tornito, l'anima misericordiosa. E dopo colazione ricominciò il suo va e vieni sul cassero, interrotto da scomparse improvvise a cui seguivano riapparizioni aspettate, inconsapevole, poveretta, della spada di Damocle che le pendeva sui riccioli biondi; anzi sempre più gaia e più viva, quanto più le cresceva la noia d'intorno, e come animata da un ardore d'eroina che allattasse degli assediati sfiniti, dicendo con gli occhi che non era sua colpa se non poteva fare di più in sollievo dell'umanità sofferente, ma che faceva tutto quel che poteva. Fuor d'ogni dubbio, s'era rimessa sul serio con l'argentino; ma il tenore e il toscano non erano abbandonati, e il Perù pareva che stesse per entrare nella confederazione.
Ma verso le tre essa discese per non più risalire, ed essendo scomparsa quell'unica faccia allegra, l'uggia ricascò sul cassero più soffocante di prima. Per un momento, nondimeno, ci distrasse un'avventura comica seguita all'avvocato. Vincendo la sua ripugnanza istintiva per l'acqua salsa, era andato a fare un bagno; ed entrato nella tinozza, s'era lasciato salir l'acqua fino al petto; ma quando poi allungò la mano per chiudere la chiavetta, sia che questa non giocasse bene, o che per turbamento egli non la girasse per il suo verso e la guastasse, il fatto è che non riuscì ad altro che a sprigionare un getto più forte, una vera colonna d'acqua impetuosa, la quale in pochi minuti colmò il recipiente, allagò il camerino, gl'infradiciò i panni e lo fece scappar fuori mezzo svestito, con la barba sgocciolante e una pauraccia di naufragato. Noi lo vedemmo passare di gran corsa sulla piazzetta, gridando ai camerieri che corressero a chiudere, che il bastimento calava a fondo. Ma questo non fu che un lampo che fece appena sorridere cinque o sei passeggieri. Il caldo essendo cresciuto, e il lezzo che veniva dai dormitori di terza diventato pestifero, la maggior parte trasportarono il corpo di calza sfatta dal cassero al salone, e si abbandonavano qua e là pei divani e intorno ai tavolini. Oh l'insopportabile gente! Conoscevo già gli atteggiamenti e i più piccoli gesti abituali di tutti, e i titoli di tutti i romanzi che leggicchiavano da due settimane, e la nota musicale dello sbadiglio di ciascheduno: mi pareva di assistere per la centesima volta a una stupida rappresentazione d'un teatro meccanico. Non era più tedio, ma una vera malinconia, che stringeva il cuore. Non si vedevan che facce allungate, fronti appoggiate sulle mani, occhi velati e immobili. La pianista sonava sul pianoforte non so che musica di funerale: il brasiliano venne a pregarla rispettosamente di smettere, perché sua moglie, coricata in cuccetta, soffriva un mal di nervi terribile: la ragazza chiuse il pianoforte con un colpo secco, e se n'andò. L'agente mi disse che la signora grassa singhiozzava nel suo camerino. Perché? Non lo sapeva. Effetti del Capricorno. Anche una signorina della famiglia in lutto, su nella seconda classe, piangeva. Una discussione acre nacque improvvisamente in un angolo tra un argentino e il marsigliese, dicendo il primo, con ragione, che dall'osservatorio di Marsiglia non si potevan vedere del Centauro altro che due stelle, quelle che segnan la testa e la spalla; mentre l'altro sosteneva che si vedevan tutte. - Toutes les sept, monsieur, toutes les sept! - Ma è assurdo! - Mais, monsieur, vous avez une façon... La comparsa del comandante, che cercava qualcuno intorno con un brutto sguardo, li quietò. Il salone ricadde in un silenzio di cripta.
Non ci potendo più reggere, uscii per andare sul palco di comando. Ma non ero ancora in fondo al passaggio coperto, che udii un grido di terrore, e vidi molta gente affollarsi ai piedi di una delle scalette del palco. Un bambino, salito fin sull'ultimo scalino, era precipitato di lassù, dando del capo sul tavolato. Sua madre, credendolo morto, gli si gettò sopra disperatamente, e strettolo fra le braccia, cominciò a urlare come una pazza: - Me lo jettano ammare! Me lo jettano ammare! U peccirillo mio! A criatura mia! - e faceva l'atto di difenderlo, minacciando, digrignando i denti, respingendo la folla. Il medico accorse, e menò madre e bimbo all'infermeria. Quest'accidente suscitò un gran fermento di lamentazioni contro il piroscafo, che era pien di pericoli, e contro il Comando, che non metteva un marinaio di guardia alle scale. Il vecchio dal gabbano verde prese a declamare rabbiosamente, coi capelli al vento e l'indice in aria, dal castello di prua. Ma un altro guaio era seguito poco prima. Lo scrivanello, a cui il fatto dei baci aveva rialzato il credito a prua, perché lo consideravano come uno sfregio fatto "alla principessa", era da due giorni assediato di congratulazioni burlesche, come se fosse andato più innanzi di quanto era vero, e si può pensare fin dove; ed egli s'arrovellava, negava, s'addolorava. Finalmente, a una congratulazione più brutale dell'altre, gli aveva dato il sangue alla testa, e s'era messo a sprangar calci e pugni come un matto furioso; ma, poveretto, per aver la peggio, perché gli s'eran stretti intorno tre o quattro, e impedendogli le braccia e le gambe, gli avevano strofinata la faccia col cappello, ed era stato fortuna che potesse scappare nel dormitorio, col naso scoriato. Cercai la genovese: era al solito posto, che lavorava, bella e composta come sempre, ma con un'ombra di sdegno negli occhi; poiché oramai indovinava l'insolenza oscena dei discorsi e sentiva le occhiate d'odio che le vibravano d'intorno, e da due giorni il padre le faceva la guardia accanto, in piedi, risoluto a romper la testa a qualcuno. Ma il prurito alle mani l'avevan tutti. Ogni mezz'ora si formava un attruppamento intorno a due passeggieri che si mettevan le mani sul muso o si agguantavano per la cravatta. Quando la presenza d'un ufficiale impediva loro di venire alle mani, si sfidavano con le debite forme: - A prua! - A prua! - Questa sera a notte! - A notte! - Il castello di prua era il campo chiuso prescelto solitamente dai cavalieri. Tre o quattro volte, per altro, se le diedero subito e di santa ragione, prima due, poi tre, poi una mezza dozzina, producendo un ondeggiamento in tutta la folla, e dovettero accorrere gli ufficiali e i marinai. Due ubbriachi, che avevano il vino triste, s'avvinghiarono come due belve, e s'ammaccarono le costole cascando tutti e due insieme sopra le ruote del verricello. E questa volta accorse il comandante, furibondo, col proposito manifesto di dare qualche mascà memoranda, per rifarsi la mano. Ma non giunse in tempo. Le cose erano al punto ch'io m'aspettavo di veder prima di sera tutta quella massa di gente avviticchiarsi e accavallarsi in un monte informe di membra, come nelle mischie guerresche del Dorè, e traboccare fuori dai parapetti nel mare. Ma invece d'avversione, sentivo più forte, in quei brutti momenti, la compassione delle loro miserie, e come un impulso affettuoso e triste verso di loro; poiché sotto l'espressione provocante di tutti quei visi, s'indovinava un oscuramento passeggiero di ogni speranza, una grande stanchezza della vita, un pianto segreto, che usciva in ira; e si vedeva che soffrivano, e che, in fondo, avevano pietà gli uni degli altri, e ciascuno di sé stesso. L'immagine vivente del loro stato d'animo erano quei due vecchi contadini del castello di prua, marito e moglie, che anche allora stavano seduti accanto sopra due bitte, con le braccia incrociate sulle ginocchia e il capo abbandonato sulle braccia, mostrando i colli magri e rugosi, che raccontavano cinquant'anni di fatiche senza compenso. Mentre stavo guardandoli, una donna incinta cadde in deliquio, sopra i coperchi vetrati della boccaporta del dormitorio, arrovesciando la faccia bianca tra le braccia delle vicine. E subito corsero cento voci: - È morta una donna, - È morta una donna. - Io me n'andai.
Dove andare? Sei ore eterne dovevano passare prima di notte. Rientrai nel salone, e cominciai a sfogliare l'album di bordo, in cui varii passeggieri avevano scritto; ma era pieno di sciocchezze, di luoghi comuni e di bugie. Allora discesi nel camerino, ultimo rifugio, per tentar di dormire. Ma il camerino mi parve più stretto, più asfissiante, più odioso che non mi fosse mai parso. I passeggieri dovevano esser discesi quasi tutti; eppure non si sentiva nessuno, come se quelle cento pareti di legno non racchiudessero che cadaveri. Non si udiva che la nenia lamentevole della negra, come un canto solitario per le vie d'una necropoli. E mi pareva che mi pesassero su l'anima non soltanto i miei, ma tutti i tedi, tutti i ricordi amari e gli affetti lacerati e i tristi presentimenti ch'erano ammucchiati su all'aria aperta, tra quei mille e seicento figliuoli d'Italia, che andavano a cercare un'altra madre di là dall'oceano. Ed era inutile che cercassi di ragionarmi, analizzando il mio stato d'animo, per dimostrare a me stesso che non c'era un perché logico del veder tutto fosco quel giorno, come gli altri, mentre pel solito, diversamente dagli altri, vedevo ogni cosa in un buon aspetto. I pensieri f...
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