[Pagina precedente]...deggiamento della folla serrata, e da uno scoppio di risa e di fischi, mi accorsi che s'era attaccata una rissa; e, alzandomi in punta di piedi, vidi una mano per aria che cadeva con movimento rapido e regolare, come un maglio, sopra una nuca invisibile. - Chi è? Cos'è? - Tutti vociavano, non si capiva nulla; due marinai accorsero; sopraggiunse il Commissario, i litiganti furono spartiti e condotti via, tra le urlate. Immaginando che andassero alla "pretura" ci corsi anch'io, pigliando per le cucine di terza classe, e arrivato là nel momento che entravano, fui molto maravigliato al vedere che i due arrestati erano il padre della genovese, sbuffante di collera, e lo scrivanello di Modena, smorto, senza cappello, con una faccia che era una vera quietanza di scapaccioni. Un corteo di facce sghignazzanti li seguitava. Gli arrestati entrarono nel camerino del Commissario; il corteo s'affollò davanti all'uscio.
Era accaduto questo. Scoppiato l'acquazzone, lo scrivano s'era gittate con gli altri nel passaggio coperto, ed era rimasto chiuso egli pure nella calca, come un'acciuga in un barile. Ma per fortuna insieme e per disgrazia, s'era dato il caso che, proprio davanti a lui, con le trecce contro al suo viso, con la schiena contro al suo petto, si trovasse imprigionata nella folla la ragazza genovese, e dietro di lui, non veduto, l'altro, ahimè! lo suocero dei suoi sogni. Il povero giovane, innamorato morto da diciassette giorni, inebbriato dal profumo, bruciato dal contatto, tentato dall'oscurità , aveva perso il lume della ragione, e s'era messo a inchiodar baci su baci sul collo e sulle spalle del suo idolo, con tal furia, con tale forsennatezza d'amore, che non aveva neppure sentito la prima scarica delle vigorosissime pacche paterne. Alla seconda era rientrato in sé, come chi rinviene da un delirio, e s'era creduto spacciato.
Il giudizio fu una scena di commedia impagabile.
Il padre, fuori dei gangheri inveiva ancora: - Mascarson! Faccia de galea! Porco d'un ase! Te veuggio rompe o müro! - E allungava le mani per acciuffarlo.
L'altro metteva pietà , non negava nulla, diceva d'aver perso la testa, domandava scusa, affermava di essere un giovane onesto, voleva mostrare una lettera del sindaco del suo paese (Chiozzola, mi pare) e si pigliava la testa fra le mani, piangendo come un castoro, facendo degli atti di disperazione da Massinelli in vacanza. - Ma se dico che ho perso la testa... son stato una bestia... giuro sul mio onore... non avevo l'intenzione... sono pronto a dare il mio sangue... - E sotto al suo dolore sincero e alla vergogna, traspirava la forza della passione non ignobile che gli aveva fatto far lo sproposito, uno di quei violenti amori che divampano nei mingherlini, come fiammate di gas dentro agli scartocci di vetro.
Ma il padre non si lasciava commovere, sdegnato anche più, e come offeso nell'orgoglio paterno, che un tale atto d'audacia fosse stato commesso da un così meschino personaggio, da quel mezz'uomo che reggeva l'anima coi denti, e che poi s'avviliva a quel modo. E continuava a gridare: - Bruttò! Strason che no' sei atro! A mae figgia! E ghe vêu da faccia! - E voleva picchiare daccapo.
E allora quello allargava le braccia, sconsolato, in atto di dire: - Son qui, fate di me quel che volete. - E poi tornava a giurare che era un galantuomo, a domandar scusa, a offrire la lettera del sindaco.
Il Commissario era molto imbarazzato a concludere. Io gli vidi passar negli occhi un sorriso che doveva rispondere alla tentazione teatrale di proporre un matrimonio. Ma il padre non aveva l'aria di accettare uno scherzo. In fine, se la cavò facendo una grande intemerata al giovane sul rispetto dovuto alle donne, e ordinandogli di non lasciarsi vedere per un po' di tempo sopra coperta; e raccomandò all'altro di quetarsi, che la cosa non intaccava punto la reputazione della sua figliuola, che era stimata da tutti, e via dicendo. Poi li mise fuori tutti e due, pregando il padre di tornare a prua per il primo. Questi s'allontanò, voltandosi ancora indietro a minacciar con la mano, e a lanciar due o tre aggettivi genovesi, assortiti. Il giovane, rimasto solo davanti al Commissario, si mise una mano sul petto, e disse con accento drammatico: - Creda, signor Commissario... parola di giovine d'onore... è stata una disgrazia... un momento di... - Ma qui l'amore gli gonfiò il petto e gli strozzò la voce, e alzando gli occhi al cielo, con un'espressione comica, ma sincerissima, che riassumeva tutta la storia della sua passione oceanina, esclamò: - ... Se sapesse! - Ma non potè dir altro, e se n'andò a capo basso, con la sua freccia a traverso al cuore.
La figura di quel povero innamorato che s'allontanava per il passaggio coperto, rimase legata nella mia memoria a un aspetto nuovo del mare e del cielo, che s'erano schiariti dopo l'acquazzone: il cielo tutto a grandi squarci d'un sereno purissimo, come lavato e rinfrescato, e corso da nuvole inquiete; il mare verde per vasti spazi, fra i quali si stendevano larghe strisce d'un azzurro cupo; in modo che pareva di vedere una prateria immensa, dove s'intersecassero canali smisurati, colmi fino agli orli; e si aveva l'illusione strana d'essere entrati in un continente metà terra e metà acqua, abbandonato dagli abitanti sotto la imminenza d'una inondazione, e veniva fatto di cercar cogli occhi all'orizzonte le punte dei campanili e delle torri, come nelle grandi pianure dell'Olanda. E poi, essendosi increspate alquanto le acque, che diedero a quel verde l'aspetto d'una vegetazione più forte, l'illusione mutò, e mi venne alla mente quell'ampio spazio d'oceano, coperto d'un fitto tappeto d'alghe, di fuchi natanti e di traghi del tropico, che impigliò per venti giorni le navi e spaventò i marinai di Colombo. Alcuni uccelli bianchi rigavano il cielo, lontano; il sole faceva scintillare qua e là come delle isolette coperte di smeraldi, e nell'aria spirava un tepore di primavera, in cui pareva di sentire delle fragranze terrestri, che parlavano all'anima, come un'eco di voci lontanissime, portate dai venti della pampa.
Ma il mar verde e l'episodio dell'innamorato non schiarirono che per pochi minuti la faccia scura che aveva quel giorno il Galileo. Solamente la signora bionda trillava d'allegrezza sul cassero, passeggiando a braccetto a suo marito, che andava accarezzando con la voce, con lo sguardo e col ventaglio, come una sposa di sette giorni, forse per compensarlo di qualche grave jattura che gli preparava per più tardi, e di cui le luccicava il pensiero nell'azzurro delle pupille infantili; mentre lui, al solito, arrotondava la schiena, e facea con gli occhi socchiusi e la punta della lingua quel leggerissimo sorriso canzonatorio per sé, per lei, per gli altri, per l'universo, che era come la smorfia simbolica della sua quieta filosofia. Su tutti gli altri pareva che gittasse un'ombra di tristezza il pensiero di quel morto che s'aveva a bordo, e che si doveva buttare in mare la notte; e tutti gli occhi si volgevano ogni tanto a prua, inquieti, come se tutti avessero temuto di vederlo apparir da un momento all'altro, resuscitato, per maledire alla sua spaventevole sepoltura. Ed era l'argomento di tutti i discorsi, i quali si facevan gradatamente più neri, come se via via che cresceva l'oscurità , quel corpo si allungasse, e dovesse a notte fitta arrivare coi piedi fino a poppa, a urtare negli usci dei camerini. E il pranzo fu poco allegro. S'impegnò tra il comandante e il vecchio chileno una discussione lugubre su questo soggetto: se il cadavere buttato in mare con un peso ai piedi, sarebbe arrivato al fondo intero; o se per effetto della pressione enorme delle acque disfacendosi e staccandosi i tessuti, non sarebbe arrivato che lo scheletro. Il comandante era del secondo parere. Il chileno, invece, sosteneva il contrario, dicendo che la pressione della massa d'acqua soprastante essendo trasmessa da quella che impregnava il corpo, in maniera da esser sentita in tutte le direzioni e oppostamente in tutti i punti, ne seguiva che il corpo avrebbe dovuto scendere illeso. Poi, accordandosi sulla velocità iniziale, sull'aumento di velocità nella discesa e sulla profondità massima dell'Atlantico, calcolarono che il cadavere avrebbe impiegato un'ora a compiere il suo viaggio verticale.
- Adagio, però, - disse il chileno, - il cadavere può trovar delle correnti che lo risospingano in su ad una grande altezza.
A quest'immagine del cadavere che tornava in su, m'accorsi che il mio vicino avvocato cominciava a fremere. Nondimeno stette fermo lì, coraggiosamente. Ma il genovese ebbe la cattiva ispirazione di riferire la descrizione, letta in un giornale di New York, della discesa d'un palombaro, il quale aveva trovato dentro alla carcassa d'un piroscafo andato a picco i cadaveri dei naufraghi mostruosamente gonfiati, ritti nell'acqua, con gli occhi fuor della fronte e con le labbra cadenti, così orrendi a vedersi al lume della lampada, che gli s'era agghiacciato il sangue nel cuore ed egli aveva preso la fuga come un pazzo; e a quell'uscita l'avvocato non poté più reggere: balzò in piedi, e sbattendo la forchetta sul piatto: - Un po' di riguardo, signori! - esclamò, e prese l'uscio. Il comandante, stizzito di quella scena, non parlò più, e il desinare finì nel silenzio. Ma al momento di alzarci, il genovese mi s'avvicinò col viso allegro, e mi disse all'orecchio: - È per mezzanotte!
La sepoltura era stata fissata segretamente per mezzanotte, per evitare un affollamento dei passeggieri di terza, fra i quali il Commissario aveva fatto correre la voce che sarebbe stata alle quattro della mattina.
A mezzanotte, il tempo s'era rioscurato, e non rimaneva che una lunga e sottilissima striscia chiara all'orizzonte d'occidente, come uno spiraglio lasciato aperto dalla immensa cappa nera del cielo, prima di chiudersi sul globo, per fare buio fitto: un mar d'inchiostro, l'aria morta. Se non eran quei pochi fanali sopra coperta, si sarebbe dovuto camminare a tentoni, come nella stiva.
Andando verso prua, sentii nell'oscurità la voce del marsigliese che parlava con accento enfatico della poesia d'esser sepolti nell'oceano, d'andar a dormire in quella solitudine infinita, e diceva: - J'amerais ça, moi! - Alcuni passeggieri uscivano dal dormitorio di terza, in silenzio, guardandosi intorno. Sotto il passaggio coperto raggiunsi il prete napoletano, in cotta e stola, che andava a passi lunghi e lenti, preceduto da un marinaio, che portava l'acqua benedetta in una scodella.
A prua, vicino al dormitorio delle donne, trovai un crocchio, rischiarato di sotto in su da una lanterna, che teneva il gobbo: v'erano il comandante e il Commissario, con pochi passeggieri di prima; più in là qualche marinaio; una ventina di emigranti stavano accanto all'osteria, come rimpiattati, e qualche figura appariva confusamente sul castello di prua. Quando il prete arrivò, tutti si mossero, come per disporsi in semicerchio, e in disparte comparve il viso di cera del frate. Nello stesso momento sentii un fruscìo dietro di me, e voltandomi, vidi la signorina di Mestre e la zia, che si arrestarono sotto il palco di comando, all'oscuro.
Credendo che, secondo l'uso, si gettasse il cadavere dalla punta del castello di prua, non comprendevo perché tutti restassero lì; quando a un cenno del comandante due marinai apersero lo sportello laterale dell'opera morta, e compresi.
Intanto pareva che il piroscafo andasse rallentando il cammino; dopo pochi minuti, con mio stupore, si fermò. Non sapevo che si buttassero fuori i cadaveri a bastimento fermo per evitare che il risucchio dell'acque rotte li travolga sotto alla ruota dell'elice.
Allora tutti tacquero, e vidi al lume della lanterna il viso rosso e insonnito del comandante, che pareva irritato di dover assistere a quella cerimonia, e teneva gli occhi fissi sopra una lunga asse distesa ai suoi piedi, davanti all'apertura dello sportello.
S'intese una voce, tutti si voltarono; brillò un lume sotto il castello di prua, e subito dopo si videro u...
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