[Pagina precedente]...a, e parevan più lunghi i cinque giorni che restavano dei diciassette ch'eran passati. Perché è da osservare che, in virtù di non so che legge d'inerzia psichica, il lento accrescersi del tedio e della stanchezza generale proseguiva, latente, anche negli intervalli di tempo sereno e di buon umore; cessati i quali, ciascuno si risentiva l'odioso carico aggravato a proporzione del tempo trascorso, senza il più piccolo ammanco di peso, come se si fosse sempre seccato. E quel diciottesimo giorno prometteva male. Delle nuvole nere e grigie facevano una volta schiacciata sopra il mare, il quale in una parte aveva color d'olio sbattuto, in un'altra pareva di cenere immollata, e qua e là , d'un bitume nerastro, che gonfiava e risedeva, come la pegola della bolgia dei barattieri. A prua e a poppa si fermavano molti capannelli e circolava una notizia: nella notte era morto il vecchio contadino piemontese, malato di polmonite: l'atto di morte era stato steso e firmato da due testimoni, la mattina all'alba, nella camera nautica, dopo la verificazione dovuta del medico. Quell'avvenimento, benché si sapesse che in quei lunghi viaggi, fra tanta gente, non era raro, destava una tristezza inquieta, come se fosse una minaccia per tutti. Il medico fu fermato sulla "piazzetta" dalle signore, che volevan sapere, e con la sua faccia placida di Nicotera ammansito, raccontò. Era stata una scena dolorosa. Il vecchio, prima di morire, aveva voluto rivedere la signorina di Mestre, per rimetterle i suoi pochi soldi e le carte, che le facesse recapitare al suo figliolo. Ma aveva avuto un'agonia disperata. Il prete non era riuscito a fargli accettar la morte con rassegnazione. Negli sguardi che girava sugli astanti, e intorno, su quello strano ospedale, si vedeva un'angoscia immensa, uno sgomento di fanciullo di dover morire là , in mezzo all'oceano, e di non aver sepoltura; e si afferrava con tutt'e due le mani al braccio della signorina, non dicendo più che: - Oh me fieul! Oh me pover fieul! - e scotendo il capo in atto di desolazione infinita. Morto, era rimasto col viso contratto in un'espressione di spavento, e ancora inondato di lagrime. La signorina, l'avevan dovuta quasi portare in coperta, e a stento s'era potuta trascinare fino a poppa.
Andai a prua. V'era l'agitazione che si vede la mattina in una piazza, dove sia stato commesso un delitto la notte: un aggrupparsi e un chiacchierar fitto e sommesso di donne, che mostravan sotto la maschera della tristezza il piacere d'aver un fatto straordinario da commentare, e quello che si prova sempre all'annunzio d'una morte: un sentimento più acuto e gradevole della vita. Discorrevano della sepoltura: quando si sarebbe fatta, in che modo; da che parte l'avrebbero gettato fuori, e se coi piedi avanti o con la testa. E facevano le supposizioni più strambe: che sarebbe stato buttato giù nudo, con una palla da cannone legata al collo; che l'avrebbero abbandonato al mare chiuso in una cassa incatramata, per preservarlo dai pesci, com'era prescritto dalla legge. Alcune dicevano che s'eran già visti avvicinarsi al bastimento dei pescicani, attirati dall'odor del cadavere; e parecchie guardavano in mare, per vedere. Molta gente s'accalcava alla porta dell'infermeria, per scendere a visitare il morto; ma un marinaio, messo là di guardia, impediva il passo. Intanto sul castello di prua, in mezzo al cerchio solito, il vecchio dal gabbano verde faceva un'orazione imprecatoria, agitando l'indice in alto: - Uno di meno! Andiamo avanti. La carne dei poveri si butta ai pesci. Quello lì, per esempio, era già condannato dal primo giorno. Sfido io, non lo nutrivano! - Diceva che invece di un buon brodo gli mandavano della lavatura di piatti e che l'avevan lasciato morire senza un cuscino sotto il capo. E si riseppe la sera dai soffioni ch'egli insinuava anche il sospetto che non fosse quello il primo morto durante il viaggio; ma che gli altri li avessero saputi tener nascosti, e poi scaricati in mare nel cuore della notte, dal cassero di poppa. - Ma ha da venire - disse a voce alta — il giorno del giudizio! - E lui e i suoi uditori mi fulminarono delle occhiate, che mi fecero rinunziare a sentir altro. Andai a chiedere notizie del piccolo Galileo.
Trovai sull'uscio del camerino di seconda il padre, seduto sopra una valigia, con uno dei gemelli fra le ginocchia, e la pipa in bocca - El fantolin sta ben -, mi disse, con la sua solita faccia ridente. E poi, strizzando gli occhi verso il vecchio del castello di prua, di cui arrivava la voce fin là , mi disse a bassa voce: - Ghe xè dele teste calde.
Poi soggiunse: - Per mi, dal momento che se va sul mondo novo, cossa ne importa a deventar mati perché va mal le façende nel mondo vecio?
Questa domanda era come una tastata ch'egli mi dava per vedere s'io fossi un signore intrattabile, o uno di quelli con cui si può ragionare. Ma senza ch'io rispondessi altro che un cenno del capo, mi parve che il mio viso gl'ispirasse fiducia, perché, facendo un salto, disse francamente:
— Per conto mio de mi, mi scusi, un torto che hanno i signori è di sparpagnar tante fandonie sull'America, e che muoion tutti di fame, e che tornan più disparai di prima, e che c'è la peste, e che i governi di là son tutti spotiçi traditori, e cussì via. Cosa succede allora? Succede che quando poi arriva una lettera d'uno di laggiù che fa saper che sta bene e che el fa bessi allora non si crede più niente di quello che i siori dicono, neanche quello che è vero, e sospettano che sia tutto un inganno, e che anzi sia vero tutto il contrario, e i parte a mile a la volta.
Gli dissi che aveva ragione e che se non si fosse detto altro che la verità , forse ne sarebbero partiti meno. - E voi andate con buona speranza? - domandai.
- Mi? — rispose. - Mi razono in sta maniera. Di peggio di come stavo non mi può capitare. Tutt'al più mi toccherà di patir la fame laggiù come la pativo a casa. Dighio ben?
Poi ricaricando la pipa, continuò:
- I ga un bel dir: No emigré, no emigré. Mi faceva ridar il cavalier Careti (chi sarà stato questo cavalier Careti?): voi fate male, voi fate male. Mi diceva che ogni emigrante che parte porta via al paese un capitale di quattrocento franchi. Tu vai a consumare e a produr di fuori, tu fai un danno al tuo paese. Cossa ghe par a lù de sta maniera de razonar, la me diga? Mi diceva anche che avevo torto di lamentarmi delle tasse perché più le tasse son forti, tanto più il contadino lavora, e così tanto più produce. Piavolae, la me scusa, digo mi. Io non so niente di queste cose, gli rispondevo. Mi so che me copo a lavorar, e che no cavo gnanca da viver, mi e mia muger. Mi emigro per magnar. Lù me consegiava de spetar, che i gh'avaria bonificà la Sardegna e la marema, e messo a man a l'agro romano, che i gavaria verto i forni conomiçi e le banche, e che el governo gera a drio a megiorar l'agricoltura. Ma se intanto mi no magno! Oh crose de din e de dia! Come se ga da far a spetar co' no se magna?
Incoraggiato dal mio consenso, allargò il campo del discorso, e cominciò a metter fuori quelle idee generali, che ogni uomo del popolo d'oggi ha più o meno confuse nel capo, intorno alle cause del malo andamento delle cose: si spende tutto a mantener soldati, milioni a mucchi in cannoni e in bastimenti, e quindi zo tasse e alla povera gente nessuno ci pensa: le cose solite; ma che non paiono mai tanto vere e tristi come quando si senton dire da uno, che ne esperimenta gli effetti nella miseria propria, e a cui nessuna consolazione si può dare, neppur di parole. E giusto io pensavo, mentre egli mi diceva che dopo una giornata di fatiche non trovava sulla tavola che una zuppa di brodo di cipolle, e che notte si svegliava per l'appetito, ma non si aresegava a mangiare per non scemare il pane ai figliuoli, che già l'avevano scarso, pensavo a che cosa m'avrebbero servito tutte le alte ragioni, che mi s'affacciavano alla mente, di necessità storiche, di sacrifizio del presente all'avvenire e di dignità nazionale. La società , che in nome di queste cose gli chiedeva tanti sacrifizi, non gli aveva neppure insegnato a comprenderle, e mi sarebbe parso, dicendogliele, d'insultare la sua miseria. E lo stavo a sentire con quell'aspetto quasi vergognato col quale tutti oramai ascoltiamo le querele delle classi povere, compresi del sentimento d'una grande ingiustizia, alla quale non troviamo riparo nemmeno nell'immaginazione, ma di cui tutti, vagamente, ci sentiamo rimorder la coscienza, come d'una colpa ereditata.
- Ah no! - disse scrollando il capo. - Come che xè el mondo adesso, la xè una roba che no pol durar. La ghe va massa mal a tropa zente - E mi parlò delle miserie che si vedeva intorno, delle storie compassionevoli che sentiva a prua, appetto alle quali gli pareva ancora di essere dei meno sfortunati. Ce n'eran di quelli che non avevan più mangiato un pezzo di carne da anni, che da anni non portavan più camicia fuor che i giorni di festa, che non avevan mai posato le ossa sopra un letto, e pure avevan sempre lavorato con l'arco della schiena. Ce n'era che, fatte le spese del viaggio, sarebbero arrivati in America con due scudi in tasca, e che ogni giorno mettevano da parte in una sacca un poco di galletta, per avere qualche cosa da rodere a terra, e non dover chieder l'elemosina, quando non avessero trovato lavoro nei primi giorni. Ne conosceva più d'uno, che per non arrivare in America scalzo, teneva legato intorno ai piedi con un filo di spago quell'unico paio di scarpe in pezzi che gli rimaneva, e ci metteva la testa sopra di notte, per paura che gliele portassero via. - E la senta - soggiunge - ghe xè de quelli che i gh'ha fato tanto cativa vita, che i xè partii tropo tardi, e i va in America a farse soterar. — E m'indicò un contadino sui quarant'annni seduto poco discosto da lui, col capo scoperto e grondante di sudore, chinato nelle mani scarne, che gli tremavano. Aveva una febbraccia che non lo lasciava mai, presa nelle risaie, e non reggeva più nulla sullo stomaco. Una notte (ma non doveva risaperlo nessuno) egli l'aveva afferrato, che si voleva buttare in mare, e sporgeva già con tutto il busto di fuori; e dopo d'allora sua moglie non lo perdeva più d'occhio: una disgraziata che faceva più compassione di lui. - La varda ela, che robète! — (Guardi lei, che cose!).
E diceva tutto questo con tristezza, ma senza acrimonia, non per ossequio a me, ma per quella coscienza confusa, comune a molti tra 'l popolo, e derivata in parte dall'idea religiosa, in parte da intuizione propria, che la miseria del maggior numero sia più che altro effetto d'una legge del mondo, come la morte e il dolore, una condizione necessaria dell'esistenza del genere umano, che nessun ordinamento sociale potrebbe radicalmente mutare.
- Basta -, concluse, rimettendo la pipa in tasca, e posando le mani sul capo del suo bambino -, che il Signore me la mandi buona. Se in America trovassi almeno la brava zente che ho trovato qui a bordo! Perché senta, sior paron, se quella povera putela inferma non va in paradiso vuol dire che non ci lasciano entrar più nessuno. Lei fa portar le minestrine alle donne da late, lei dà bessi ai poveri, lei regala biancheria a chi non ne ha, lei è la benedizione di tutti. Ma co' ghe digo mi che el mondo va mal. Un anzolo compagno, ghe tocarà morir zovene. Vegno, ciaccolona! — gridò verso il camerino.- Con parmeso, paron. Mia muger me ciama. La se varda, che a momenti se verze le catarate! —
Tutt'ad un tratto, infatti, venne giù dal cielo grigio un rovescio di goccioloni come chicchi d'uva, e subito dopo una pioggia scrosciante fittissima, che coperse tutto d'un velo, come se il piroscafo fosse entrato dentro a una nuvola. Un'onda di passeggieri irruppe urlando nel passaggio coperto dov'io mi trovavo, e respingendomi indietro d'una decina di passi, mi avvolse e mi imprigionò lì al buio, in uno stretto cerchio di giacchette inzuppate, in mezzo a un odore acuto di povera gente. E lì seguì una scena da raccontarsi. Erano appena scorsi dieci minuti, che da un on...
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