[Pagina precedente]... ruote della macchina. Forse, a casa sua, avrà avuto la distrazione del lavoro o del movimento, qualche amico, o un vizio con cui cercava di stordirsi: per qualche ora, almeno, non avrà veduto sua moglie. Ma là , su quei quattro palmi di tavolato, esser costretto a vederla e a toccarla di continuo, a odiarla e a esser odiato sotto gli occhi di tutti, e a respirare l'alito suo in una segreta senza luce e senz'aria, era insieme il supplizio della reclusione, della berlina e della galera. E non un'anima umana con cui sollevarsi! Perché a nessuno egli aveva fatto ancora la minima confidenza, che si sarebbe risaputo, essendo smaniosi tutti di penetrare il loro segreto. E neppur essa parlava. Erano due tombe chiuse, in ciascuna delle quali si dibatteva un mostro sepolto vivo, senza chiedere aiuto né pietà .
Quella notte, però, io credetti d'essere sul punto di scoprire il mistero. La brezza era quasi cessata, e il mare dormiva, in modo che la sera tardi quando scendemmo per coricarci, scorrendo il piroscafo senza scosse e senza scricchiolio, si sentivano tutti i più leggieri rumori da un camerino all'altro, come in quei pericolosi alberghi a tramezzi di legno di certe piccole città del Reno, nei quali le Guide raccomandano di "essere discreti". Quando entrai nel mio camerino, sentii la voce soffocata della signora che parlava rapidamente, con un tuono aspro e monotono, come se facesse una lunga recriminazione, riandando il passato, ricordando fatti e persone; e la voce del marito rispondeva basso, a intervalli, con rassegnazione: - Non è vero, non è vero, non è vero. — Ma incalzando sempre più e inasprendosi l'accusa, le denegazioni di lui pure s'andavano inasprendo e precipitando. L'infelice, impotente a lottare, e neppur più curante oramai di serbare nelle dispute la dignità d'uomo, era ridotto alla misera difesa della femminetta che ripete per un'ora la stessa parola, per paura che il silenzio assoluto non le tiri addosso di peggio. Ma tutt'a un tratto si riscosse, e mise fuori un'onda di parole incomprensibili, furibonde, oltraggianti, disperate, troncate da un gemito di cane arrabbiato, che mi fece fremere... S'era addentato le mani. Essa rise. Stetti un momento in ascolto, aspettando il rumore d'una ceffata o il rantolo di lei afferrata alla gola. E intesi invece daccapo la voce di lui, ma umile e supplichevole, che pronunciò più volte un nome, "Attilio", la voce di un uomo che si confessa vinto, che domanda grazia, che consente a tutto; purché una cosa sola gli sia concessa. Attilio doveva essere un figliuolo, e suo padre uno di quegli uomini, spesso anche fortissimi di tempra, che l'affetto paterno rende pusillanimi, e tien curvi, con le braccia incatenate, sotto al flagello della donna che li può ferire a morte in quell'unico affetto. Non mi parea possibile che a quella supplicazione miseranda non rispondesse la voce della moglie impietosita, e tesi l'orecchio... Non udii risposta. Scricchiolarono le assicelle d'una cuccetta: la signora si era coricata, senza rispondere. Allora sentii come il rumore d'una mano che frugasse violentemente dentro a una valigia, e mi passò pel capo che egli cercasse una rivoltella. Ma lei continuava a tacere. Quel disgraziato non aveva neppure più il conforto d'essere creduto capace d'un atto di disperazione. Mentre stavo ansioso, aspettando il colpo, s'affacciò un uomo al mio camerino, e al chiarore incerto del lume a bilico riconobbi l'agente.
Non intesi bene le sue prime parole perché badavo al mio vicino: ma nessuno scoppio s'udì: gli era mancato forse il coraggio, come altre volte: intesi invece il rumor d'un corpo che si lascia cadere, come spossato, e il colpo d'una mano sopra la fronte. L'agente non s'avvide di nulla. Aveva ben altro pel capo. Veniva a sfogare la sua stizza con me. Il suo camerino era diventato inabitabile... da un uomo. Egli aveva infilato un pastrano, e da mezz'ora girava in pantofole per i corridoi, aspettando che i suoi due vicini s'addormentassero. - La grammatica spagnuola, - dissi. Per l'appunto, la grammatica spagnuola; non era altro; ma battevano troppo spesso sul paragrafo delle interiezioni. Gl'importava assai che quello stucchino di Lucca della signora terminasse con dire l'Ave Maria. Il peggio era che mentre i primi giorni i suoi colpi di tosse e le sue gomitate contro al tramezzo gli intimidivano, ora ci avevano fatto l'orecchio, e se ne infischiavano. Facevano delle vere orgette da "gabinetto particolare", rosicchiavan dei dolci portati via da tavola, sorbivan del rosolio: gli pareva perfino che facessero dei giochi di ginnastica da camera, con salti e rotoloni; un monte di monellerie che non si sarebbero immaginate mai a vederli di sopra, con quella timidezza bugiarda di santerelli. Il giorno dopo si sarebbe vendicato; li voleva perseguitare da poppa a prua come un aguzzino, senza lasciarli rifiatare un minuto, e farli diventar pavonazzi a ogni boccone, alla mensa. Che facce! Nulla di più insopportabile del settimo sacramento a bordo, quand'era fresco. Intanto gli toccava di galoppare. Ma non aveva perso il suo tempo. Uscendo dal camerino aveva visto sparire in fondo al corridoio traversale un fantasma bianco, e riconosciuto la signora svizzera; ma non gli era riuscito di scoprire dove si fosse rimbucata, non essendo possibile dall'argentino dell'occhialetto, perché gli argentini s'eran tutti raccolti nel camerino del gaucho, di dove usciva un tintinnìo di calici, né dal toscano, che da due sere andava a prua, dove pareva che avesse un rigiro. Sospettava del discendente degli Incas; ma aveva bisogno d'accertarsi. Quanto al professore, credeva che fosse sul cassero, ad aspettare una pioggia di stelle cadenti: quando la signora voleva sbrigarsene si lagnava del caldo, diceva che in due nel camerino si soffocava, e allora lui andava su a studiare le costellazioni. Certo che quel tegamaccio della cameriera genovese, che la notte stava sempre di guardia al crocicchio dei corridoi, non ci doveva star soltanto per sorvegliare il suo Ruy Blas, ma anche per proteggere le scappate di lei, che altrimenti non sarebbe stato credibile che le passasse sui piedi con tanta disinvoltura. Gli era anche parso di veder trasvolare nell'ombra la negra, e s'era fissato in testa che il marsigliese avesse iniziato un corso di studi sulla razza etiopica. E anche la cameriera veneta gli era parso che quella sera girasse per i corridoi con un becco concupiscevole, che gli destava dei sospetti. Insomma, era una notte agitata, nessuno dormiva, ci sarebbe stato molto materiale per la piccola cronaca del giorno seguente. Già aveva veduto mettere il viso all'uscio due o tre volte la madre della pianista, spiando intorno con una curiosità fiammeggiante. E a proposito: egli seguitava a tener d'occhio la figliuola, a cui brillava il viso di tanto in tanto, quando qualcuno passava; ma chi fosse questo qualcuno non aveva ancora potuto scoprire, perché sempre, quando aveva visto una di quelle illuminazioni istantanee, eran passati parecchi, e la giovane volpe era così pronta a raccogliere lo sguardo, che non gli era riuscito mai di coglierne la direzione. Oh! una passioncella senza conseguenze, un foco occulto: era tenuta a catena: tutto sarebbe finito in una lettera e in un colpo di forbici... Ma qualche cosa c'era, e avrebbe indagato ancora. E non avevo inteso la novità ? Avevano mandato in fretta a chiamare il prete napoletano, che era uscito a passi di dromedario, infilzandosi il tonacene: qualcheduno doveva star male a prua. - Basta, - concluse, - vado su in riposteria a bere un bicchiere di birra, e poi rivengo giù a vedere se si son quetati: accidenti! Buona notte.
Fu una pessima notte. Eran vicine le dodici, e la maggior parte vegliavano ancora. L'afa opprimeva tutti. E per giunta pareva che quella notte il dormitorio si fosse mutato in una enorme cassa armonica, in cui ogni sospiro diventava sonoro, e si sentiva da un capo all'altro dei corridoi. Nel camerino dietro al mio russava il mugnaio, che ogni tanto cambiava di posizione, mettendo un gemito, e sclamando: - Ah! povra Italia! - che doveva essere il suo intercalare. Di quando in quando mi giungevano all'orecchio affievoliti i colpi di tosse della signorina di Mestre, che dormiva dall'altro lato del piroscafo. Il bimbo più piccolo della brasiliana, malaticcio, piangeva, e sentivo la cantilena sommessa e triste della negra, una specie di singulto d'upupa, che mi faceva passare per la fantasia i canti lamentevoli degli schiavi d'Africa sepolti nelle stive dei velieri immobili, sotto il sole dell'equatore. Di fronte a me, chiacchieravano senza un riguardo al mondo l'avvocato e il tenore, e intesi che parlavan della Grecia. Udii esclamare: - Giorgio Byron! - Poi l'avvocato che diceva: - Dunque lei non tien conto delle forze del panslavismo? - Ah! - rispose il tenore, - non mi parli del panslavismo. Per sua regola, non venga mai a par-la-re-a-me del panslavismo! - Sentii dei frammenti di conversazione del prete napoletano col chileno, che dovevan esser ritti in mutande, ciascuno sull'uscio del suo camerino: - Cuando se produce un movimiento de baja en el precio del oro sellado... - Finalmente tutti tacquero. Ma quando non s'è preso sonno subito, in quelle notti afose, dentro a quelle stie di camerini, non c'è più da sperare altro che uno stato di dormiveglia affannoso, nel quale il senso della vista e dell'udito rimangon come velati, ma non sopiti, e il sogno, se si può chiamar sogno ancora, piglia un andamento ad altalena vertiginoso, trasportandoci senza posa dal mare a casa nostra, e di qui sul mare, e poi daccapo a casa, con una lucidità di visione e una brutalità di disinganni che è un supplizio. E quante volte poi, a casa, anche anni dopo, si rifanno quei sogni medesimi, come se fossero rimasti stampati indelebilmente nel cervello, al pari di cose reali, distintissimi dagli altri innumerevoli della vita, quasi che fossero impressioni d'un'altra vita! E ricordo il rumor dell'acqua che batteva contro il fianco del bastimento, a pochi centimetri dal mio capo, e che in quel silenzio dello scafo si sentiva più netto che mai: un bisbiglio continuo ed eguale per lunghi tratti, il quale rompeva in parole più alte, in risa rattenute, in sibili sottili, e si smorzava in fruscii leggerissimi, e poi, páffete! uno schiaffo rabbioso, e poi un'altra volta un mormorìo di preghiera, come se il mostro chiedesse di entrare, promettendo che non farebbe male a nessuno, giurando che era mite e innocente. Ah! l'ipocrita! E senza tregua, egli striscia, raspa, lecca, picchia, cerca una fessura, si stizzisce di trovar chiuso e saldo, e si lamenta, si maraviglia che si diffidi di lui, e riperduta la pazienza ad un tratto, torna a schernire, a minacciare, a pestar la porta come un padrone sdegnato. E a quella parlantina infaticabile s'uniscon dentro ogni sorta di rumori sospetti: l'anello dell'uscio, la bottiglia dell'acqua, il lume sospeso: a momenti giurereste che c'è un altro che dorme accanto a voi, che una persona gira nel vostro camerino e fruga nelle vostre valigie. E vi riscotete all'improvviso: una persona è entrata veramente e si avvicina. È il cameriere, che viene a vedere se è chiuso il finestrino, e che, dato uno sguardo, scompare. E allora sentite altri rumori sopra coperta, passi precipitosi come di gente che accorra a un pericolo, strepiti incomprensibili, che nella quiete della notte paiono enormi, e fan sospettare un disastro: udite dei passeggieri che escon dal camerino, salgono a vedere, e ridiscendono. Nulla: eran due marinai che tiravano una corda. Richiudete gli occhi, ricominciate a sognare, vi risvegliate di sobbalzo a un rumore assordante e terribile: questa volta qualche cosa è accaduto! è seguito uno scoppio! s'è fracassata la poppa! Niente, un piovasco. Ah! finalmente si potrà dormire. Ma a traverso al finestrino appare un leggiero chiarore cinereo. Spunta l'alba. Maledizione! Ancora cinque giorni.
IL MORTO
Ancora cinque giorni! Era l'esclamazione di tutti quella mattin...
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