[Pagina precedente]... strada coperta d'oro bollente, che pareva uscisse dalla sua poppa, come da una miniera in combustione. In alcuni punti era oro, in altri argento; lo spazio luminoso si stendeva a una grande distanza, digradando in una mite chiarezza bianca, che faceva pensare a quello che gli Olandesi chiamano mare di latte o di neve, veduto già da molti navigatori nel Pacifico, nel golfo di Bengala e nell'arcipelago delle Molucche. Ma vicino a noi l'acqua ardeva e viveva, era una bellezza, un inseguirsi e un incrociarsi di fuochi fatui, un tremolìo infinito di stelle e di piccoli soli, che si avvicinavano al piroscafo e balzavano lontano, e s'alzavano e s'abbassavano, senza nascondersi, dando alle onde una trasparenza splendida, come d'un mare illuminato di sotto in su dagli astri favolosi di Plutone e di Proserpina, raggianti nell'interno del globo. Si capiva bene allora come i naviganti antichi che vedevano per la prima volta quel mare risplendente ne avessero turbata la ragione. Non se ne poteva staccare lo sguardo: abbagliava, attirava come se portasse a galla tutte le ricchezze dell'universo, metteva voglia di tuffarvi la mano per pigliare una pugnata di gemme, di cacciarvisi dentro per uscirne sfolgoranti come monarchi orientali. Provavamo tutti il bisogno di trovare paragoni fantastici e di dire bizzarrie, sguazzando con l'immaginazione in quell'immensità di tesori ondeggianti, che ci scintillavano intorno come una tentazione e uno scherno. E l'ammirazione crebbe ancora quando, dopo un'ora di quella vista, comparve un branco di delfini, che si misero a guizzare e a saltare in quel fuoco, accompagnando il piroscafo, come per unire la propria alla nostra allegrezza. Allora fu un turbinìo di faville, una festa di spume e di spruzzi infiammati, una danza di costellazioni, una follia di splendori che fece prorompere i passeggieri di terza classe in grida acute, in strilli di gioia come una folla di ragazzi.
Il solo malcontento fu il marito della svizzera, che vedemmo comparire sul cassero brontolando, con la faccia rossa e indispettita. Ma, dio buono, se l'era cercata. Era andato sul castello centrale, in mezzo a un crocchio di contadini, a spiegare che quella fosforescenza delle acque era prodotta da una quantità di animaletti microscopici, chiamati con non so che nome dell'altro mondo, o in altri termini, che tutte quelle scintille erano bestie. Questa volta, per verità , l'aveva sballata troppo grossa, ed era stata accolta con una clamorosa risata.
Ma già un nuovo spettacolo attirava l'attenzione di tutti. Essendosi schiarito il cielo da ogni parte, si vedevano per la prima volta all'orizzonte le quattro bellissime stelle della croce del Sud, sconosciute
al settentrïonal vedovo sito,
scintillanti nella solitudine oscura dei così detti sacchi di carbone: i deserti del cielo australe. Da un lato splendevano limpidamente l'alfa e la beta del Centauro, e dall'altro la costellazione del Naviglio, con lo stupendo sole Canópo. Tutto il firmamento brillava terso e queto. La stella polare era scomparsa.
L'OCEANO AZZURRO
Qui, al diciassettesimo giorno, trovo notato sulla carta del Berghaus che si doveva passare la famosa linea tirata da Alessandro VI per dividere il mondo tra il Portogallo e la Spagna; e accanto queste parole: - Bel tempo fuori e in casa. - E difatti l'umore di quella moltitudine d'emigranti seguiva con fedeltà mirabile le variazioni del mare. Come parlando con un personaggio potente, al quale domandiamo un favore, e che ci può nuocere, il nostro viso riflette inavvertitamente tutte le espressioni del suo, così i pensieri e i discorsi di tutta quella gente si facevan neri, gialli, grigi, azzurri, lucenti secondo che era il colore delle acque. Esattissimo è il dire "la faccia del mare" poiché lo spianarsi e il corrugarsi della sua superficie, e le ombre che vi guizzano, e le tinte pallide o tetre che la coprono all'improvviso, rassomigliano in modo maraviglioso ai moti di una faccia umana, la quale rispecchi l'agitazione d'un animo mobilissimo e malfido. Quanti mutamenti si succedevano in poche ore, sempre rimanendo buon tempo! L'oceano, che appariva vecchio e stanco, ringiovaniva in pochi minuti, corso da un fremito di vita che lo mutava tutto, e poi si racquetava, pensieroso, e s'annoiava, e s'addormiva, e poi su, si svegliava come per una scossa, inquieto, accigliato, come offeso da quel guscio di noce pien di formiche che gli passava sul corpo, e pareva che meditassero un brutto tiro: poi ricadeva in una indifferenza sprezzante, o perdonava e diceva: - Passate, passate, - sorridendo. E mutava rapidamente con esso l'aspetto del piroscafo, come se quelle mille e seicento persone avessero avuto un solo sistema nervoso. Alle dieci tutti sdraiati, silenziosi, con facce di gente che non avesse più nulla a sperare a questo mondo, davano al Galileo l'apparenza d'un lazzaretto natante: un'ora dopo, per effetto d'un soffio che spazzava l'orizzonte o d'un raggio che dorava la prua, tutti in piedi, tutti in moto, e un mormorio, un'allegrezza di festa, di cui essi medesimi erano stupiti. E così cambiava man mano la loro disposizione d'animo verso di noi, e la maniera di accoglienza che ci facevano in casa loro. La mattina occhiatacce, voltate di spalle e anche male parole fischiate rasente le orecchie: un'antipatia spiegata per i "signori". La sera dello stesso giorno, invece, sguardi benigni, avvertimenti ai ragazzi che ci lasciassero passare, e anche parole amichevoli buttate così per aria, per attaccare discorso. E anche in questo noi facevamo come loro. Pensavamo spesso, guardandoli, con un bel sereno: - Povera e buona gente! Son nostri, infine. Che cosa non si darebbe per vederli contenti! Come sarebbe bello essere amati da loro! - E in altri momenti, nell'afa del cielo chiuso: - Che razza di cani! Pensare che ci farebbero morir tutti perpendicolarmente, se potessero! E noi li andiamo a accarezzare, imbecilli.
Ma quel giorno il mare era azzurro, e a traverso al buon umore della popolazione di terza, come per una trasparenza morale, si potevano fare molte osservazioni psicologiche nuove. Poiché bisogna notare: sotto la trama dei dispetti e degli odi se n'era ordita, in quei sedici giorni di viaggio, un'altra di simpatie, d'amori e di ripeschi, molto intricata, e assai più variopinta dell'altra. Il Commissario sapeva tutto o quasi, per veduta propria e per quello che gli andavano a riportare, richieste o no, quindici o venti comari informate d'ogni braca, le quali esercitavano a prua lo stesso ufficio che la madre della pianista e l'agente di cambio facevano a poppa. Ed era un divertimento impagabile il sentirgli sfilar la corona delle passioni, sul palco di comando, con gli occhi sulla folla, indicando via via i personaggi, con quella sua parlata lenta di giudice di pace, comicissimo dentro e grave fuori. La prua tutta nera di gente ci si stendeva di sotto come un vasto palcoscenico scoperto, accarezzato in quel momento da una brezza morbida, che faceva sventolare i panni distesi a asciugare e svolazzar le cocche dei fazzoletti e i capelli sulle terapie alle donne. Ed egli raccontava. Gli amori eran molti, ed essendo costretti a rimanere la più parte, o sempre o quasi sempre, nei confini d'una castità rigorosa, s'erano venuti rinfiammando e inasprendo, si può dire, a veduta d'occhio, come non accade mai nelle città o nelle campagne. Non c'era donna giovane, maritata o ragazza, che non avesse il suo o i suoi vagheggiatori, impudenti o prudenti, cotti più o meno, e sì e no corrisposti, alla coperta o alla palese. La continenza, e quell'aver sempre l'oggetto lì sotto gli occhi, quasi a contatto, nel disordine del vestito della mattina, o nell'abbandono del sonno lungo il giorno, e nella nudità libera della maternità , aveva fatto nascere capricci e passioncelle vive anche per matrone rustiche semisecolari, che sul continente non sarebbero state degnate d'un pizzicotto. Le giovani poi, se non eran facce da far paura, avevano addirittura dei cerchi di sospiranti; alcuni dei quali, dopo qualche tempo, si stancavano, e si voltavano a ciondolare intorno a un'altra bellezza, lasciando ad altri il posto vuoto; e così i gruppi si venivano mutando. C'erano concupiscenze passeggiere e contemplazioni platoniche, che miravano, più che altro, a ingannare il tempo, e anche corteggiamenti burleschi, fatti per spassare i camerati. Ma c'erano pure innamoramenti seri di maschi presi fino all'anima, d'un'audacia e d'una brutalità che sfidava la luce del sole e il regolamento di disciplina, ostinati e gelosi come arabi, che non volevano concorrenti d'attorno e minacciavano coltellate a destra e a sinistra. Questi avevano tutti i loro posti fissi, di dove durante il giorno, quando non si poteva nulla tentare, covavano l'oggetto dei loro spasimi con occhi di sparvieri che fissan la preda, e ingiuriavano perfino coloro che, passando, intercettassero i loro sguardi. Avevano preso fuoco perfin certe teste grigie, certi bifolchi cinquantenni dalla pelle di rinoceronte, nei quali si sarebbe detto che la scintillaccia non si dovesse accendere nemmeno per confricazione. Uno di questi, un monferrino con un muso di cinghiale, era diventato addirittura canuto spettacolo per la contadina di Capracotta, il cui visetto tondo di madonna mal lavata, colorito dal riflesso del suo fazzoletto a rose vermiglie, faceva girar la cùccuma anche a vari altri, non ostante la presenza d'un lungo marito barbuto. Le due coriste che andavano in giro dalla mattina alla sera, ridendo con tutti, strofinandosi a tutti, tastate da tutte le parti, pareva che si divertissero particolarmente a fuorviare i buoni mariti: le mogli le odiavano come la peste, e le apostrofavano senza complimenti, dietro le spalle e davanti, minacciando di ricorrere al Commissario, perché ripulisse la prua, ch'era una cosa che metteva schifo. Ma non eran le sole: c'eran delle altre facce rotte di città che seducevano i padri di famiglia con un po' di farina sul muso e un po' di porcheria nel fazzoletto, e passavan davanti alle mogli costumate con un certo ghigno da schiaffi, dandosi l'aria di signore: un'infamia; che cosa ci stava a fare a Genova la questura? Ma l'avevano amara soprattutto con quello scimmione di negra dei brasiliani, che non veniva che all'ora dei pasti, e la sera, ma che aveva acceso un vero vulcano di passionacce: pareva impossibile, dicevano, con quella nappa rincagnata e quel fetore di caprone; e tutti dietro e intorno, come cani in fregola, a fiutare quel sudiciume, e lei ci sguazzava. Già per essa due mariti erano andati a un pelo dal pigliarsi a pugni, e all'uno la moglie aveva fatto una scenata che s'era intesa fin dalla macchina, all'altro la sua aveva ammollato un sonoro manrovescio, ch'egli aveva puntualmente restituito, riserbandosi a pagare gl'interessi in America. La grossa bolognese, almeno, serbava un certo decoro, voleva portare intatto nell'altro mondo, diceva il Commissario, il suo nome di ragaza unesta: si buccinava bensì che avesse il cuore ferito da un emigrante svizzero, e la sua condotta notturna era dubbiosa; ma di giorno, tra la gente, serbava una dignità d'arciduchessa, tanto più dignitosa, anzi, e più sprezzante, quanto più cresceva intorno a lei l'insolenza delle supposizioni facete intorno al mistero della sua inseparabile borsa. C'erano poi molte altre che, anche nell'amore, davano buon esempio: ragazze morigerate, o almeno timide, che amoreggiavano decentemente con dei giovani per bene, i quali s'atteggiavano ad amici del cuore o ad amanti di seri propositi, e stavano tutto il giorno imbastiti alle loro gonnelle, in atteggiamento languido, ma rispettoso, sotto gli occhi dei parenti. Ma, in generale, la galanteria aveva dei portamenti e parlava un linguaggio che doveva accelerare e raffinare in modo speciale l'educazione dei fanciulli, e delle molte ragazzine tra i dieci e i quattordici anni, ch'erano a bordo, e che in quel serra serra vedevano e sentivano tutto. I più bassi istinti, domati nella vita ordina...
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