[Pagina precedente]... quando sarete guarito, all'arrivo? L'ho da pigliare?
Il vecchio accennò di sì. Essa si chinò, frugò nella giacchetta, tirò fuori il piccolo pacco, trovò il foglio che conosceva, e lo piegò con grande riguardo in un bel portafoglio di bulgaro, che richiuse e rimise in tasca. Il malato osservò con molta attenzione e con compiacenza tutti quei movimenti, e mormorò con un fil di voce:
-A l'è trop grassiosa, trop grassiosa...
- Fatevi coraggio, — essa gli disse porgendogli la mano, — ripasserò presto. A rivederci. Coraggio.
Il vecchio le prese la mano, gliela baciò due o tre volte, versando due grosse lagrime, e l'accompagnò con lo sguardo fino all'uscio: poi lasciò ricadere il capo sul cuscino con un atto di profondo abbandono, come se non dovesse rialzarlo mai più.
La ragazza risalì con la zia sopra coperta, e s'avvicinò alla sua famiglia di contadini, rincantucciata nel posto solito, fra la stia dei tacchini e la botte, come una nidiata d'uccelli. Ma avevan già dato a quel guscio di noce una cert'aria di casa, appendendo alla botte uno specchietto rotondo, e tenendo in alto un asciugamani che li riparava dal sole. La testa d'uno dei gemelli, seduto sul tavolato, serviva d'appoggiatoio alle mani del contadino, e la zucca dell'altro stava curva sotto un resto di pettine fitto, maneggiato dalla mamma, più rotondeggiante che mai; mentre la ragazzina lavava un fazzoletto dentro a un tegamino, posto sopra una valigia scorticata, che faceva da tavolo da lavoro. All'avvicinarsi della signorina, il padre s'alzò, levandosi la pipa di bocca, e tutte e sei le facce sorrisero. Intesi qualche parola, passando.
- Sempre ben?
— Come Dio vol, — rispose il contadino. - Ma la ga paura che ghe suçeda prima de arivar.
E allora la donna, col viso inquieto: — Crede ela, paronçina, che i ghe farà pagar anca lù el cuarto de posto?
La domanda doveva essere molto comica perché per la prima volta vidi la ragazza sorridere. Ma fu come un lampo. Fece cenno di no col capo, - che non credeva, - e si levò di tasca un fazzoletto da collo di lana rossa, che mise in mano alla bimba, dicendo: - Ciapa, vissare, ti te lo metterà de sto inverno... quando mi...
Ma che diamine seguiva per aria? In pochi minuti s'era oscurato il cielo; le nuvole scendevano fin quasi a toccar le cime degli alberi, pareva che fosse calata la sera tutt'ad un tratto. Dai due lati del piroscafo, ravvolto in una nebbia umida, non si vedeva più che un brevissimo spazio di mare grigio e gonfio, che cominciava a farci rullare fortemente, buttando spruzzi in coperta da tutte le parti. I più credettero a una burrasca. L'ufficiale di guardia gridò dal palco di comando: — Un piovasco! Dentro tutti! - Ma appena aveva detto l'ultima parola, che uno scroscio d'acqua violentissimo ci cadde addosso, un vero rovesciamento di catinelle, che inondò la coperta in un attimo; e allora fu una fuga pazza di tutti verso i passaggi coperti e sotto il castello di prua, uno strillar di donne, un saltar disperato a traverso ai rigagnoli, agli schizzi, alle ondate, e un ruzzolare precipitoso per le scalette dei dormitorii, da parer che andasse in sconquasso il bastimento. Ma le porte dei dormitorii essendo strette, vi si formaron davanti degli affollamenti, e ne nacquero rabbiose lotte di precedenza a gomitate e a fiancate, e uno scatenìo di sacrati e di grida, sotto la furia crescente dell'acquazzone che inzuppava cappelli, trecce e giacchette, strepitando sulle vetrate e sui ponti, schiaffeggiando e lustrando ogni cosa. Quella confusione d'inferno mi fece pensare con spavento a che cosa sarebbe accaduto in un momento di pericolo. Non era altro che il primo saluto che ci mandava la zona torrida, la grande innaffiatrice del mondo, nel cui regno navigavamo da due giorni. E non durò che pochi minuti. La vôlta cupa delle nuvole si alzò, e rompendosi in vari punti come in tanti finestroni, lasciò cadere sulle acque ancora oscure qua e là e percosse da fasci di pioggia, una varietà non mai veduta di macchie di luce e di riflessi lividi, bianchi, verdi, dorati, che diedero all'oceano l'apparenza di molti mari congiunti, di cui ciascuno fosse rischiarato da un astro diverso: l'immagine strana e triste di un mondo in cui principiasse il disordine della fine.
GLI ORIGINALI DI PRUA
Altri piovaschi ci si rovesciarono addosso il dì seguente, e in grazia all'ultimo io potei parlare per la prima volta con la signorina di Mestre, che mi trovai accanto nel passaggio coperto di destra, dove s'era rifugiata, già fradicia e tremante dal freddo. Le sue prime parole, i primi movimenti del suo viso, veduto così da vicino, in mezzo alla folla che ci stringeva, mi rivelarono l'animo suo meglio che non l'avessero fatto fino allora tutti i suoi atti. Da certi guizzi involontari delle sue labbra bianche e da certi tremiti intimi della voce, s'indovinava sotto a quella compostezza gentile un grande vigore di passione, ed era una pietà ardente per le miserie umane, il cui spettacolo le riusciva intollerabile e la rendeva infelice, un amore violento per tutti quelli che soffrivano, dal quale le era nata non so che idea di socialismo religioso, confusa nella sua mente, ma fiammeggiante nel suo cuore, che la consumava. Per la prima volta in vita sua essa vedeva molta miseria e molti dolori accumulati, per così dire, e frementi sotto la sua mano; e n'era sconvolta nel più profondo dell'anima. Non capii bene il suo pensiero, perché, o per difficoltà di esprimersi o per stanchezza, non finiva mai la sua frase, e l'ultime sue parole volavan via come rapite dal vento. — Non si fa abbastanza per chi soffre, - disse; - eppure... non c'è altro da fare al mondo... tutto è lì. - Se le fossero bastate le forze del corpo, avrebbe certo consacrato la vita a qualche grande apostolato di carità , e in quello sarebbe morta: lo diceva l'espressione della sua bocca tenerissima, e quella della sua fronte risoluta, sulla quale passava ogni tanto un'ombra leggiera, come il pensiero dell'egoismo e della tristizia umana, ch'ella doveva aver piuttosto indovinato che esperimentato nella sua breve esistenza. E nonostante le grandi dissomiglianze, mi passava per la mente, guardandola, il viso bianco e ispirato d'una di quelle fanciulle nichiliste che dipinse lo Stepniak, divorate dall'ardore della loro fede e pronte a morir per essa. Parlava con gli occhi all'orizzonte, con una voce d'una dolcezza inesprimibile, accarezzando con una mano la sua croce nera, e quel povero alito di bambina inferma che gli usciva dalla bocca pareva anche più tenue e compassionevole davanti a quel soffio immenso di vita che le mandava in fronte l'oceano. Aveva coscienza del suo stato? Argomentai di sì dall'indifferenza che dimostrava, come se già vivesse in un altro mondo, per le sue compagne di viaggio e per gli altri passeggieri di prima, che confondeva gli uni cogli altri, domandando: - Chi? Quale? - e facendo uno sforzo per ricordarseli. Ed era rassegnata veramente? Cercai di scoprirlo poco dopo, mentre discorreva con la bella ragazza genovese, a cui aveva portato in regalo un piccolo astuccio di cuoio, con gli strumenti da cucire. Cercai nei suoi occhi, nel momento che la fissava, se la vista di quella bella gioventù salda e florida, e quasi risplendente di vita, le destasse un sentimento anche sfuggevole di invidia, un rimpianto, il pensiero triste del paragone. Nulla. La grande rinunzia era già fatta, senza dubbio. L'amore e il desiderio della vita, partiti prima di lei, eran già nel sepolcro.
In quel punto sentii dietro di me un fruscìo vivo di gonnelle e una risatina trillante. Era la signora bionda, vestita di color celeste, incipriata da una parte sola e profumata come un mazzo di fiori, che veniva per la prima volta a visitar la prua, in compagnia del Secondo, un giovialone color di rosa, alto due metri, col quale pareva già in domestichezza. Passò, sfringuellando, e guardando qua e là ; ma si vedeva che non vedeva nulla di nulla, che per lei poppa, prua, macchine, emigranti, miseria, Atlantico e Mediterraneo, eran tutte cose che non la riguardavano, che non la distraevano neppure un momento dalla sua gaia coscienza di bella donnetta scervellata, libera e felice nel pieno esercizio delle sue funzioni. E osservai allora il senso acuto che hanno gli uomini del popolo nel giudicare lì per lì anche le donne della "signoria". Non l'avevano mai vista; ma la riconobbero al fiuto; e non si scansavano apposta, i sornioni, per farsi strisciare le ginocchia dal vestito celeste; le facevan dietro il verso di chi sorbe un'ostrica, o si baciavan la palma della mano, ridacchiando. Si scansarono invece, ma di mala grazia, davanti alla signora della spazzola, che le veniva dietro, sola, portando un pacco in mano, vestita con eleganza stridente. Da due giorni essa aveva preso a scimmiottare la signorina veneta, e faceva distribuzione di confetti e frutta ai ragazzi. Ma, Dio mio! aveva l'aria d'una ispettrice, il sorriso rassegato; e mentre con la mano porgeva il dolce, con l'occhio si guardava dai contatti: tutta la sua persona rivelava la borghesuccia impastata d'invidia per chi le sta sopra e di disprezzo per chi le sta sotto, capace di commettere una vigliaccheria per entrare in relazione con una marchesa, e di dimezzare il pane ai figliuoli per strascicare del velluto sui marciapiedi. I piccini accettavano, ma le occhiate che le tiravano i grandi esprimevano la più cordiale avversione. Mentre la seguitavo con gli occhi in mezzo alla folla, vidi venire innanzi, con la sua ragazzina, quella tal signora "decaduta" delle terze classi, che il Commissario m'aveva indicato nei primi giorni: malandata di salute peggio d'allora, e resa più miserevole all'aspetto da un vestito di seta nera sciupato e sgualcito. Ci sono delle piccole umiliazioni nella sventura che fanno più pietà della sventura stessa. Tutte e due, madre e ragazza, timidamente, chi sa dopo quanta esitazione, s'accostarono a uno dei cernieri dell'acqua dolce, e vergognandosi un poco, dopo essersi guardate intorno, si chinarono a succhiare i bocchini di ferro, nell'atteggiamento delle bestie all'abbeveratoio, come facevan tutte le altre: poi, vedendo che tornava in qua la signora svizzera, si ritirarono in fretta col capo basso, e scomparvero nella calca. Alcuni emigranti che avevan notato quella scena, ne risero a voce alta, con ironia. La signora bionda, intanto, a un cenno del Secondo, s'era soffermata a guardare la genovese, la cui fama di "bellezza virtuosa" le doveva già essere arrivata all'orecchio. E mi parve che la trovasse bella. Ma nel suo sguardo ridente e benevolo vidi come balenare una espressione di pietà : la pietà con cui un ardito e fortunato industriale guarderebbe un ricco inetto che tenesse a dormire nella cassa forte un capitale prezioso. Poi se n'andò, salutando con un cenno della mano suo marito, che stava in alto, - sul terrazzino del palco di comando, - a esaminare la struttura del fanale rosso.
Povera genovese! Il Commissario, passando là per verificare la rottura dei bocchini d'un cerniere, mi mise al fatto d'una storia deplorevole. Intorno a quella bella e buona ragazza s'era venuto formando un cerchio d'antipatie e di rancori che non le davan più pace. Tutti gli spasimanti non guardati o ributtati con uno sguardo o con un atto di disgusto, le eran diventati nemici, e quel suo contegno dignitoso e immutabile gli aveva inaspriti a poco a poco fino all'odio. Dicevano che era "stupida come una scarpa", un pezzo di carne senza sangue, tutta mani e piedi, imbottita di cotone davanti, e certi denti! Al dispetto degli uomini s'era aggiunta la gelosia delle donne, rabbiose di vederle ai fianchi cento "imbecilli" in adorazione. La bolognese e le due coriste, in ispecie, le lanciavano delle occhiate da bollarla a fuoco. Avevano cominciato a chiamarla, per sarcasmo, la principessa; poi a dire che tutta quella modestia di monachina era un'impostura; e infine a mettere in giro a suo carico ogni specie di calunnie. Non si può dire la sudiceria dei discorsi che le si tenev...
[Pagina successiva]