[Pagina precedente]...to psicologico singolare, che seguì in me quel giorno, e che presto o tardi, in una lunga traversata, segue a tutti, credo, passata che sia la prima novità della vita di bordo. Una bella mattina, al primo salire sul cassero, vi piomba la noia sull'anima, inaspettata, come una mazzata sulla nuca: uno scoloramento improvviso d'ogni cosa, un disgusto inesprimibile di quella vita e di quello spettacolo, il senso di soffocazione di chi, addormentatosi all'aria libera, si svegli con le corde ai polsi, sotto la vôlta d'una prigione. In quel momento vi pare di esser per mare da un tempo immemorabile, come i passeggieri del bastimento fantastico di Edgardo Poe, e l'idea di aver da passare ancora due settimane su quelle quattro assi, in mezzo a quel gruppo di moribondi di noia, vi atterrisce. No, non è possibile che vi resistiate, vi piglierà prima d'arrivare qualche strana malattia cerebrale, non ancor conosciuta. Dio eterno! In che maniera liberarsi da quel supplizio! Scrivere! Ma il bastimento, come altri già disse, ferisce lo scrittore in una delle sue facoltà più delicate, che è il senso dell'armonia: il rumor dell'elice gli fa ripeter venti volte in una pagina la stessa parola. Leggere? Ma per obbligarvi a scrivere, appunto, avete cacciato tutti i libri nei bauli destinati alla stiva. Sul serio, voi pensate a pigliare un narcotico, o siete tentati di stordirvi col cognac, o di far l'esperimento, come il genovese, con lo stantuffo della macchina. Oh! poter trovare qualche cosa di nuovo! Cento lire per il Corriere mercantile di questa mattina! Una libbra di sangue per un'isola! Una rivolta a bordo, una tempesta, il mondo a soqquadro, pur di uscire per un giorno da quest'orribile stato!
Il mare si mostrava quella mattina in uno dei suoi aspetti più brutti e più odiosi: immobile sotto una vôlta bassa di nuvole gonfie e inerti, di colore giallo sporco, d'un'apparenza viscida, come se fosse tutta una belletta di terra grassa, in cui un rampone da pesca avesse a rimanere confitto come una stecca nel mastice; e pareva che non vi dovessero guizzare dei pesci, ma delle bestie deformi e immonde, del suo stesso colore. Un aspetto simile presentano forse le pianure della regione occidentale del Mar Caspio, quando son coperte dalle eruzioni dei vulcani di fango. Se fosse vero che questo immenso mare, salato come il sangue, e dotato d'una circolazione, d'un polso e d'un cuore, non è un elemento inorganico, ma uno smisurato animale vivente e pensante, avrei detto quella mattina ch'egli volgeva in mente i più sconci pensieri, farneticando in uno stato di mezzo assopimento, come un bruto briaco. Ma neanche risvegliava l'idea della vita, poiché non v'era un respiro di vento, e sulla sua faccia non appariva né una contrazione né una ruga. Dava l'immagine di quell'angolo d'oceano deserto, rimasto per molto tempo inesplorato, che si stende fra la corrente di Humboldt e quella che le va incontro al centro del Pacifico, posto fuori delle grandi vie della navigazione, dove non si vede né vela, né balena, né gavotta, né alcione; dai confini del quale tutto fugge, ogni indizio di vita dispare; e se il vento o la tempesta vi gettano qualche volta un bastimento smarrito, pare ai navigatori di esser caduti nelle acque d'un mondo morto.
Ma fortunatamente questi accessi di noia sono come il dolor di gomiti, terribili, ma brevi. Giovò anche a liberarmene il comandante, che quella mattina, a colazione, era in vena di chiacchierare, e pieno di buon umore, benché trasparisse poco dal suo cipiglio di piccolo Ercole dai peli rossi. Per il solito, quello era il suo miglior momento. Esaminati i calcoli astronomici degli ufficiali, puntata la sua carta, computato il cammino fatto e quello da farsi, se nelle ultime ventiquattr'ore il Galileo avea filato bene, e se non c'erano novità spiacevoli a bordo, egli sedeva a tavola stropicciandosi le mani, e teneva viva la conversazione. Ma pure in quei giorni esordiva con qualche invettiva marinaresca contro i camerieri, così, per abitudine, e per dare un avvertimento salutare. A uno che gli faceva delle scuse, diceva: — Va via, impostò! — A un tratto minacciava due maschae (due schiaffi). A un terzo: - Mïa, sae, che se començo a giastemmâ! (bada, sai, che se comincio a bestemmiare!) E minacciava schiaffi e pedate particolarmente a Ruy-Blas, il quale rispondeva con un finissimo sorriso, come se dicesse: - Infuria, tiranno! Hai la potenza, ma non l'amore. - Veramente, per una tavola dove c'eran signore, quel linguaggio era un po' troppo... colorito. Ma noi scusavamo, pensando ai molti comandanti d'altre nazioni, che son perfetti gentiluomini a tavola, e beoni furiosi in camerino, e ci pareva che, trattandosi d'affidar la vita a qualcuno, fosse preferibile un rusticone temperante a un gentiluomo briaco.
Quella mattina, come sempre, diede una presa di mascalzone a destra e una presa di porco a sinistra, e poi cominciò a mangiare e a discorrere lentamente. Ricordo quella conversazione, tutta di carattere marino schietto, per la crudele tortura a cui mise il povero avvocato mio vicino. Fu prima la signora grassa, la supposta domatrice di belve, la quale mise il discorso sopra una brutta via, domandando al comandante, con una mancanza d'opportunità che tradiva la Chartreuse mattutina, quale fosse la cagione più frequente dei naufragi.
Il comandante, con la bocca piena di pane, rispose che si contavano cinquanta e più maniere di naufragio: scoppi di caldaia, incendi, vie d'acqua, uragani, cicloni, tifoni, rocce, banchi di fondo, abbordi e via dicendo. Metà dei naufragi, peraltro, si poteva affermare che derivassero da ignoranza professionale, da imprevidenza, da trascuratezza, da difetti di costruzione dei legni; insomma da cause evitabili. Un anno sull'altro, seguivano da sei mila naufragi, tra bastimenti e barche; e, scià notte, non comprendendo nella statistica la China, il Giappone e la Malesia.
L'avvocato, fin dalle prime parole, s'era rannuvolato, e faceva mostra di non ascoltare; ma si vedeva che una curiosità malata lo costringeva a prestar orecchio. E fu peggio quando la signora, con uno di quei salti che fan le donne nella conversazione, uscì a domandare al comandante che cosa credeva che si provasse, che si vedesse, quando s'andava giù, sotto l'acqua.
- Cose se prœuva, - rispose il Comandante, - no savieivo. Cosa si vede... Ecco. Per un certo tratto si vede ancora la luce, una luce velata, livida; poi... si è come in un chiarore crepuscolare, dicono, di un color rosso... sinistro; e poi... buona notte: un'oscurità completa, una grande diminuzione di temperatura, fino a zero gradi. Si gela. Però - soggiunse, rivolgendosi all'avvocato, come se dicesse per consolarlo, - può anch'essere che non ci sia oscurità assoluta, si possono dare degli accidenti di fosforescenza... poco allegri, in ogni caso.
L'avvocato cominciava a dar dei segni d'impazienza, brontolando: - Discorsi da farsi a bordo... vo' via da tavola, io... educazione di villan cornuti...
Allora il vecchio chileno, il genovese monocolo e il comandante cominciarono a citare e a descrivere naufragi celebri, l'uno più orrendo dell'altro, con quell'indifferenza per la morte che suole scender nell'anima per il canale cibario, quando si siede a una buona tavola; e vennero su su dalla zattera famosa della Medusa fino all'Atlas, sparito tra Marsiglia ed Algeri senza che se ne sia mai saputo notizia. Il comandante ricordò i piroscafi inglesi Nautilus, Newton-Colville e un altro, partiti da Danzica per l'Inghilterra nel dicembre del 1866, e svaniti come tre ombre, senza che si sia mai saputo né dove, né quando, né come.
L'avvocato smise di mangiare.
Ma il comandante continuò. Con l'eloquenza che spiegan tutti parlando d'un fatto in cui rischiaron la vita, si mise a descrivere una tempesta spaventevole che l'aveva colto sulle coste d'Inghilterra, quando comandava ancora un bastimento a vela, e arrivato al momento supremo, imitò con una nota di testa, ma con grande verosimiglianza, il grido lungo e disperato che aveva messo il timoniere: - Andemmo a fooooooondo!
A quelle parole l'avvocato s'alzò e, sbattuto il tovagliolo sulla tavola, se n'andò a passi concitati, masticando degli accidenti, che guai se n'arrivava uno al suo indirizzo. Ma siccome gli seguiva spesso d'alzarsi prima degli altri, il comandante non ci badò, per fortuna. Povero avvocato! Non era ancora uscito che si cambiò discorso ex abrupto, come se fino allora non si fosse parlato che per far dispetto a lui. Prese la parola il comandante, e cominciò a dare alla conversazione quel colorito vario e stranissimo e quell'andamento matto, che le può dare solamente il comandante d'uno di quei piroscafi transatlantici, per il quale i luoghi lontanissimi che egli tocca, e in cui vive tutta la sua vita, sono come uniti e confusi in un solo, sempre e tutto presente al suo pensiero. Dall'ultima rappresentazione del Fra Diavolo al Paganini di Genova saltò a una quistione che aveva avuto il mese avanti a San Vincenzo del Capo Verde con la negra dalle mammelle caprine, che fabbricava fiori di penne d'uccello; attaccò non so che avventura domestica del provveditore di carbone di Gibilterra con un pettegolezzo del porto di Rio Janeiro; e da una colazione a cui era stato invitato a Las Palmas, nelle isole Canarie, cascò addosso a un impiegato imbroglione della dogana di Montevideo. A me pareva di sentir parlare un uomo miracoloso che vivesse ad un punto in tre continenti, e per cui lo spazio ed il tempo non esistessero. E notai che le persone con le quali aveva che fare nei porti dei suoi tre mondi, erano le sole che rimanessero fisse e distinte nel suo pensiero; che quell'altre innumerevoli che egli imbarcava e sbarcava di continuo, passavan per la sua mente come per il suo piroscafo, senza lasciarvi altra traccia che una reminiscenza sbiadita, E poi, una conoscenza sui generis dei vari paesi, come si può acquistare a guardarli di sull'uscio: aveva sulla punta delle dita, per esempio, i prezzi del mercato dei legumi, e quasi nessuna idea della storia e della forma di governo. E così delle varie lingue, non possedeva che i sostantivi e i verbi d'una certa categoria, le monete di rame, per dir così, della conversazione, e una grammatica sola per tutte. E nel giudicare le cose del mondo, una certa ingenuità di collegiale adulto, che va in società una volta al mese; cognizioni e opinioni fuor dell'uso, poste a una gran distanza le une dalle altre, e d'una faccia sola, appunto come le città a cui egli approdava, di cui non vedeva che il panorama marino. L'ultimo suo aneddoto fu una lite attaccata nel 1868 con un sensale di grano di Odessa, e risolta, secondo il solito, con una generosa elargizione di briscole, - delle sue. - E ghe n'ho dœte! E glie n'ho date! disse. Poi finì, parlando soltanto ai suoi vicini, con un elogio serio e ragionato di sua moglie, una donna economica, casalinga, piena di buon senso, che egli avrebbe voluto aver incontrata e sposata dieci anni prima. Alzatosi da tavola, si fermò all'uscita del salone, come soleva fare quand'era contento di sé, per veder sfilare i passeggieri, a cui faceva un leggiero cenno di saluto, con un aspetto di gravita benigna. Stando vicino a lui, colsi a volo uno sguardo severo che lanciò alla signora bionda, il cui contegno pareva che cominciasse a urtare i suoi principii rigorosi di moralità marittima, e forse più in quel momento ch'era ancora caldo dell'apologia di sua moglie. Ma la signora passò ridendo, senz'avvedersene. Quasi nello stesso tempo rimasi stupito di vedergli alzare il berretto e fare un mezzo inchino, in aria di grande rispetto, alla signorina di Mestre, che passava a braccetto con la zia. Quando fu passata, egli si voltò a' vicini, e disse gravemente: - Quella figgia lì... a l'è un angeo.
Il caldo essendo forte a quell'ora, quasi tutti rimasero lungo tempo sul cassero, all'ombra della tenda: e io ebbi modo d'osservare meglio che la sera innanzi i cambiamenti che s'erano fatti in quegli ultimi giorni nelle rela...
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