[Pagina precedente]...ito Elena se avesse altri parenti. Ella disse di no e negò anche che in città vi potesse essere un'altra famiglia di quel nome. Lo negò tanto risolutamente, ch'egli dovette crederle.
Perciò anche durante quella notte il suo pensiero fu attratto da Angiolina. Come nell'epoca che gli pareva tanto lontana in cui Amalia sana non era per lui altro che una persona inquietante, di cui si doveva evitare la vicinanza, egli fu invaso da un desiderio cocente di correre da Angiolina per rimproverarla di tanto tradimento, il maggiore ch'ella avesse ordito. Quei Deluigi erano saltati fuori al principio della loro relazione ed erano stati creati i singoli membri della famiglia a seconda del bisogno. Prima era stata la vecchia signora Deluigi, che amava Angiolina come una madre, poi la figlia che la teneva per amica, e infine il vecchio che aveva tentato d'ubbriacarla. Una menzogna ch'era stata ripetuta ad ogni loro colloquio, e per essa scompariva ogni dolcezza dal ricordo di Angiolina. Anche quei rari tratti d'amore ch'ella aveva saputo simulare si rivelavano con limpida evidenza per quello che erano, delle menzogne. Eppure anche quel nuovo tradimento egli lo sentì ben presto quale un nuovo legame. Amalia si moveva invano, affannosamente, nel suo letto di dolore; per lungo tempo egli non la vide. Quando riconquistò un po' di calma, ebbe il dolore di dover riconoscere che quando fosse scomparsa la malattia di Amalia o Amalia stessa, egli sarebbe corso di nuovo da Angiolina. Lungamente, per esercitare su se stesso una pressione si irrigidì al suo posto e giurò di non ricadere mai più in quei lacci: - Mai più, mai più
Anche quell'interminabile notte, la più penosa che egli mai avesse vegliata e che pure poteva divenire oggetto di rimpianto, fuggiva. Un orologio batté le due.
La signora Elena pregò Emilio di procurarle una pezzuola per asciugare la faccia di Amalia. Per non dover lasciare quella stanza, egli - trovate le chiavi - aperse l'armadio della sorella. Fu subito colpito da uno strano odore di medicinali profumati. La poca biancheria era distribuita nei grandi cassetti ch'erano poi riempiti di boccette di varia grandezza. Egli non comprese subito e per vedere meglio prese la candela. Qualche cassetto era pieno fino all'orlo di boccette brillanti lietamente con dei bagliori gialli misteriosi di tesoro rinchiuso; in altri cassetti c'era ancora posto, e la distribuzione era fatta in modo che s'indovinava i proposito di completare ordinatamente la strana collezione. Una sola boccetta era fuori di posto, e in quella c'era ancora un resto di liquido trasparente. L'odore del liquido non lascio luogo a dubbi; doveva essere dell'etere profumato. Il dottor Carini aveva avuto ragione: Amalia aveva cercato l'oblio nell'ebrietà . Non ebbe del rancore verso la sorella neppure per un attimo perché la conclusione a cui corse subito la sua mente fu una sola: Amalia era perduta. Quella scoperta valse perciò a ricondurlo finalmente a lei.
Richiuse accuratamente l'armadio. Non aveva saputo tutelare la vita della sorella; avrebbe ora tentato di conservarne intatta la riputazione.
L'aurora s'avanzava fosca, esitante, triste. Sbiancava la finestra ma lasciava intatta la notte nell'interno della stanza. Parve che un raggio solo vi penetrasse, perché sui cristalli sul tavolo, la luce del giorno si franse colorandovisi, azzurrina e verde, fine e mite. Sulla via soffiava ancora il vento, cogli stessi suoni regolari, trionfali, che aveva avuti quando Emilio aveva abbandonato Angiolina.
Nella stanza invece v'era una grande quiete. Da parecchie ore il delirio di Amalia non si traduceva che in parole mozze. S'era quietata sul fianco destro, la faccia vicinissima alla parete, gli occhi sempre aperti.
Il Balli andò a riposare nella stanza di Emilio. Aveva pregato di non lasciarlo dormire più di un'ora.
Emilio s'assise di nuovo al tavolo. Si scosse terrorizzato: Amalia non respirava più. Anche la signora Elena se n'era accorta e si era rizzata. L'ammalata guardava sempre con gli occhi spalancati la parete, e qualche istante appresso riprese a respirare. I primi quattro o cinque respiri parvero di persona sana, e Emilio ed Elena si guardarono sorridendo e pieni di speranza. Ma ben presto quel sorriso morì sulle labbra, perché il respiro di Amalia andò accelerandosi, per appesantirsi poi e quindi cessare di nuovo. La sosta questa volta durò tanto ch'Emilio dallo spavento gridò. Il respiro riprese come prima, calmo per breve tempo, e poi subito affannoso vertiginosamente. Fu uno stadio dolorosissimo per Emilio. Per quanto, dopo un'ora d'intensa attenzione, egli si fosse potuto accertare che quella momentanea cessazione di respiro non era la morte e che la respirazione regolare che seguiva non preludiava alla salute, egli, dall'ansia, tratteneva anche lui il respiro quando cessava quello di Amalia, si abbandonava a sperare pazzamente quando sentiva riprendere quel respiro calmo e ritmico, e soffriva fino alle lagrime al disinganno di vederla ritornare all'affanno.
L'alba illuminava oramai anche il letto. La nuca grigia della signora Elena che, accontentandosi di un riposo superficiale da buona infermiera, teneva reclinata la testa sul petto, appariva tutta d'argento. Per Amalia la notte non sarebbe cessata più. La testa spiccava ora coi contorni precisi sul guanciale. I capelli neri non avevano mai avuta tanta importanza su quella testa come durante la malattia. Pareva un profilo di persona energica, con gli zigomi sporgenti e il mento aguzzo.
Emilio puntellò le braccia sul tavolo e poggiò la fronte sulle mani. L'ora in cui egli aveva maltrattata Angiolina gli pareva lontana lontana, perché di nuovo egli non si riteneva capace di un'azione simile; non trovava in sé l'energia né la brutalità che c'erano volute a compierla. Chiuse gli occhi e s'addormentò. Gli parve poi d'aver sempre percepito anche nel sonno il respiro di Amalia e di aver continuato a risentirne come prima spavento, speranza e disinganno.
Quando si destò era giorno fatto. Amalia con gli occhi spalancati guardava la finestra. Egli s'alzò e, sentendolo muoversi, ella lo guardò. Quale sguardo! Non più di febbre, ma di persona stanca a morte, che dell'occhio proprio non interamente disponga e le occorra sforzo e ricerca per guidarlo. - Ma che cosa ho, Emilio? Io muoio!
L'intelligenza era ritornata ed egli, dimenticata l'osservazione fatta su quell'occhio, riebbe intera la speranza. Le disse ch'ella era stata molto male, ma che adesso - si capiva - risanava. L'affetto che si sentiva in cuore traboccò e si mise a piangere dalla consolazione. Baciandola gridò che da allora sarebbero vissuti insieme uniti, uno per l'altro. Gli pareva che tutta quella notte tormentosa non ci fosse stata che per prepararlo a tale inaspettata felice soluzione. Poi ricordò tale scena con vergogna. Pareva a lui stesso di aver voluto approfittare di quel solo lampo di intelligenza in Amalia per quetare la propria coscienza.
La signora Elena accorse per calmarlo e ammonirlo di non agitare l'ammalata. Disgraziatamente Amalia non capiva. Pareva tanto fissa in un'idea unica da averne occupati tutti i sensi: - Dimmi - pregò - che cosa è accaduto? Ho tanta paura! Ho visto te e Vittoria e... - Il sogno s'era mescolato alla realtà ; e la sua povera mente fiaccata non sapeva sciogliere la complicata matassa.
- Cerca di capire! - pregò Emilio con calore. - Hai sognato ininterrottamente da ieri. Riposa adesso, e poi penserai. - L'ultima frase era stata detta in seguito a un nuovo gesto della signora Elena la quale perciò attirò a sé l'attenzione di Amalia - Non è Vittoria - disse la poverina evidentemente tranquillata. Oh, quella non era l'intelligenza che poteva essere considerata quale il nunzio della salute; si manifestava con soli lampi che minacciavano d'illuminare e rendere sensibile il dolore. Emilio ne ebbe altrettanta paura come prima del delirio.
Entrò il Balli. Aveva udita la voce d'Amalia e veniva anche lui, sorpreso dell'insperato miglioramento. - Come sta, Amalia? - le domandò affettuosamente.
Ella lo guardò con un'espressione di sorpresa incredula: - Ma dunque non era un sogno? - Considerò lungamente Stefano; guardò poi il fratello e di nuovo il Balli come se avesse voluto confrontare i due corpi e cercare se a uno dei due fosse mancato l'aspetto della realtà . - Ma Emilio - esclamò, - io non capisco!
- Sapendoti ammalata - spiegò Emilio - ha voluto farmi compagnia questa notte. E sempre il vecchio amico di casa nostra.
Ella non udiva bene: - E Vittoria? - domandò.
- Non è mai stata qui questa donna - disse Emilio.
- Egli ha diritto di far così. E tu resta pure con loro - borbottò ella ed ebbe negli occhi un lampo di rancore. Poi dimenticò tutto e tutti guardando la luce alla finestra.
Stefano le disse: - Mi ascolti, Amalia! Io non ho mai conosciuta quella Vittoria di cui ella parla. Sono il suo devoto amico e sono rimasto qui per assisterla.
Ella non ascoltava. Guardava la luce alla finestra con un evidente sforzo per acuire l'occhio semispento. Guardava estatica, ammirando. Ebbe una brutta smorfia che pure rassomigliò a un sorriso.
- Oh - disse - quanti bei fanciulli. - Ammirò lungamente. Il delirio era ritornato. Ci fu però una sosta fra i sogni della notte e le immagini luminose ch'erano vestite del colore dell'aurora. Vedeva bimbi rosei ballare al sole. Un delirio di poche parole. Designava l'oggetto che vedeva e null'altro. La propria vita era dimenticata. Non nominò il Balli, né Vittoria, né Emilio. - Quanta luce - disse affascinata. Anch'ella s'illuminò. Sotto alla pelle diafana si vide salire il sangue rosso e colorarle le gote e la fronte. Ella mutava ma non sentiva se stessa. Guardava le cose che sempre più s'allontanavano da lei.
Il Balli propose di chiamare il medico. - E' inutile - disse la signora Elena che da quel rossore aveva capito a qual punto si fosse.
- Inutile? - domandò Emilio spaventato di sentir ripetuto da altri il proprio pensiero.
Infatti, poco dopo, la bocca d'Amalia si contrasse in quello strano sforzo in cui pare che da ultimo anche i muscoli, inetti a ciò, vengano costretti a lavorare per la respirazione. L'occhio guardava ancora. Ella non disse più alcuna parola. Ben presto al respiro s'unì il rantolo, un suono che pareva un lamento, proprio il lamento di quella persona dolce che moriva. Pareva risultato da una desolazione mite; pareva voluto, un'umile protesta. Era infatti il lamento della materia che, già abbandonata disorganizzandosi, emette i suoni appresi nel lungo dolore cosciente.
XIV
L'immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un intelletto. Gli sforzi per trattenerla o per respingerla sono titanici, perché ogni nostra fibra terrorizzata la ricorda dopo averla sentita vicina, ogni nostra molecola la respinge nell'atto stesso di conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità , una malattia dell'organismo. La volontà non lo chiama né lo respinge.
Di questo pensiero Emilio lungamente visse. La primavera era passata, ed egli non se n'era accorto che per averla vista fiorire sulla tomba della sorella. Era un pensiero cui non andava congiunto alcun rimorso. La morte era la morte; non più terribile per le circostanze che l'avevano accompagnata. Era passata la morte, il grande misfatto, ed egli sentiva che i propri errori e misfatti erano stati del tutto dimenticati.
In quel periodo, per quanto poté, visse solitario. Evitò anche il Balli, il quale dopo di essersi contenuto tanto bene al letto di Amalia, aveva già perfettamente dimenticato il breve entusiasmo ch'ella aveva saputo inspirargli. Emilio non gli sapeva perdonare di non essergli più simile in questo. Era oramai la sola cosa che gli rimproverasse.
Quando la sua commozione s'affievolì, gli sembrò di perdere equilibrio. Corse al cimitero. La strada polverosa lo fece soffrire, e indicibilmente, il caldo. Sulla tomba prese la posa del contemplatore, ma non seppe contemplare. La sua sensazione più forte era il bruciore della cute irritata dal sole, dalla polve...
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