[Pagina precedente]...to con chi abbia avuto da fare Quando ti trovavo vestita da serva, sulle scale di casa tua rammentò quella sera in tutti i particolari - con quello scialle grezzamente colorito sulla testa, le braccia calde di alcova, pensai subito la parola che ora t'ho detta. Non volli dirtela e giuocherellai con te come facevano tutti gli altri, Leardi, Giustini, Sorniani e... e... il Balli.
- Il Balli! - rise ella urlando per farsi udire attraverso al rumore del vento e della voce d'Emilio. - Il Balli si vanta; non è vero niente.
- Perché lui non volle, quello sciocco, per riguardo a me come se a me potesse importare che t'abbia posseduta un uomo di meno, te... - e per la terza volta le disse quella parola Ella raddoppiò gli sforzi per svincolarsi, ma lo sforzo di trattenerla era ora per Emilio lo sfogo migliore; le cacciava con voluttà le dita nelle braccia morbide.
Egli sapeva che il momento in cui l'avrebbe lasciata libera, ella se ne sarebbe andata e tutto sarebbe stato finito, tutto e in modo tanto differente da quello ch'egli aveva sognato. - Ed io ti ho voluto bene - disse, forse tentando di mitigarsi, ma aggiunse subito: - Sempre però sapevo quello che tu sei. Sai quello che sei? - Oh, aveva trovata infine una soddisfazione bisognava obbligarla a confessare quello ch'ella era: - Di' su. Che cosa sei?
Ella ora, apparentemente estenuata, aveva paura; la faccia sbiancata, lo fissava con uno sguardo che chiedeva compassione. Si lasciava scuotere senza resistenza e a lui parve ch'ella stesse per cadere. Allentò la stretta e la sostenne. Tutt'ad un tratto ella si svincolò e si mise a correre disperatamente. Ella dunque aveva mentito ancora! Egli non avrebbe saputo raggiungerla; si chino, cercò un sasso, e non trovandone raccolse delle pietruzze che le scagliò dietro. Il vento le portò e qualcuna dovette colpirla perché ella gettò un grido di spavento; altre furono arrestate dai rami secchi degli alberi e produssero un rumore sproporzionatissimo all'ira che le aveva lanciate.
Che fare ora? L'ultima soddisfazione cui aveva anelato, gli era stata negata. Ad onta di tanta sua rassegnazione tutto intorno a lui rimaneva rude, senza dolcezza; egli stesso era brutale! Le arterie gli battevano dalla sovraeccitazione; in quel freddo egli ardeva d'ira, di febbre, immobile sulle gambe paralitiche e già era rinato in lui l'osservatore calmo che lo rimproverava.
- Non la rivedrò mai più - disse come per rispondere ad un rimprovero. - Mai! Mai! - E quando poté camminare, questa parola gli risuonò nel rumore dei propri passi e nel sibilo del vento sul paesaggio sconsolato. Sorrise da solo ripassando per i luoghi per cui era venuto e ricordando le idee che lo avevano accompagnato a quell'appuntamento. Come rimaneva sorprendente la realtà !
Non andò subito a casa. Gli sarebbe stato impossibile d'atteggiarsi ad infermiere in quello stato d'animo. Il sogno lo possedeva intero, tanto che non avrebbe saputo dire per quali vie fosse poi rincasato. Oh! Se l'abboccamento con Angiolina fosse stato quale egli l'aveva voluto, avrebbe potuto andare diritto al letto d'Amalia senz'alterare neppure l'espressione della propria faccia.
Scoperse una nuova analogia fra la sua relazione con Angiolina e quella con Amalia. Da entrambe egli si distaccava senza poter dire l'ultima parola che avrebbe addolcito almeno il ricordo delle due donne. Amalia non poteva udirla; ad Angiolina egli non aveva saputo dirla.
XIII
Egli passò quella notte intera al letto di Amalia in un sogno ininterrotto. Non che avesse pensato continuamente ad Angiolina, ma fra lui e il suo contorno v'era un velo che gli toglieva di veder chiaro. Una grande stanchezza gl'impediva tanto le speranze ardite, che di tratto in tratto aveva pur avute durante il pomeriggio, quanto le disperazioni violente che gli avevano dato il sollievo del pianto.
A casa gli era parso di trovare tutto nello stato di prima. Soltanto il Balli aveva abbandonato il suo cantuccio ed era andato a sedere ai piedi del letto, accanto alla signora Elena. Guardò a lungo Amalia sperando di poter nuovamente piangere. L'analizzò, la scrutò, per sentire tutto il suo male e soffrire con lei. Poi guardo altrove vergognandosi; s'era accorto che nella ricerca di commozione era andato alla ricerca di immagini e di traslati. Gli capitò di nuovo il desiderio di fare qualche cosa e disse al Balli che lo lasciava libero, ringraziandolo per l'assistenza che gli aveva prestata.
Ma il Balli, che non s'era neppure pensato di chiedergli come fosse andato il congedo da Angiolina, lo trasse in disparte per dirgli ch'egli non voleva andarsene. Pareva imbarazzato e triste. Aveva da dire ancora qualche cosa, e gli pareva tanto delicata che non osò senza un esordio di preparazione. Essi erano amici da molti anni e tutto il male che poteva toccare ad Emilio, egli lo sentiva come proprio. Poi, deciso, disse: - Quella poveretta mi nomina molto spesso; io resto. - Emilio gli strinse la mano senza provare una grande riconoscenza; già ora - egli ne era tanto certo da attingervi una grande tranquillità - per Amalia non v'era più alcun rimedio.
Gli raccontarono che da qualche minuto Amalia parlava continuamente della sua malattia. Non poteva questo essere un indizio che la febbre fosse diminuita? Egli stette a udire, ben convinto che s'ingannavano. Infatti ella delirò: - Mia colpa se sto male? Torni domani, dottore, e starò bene. - Non sembrava ch'ella soffrisse; aveva la faccia piccola, misera, oramai proprio la faccia appropriata a quel corpo. Sempre guardandola egli pensò: - Ella morrà ! - Se la figurò morta, quietata, priva d'affanno e di delirio. Ebbe dolore di aver avuta quell'idea poco affettuosa. S'allontanò un poco dal letto e s'assise al tavolo, ove s'era posto anche il Balli.
Elena rimase al letto. Alla scarsa luce della candela Emilio s'avvide ch'ella piangeva. - Mi pare di essere al letto di mio figlio - disse ella accorgendosi che le sue lagrime erano state viste.
Amalia improvvisamente disse di sentirsi molto ma molto bene e domandò di mangiare. Il tempo non correva normalmente a quel letto per chi seguiva, viveva quel delirio. Ella accusava ad ogni istante un altro stato d'animo, o nuove avventure, e faceva passare con lei i suoi infermieri per delle fasi di cui lo svolgimento nella vita solita dura giorni e mesi.
La signora Elena - ricordando una prescrizione del medico - le preparò e offerse del caffè, che fu preso con voluttà . Subito il delirio la ricondusse al Balli. Soltanto per un osservatore superficiale quel delirio mancava di nesso. Le idee si mescolavano, una si sommergeva nell'altra, ma quando riappariva risultava esser proprio quella ch'era stata abbandonata. Ella aveva inventata quella sua rivale, Vittoria; l'aveva accolta con parole dolci, poi - come il Balli raccontò - fra le due donne s'era svolto un battibecco che al Balli aveva rivelato essere lui il pensiero dominante dell'ammalata. Ora Vittoria ritornava, Amalia la vedeva avvicinarsi e ne aveva orrore. - Io non le dirò nulla! Starò qui zitta, come se ella non ci fosse. Io non voglio niente, dunque mi lasci in pace. - Poi chiamò Emilio ad alta voce. - Tu che sei suo amico, digli tu ch'essa inventa tutto. Io non le feci nulla.
Il Balli credette di poterla calmare: - Senta, Amalia! Io sono qui e non crederei niente se mi fosse detto del male sul conto suo.
Ella lo udì e lo considerò lungamente: -
Tu Stefano? - Non lo riconobbe: - Glielo dica allora! - Spossata lasciò ricadere la testa sul guanciale e, per l'esperienza fattane, tutti sapevano che, per allora, l'episodio era chiuso.
La signora Elena, durante quella sosta, spinse la propria sedia verso il tavolo al quale sedevano i due uomini e pregò Emilio, ch'ella vedeva affranto, di andare a coricarsi. Egli rifiutò, ma queste parole avviarono fra i tre infermieri una conversazione che riuscì, per qualche istante, a distrarli.
La signora Chierici, cui il Balli con la sua indiscreta curiosità aveva fatte delle domande, raccontò che quando Emilio s'era imbattuto in lei, ella stava andando a messa. Ora - disse - le pareva d'essere in chiesa dalla mattina e provava il medesimo alleggerimento di coscienza di chi ha pregato con fervore. Lo disse senz'esitazione col tono del credente che non teme i dubbi altrui.
Poi raccontò una storia strana, la propria: fino all'età di quarant'anni ella era vissuta senz'affetti avendo perduti, giovanissima, i genitori; senza affetti le erano trascorsi i giorni solitari e sereni. A quell'età s'era imbattuta in un vedovo, che la sposò per dare una madre al figlio e alla figlia che aveva di primo letto. Da bel principio i due fanciulli le fecero cipiglio ma ella nondimeno sentiva di voler loro tanto bene ch'era sicura di finire col farsene amare. Si ingannò. Essi la considerarono e l'odiarono sempre quale madrigna. V'erano i parenti della prima moglie che si frammettevano fra i fanciulli e la loro nuova madre e la facevano odiare loro con menzogne, e facendo loro credere che l'ombra della prima madre si sarebbe ingelosita del nuovo affetto. - Io invece m'affezionavo sempre più, tanto da amare la rivale che me li aveva dati. Forse - aggiunse con un'osservazione d'analista oggettiva - il disdegno che vestiva tanto bene i loro bei visini rosei me ne faceva innamorare maggiormente. - La fanciulla le fu tolta, poco dopo la morte del padre, da un parente che si ostinava a crederla maltrattata.
Il fanciullo restò tutto per lei, ma anche quando i parenti non ci furono più per suggerirgli l'odio, egli, con un'ostinazione sorprendente nella mente giovanile, continuò a conservare per lei la stessa sdegnosa malevolenza che si palesava in dispetti e sgarbatezze. Ammalò di scarlattina maligna, ma anche nella febbre le resistette finché, estenuato, poche ore prima di morire, le gettò le braccia al collo, chiamandola mamma e pregandola di salvarlo. Poi la signora Elena si compiacque a lungo a descrivere quel fanciullo che l'aveva fatta soffrir tanto. Ardito, vivace, intelligente; tutto comprendeva, meno l'affetto che gli era offerto. Adesso la vita della signora Elena si compendiava fra la sua casa vuota, la chiesa ove ella pregava per chi le aveva voluto bene un solo istante, e quella tomba ove c'era sempre molto da fare. Sì! L'indomani, senza fallo, ella doveva recarvisi per vedere come fosse riuscito il tentativo fatto di puntellare un alberello che non voleva crescere diritto.
- Allora vado io via, se c'è Vittoria - gridò Amalia e si rizzò a sedere. Emilio, spaventato, alzò la candela per veder meglio. Amalia era livida; la sua faccia aveva il colore del guanciale su cui si proiettava. Il Balli la guardò con evidente ammirazione. La luce gialla della candela si rifletteva luminosissima sulla faccia umida d'Amalia, tanto che pareva luminosità sua; il nudo così brillante e sofferente gridava. Pareva la rappresentazione plastica di un grido violento di dolore. La faccina, su cui per un istante s'era stampata una risoluzione ferma, minacciava imperiosamente. Fu un lampo: ella ricadde subito, quetata da parole che non comprese. Riprese poi a borbottare mitemente da sola, accompagnando con qualche parola la corsa vertiginosa dei suoi sogni.
Il Balli disse: - Pareva una buona dolce furia. Non ho mai visto qualche cosa di simile. - S'era seduto e guardava in aria con quell'occhio da sognatore con cui cercava le idee. Era evidente, ed Emilio ne provò soddisfazione: Amalia moriva amata dell'amore più nobile che il Balli potesse offrire.
La signora Elena riprese la conversazione al punto ove l'aveva lasciata. Forse quetando Amalia ella non s'era staccata neppure per un istante dal pensiero suo più caro. Anche il rancore verso i parenti del marito era un elemento della sua vita. Raccontò che essi l'avevano disprezzata, perché era figlia di un commerciante di ferrareccia. - Ad ogni modo - aggiunse - il nome dei Deluigi è un nome onorato.
Emilio si meravigliò della sorte che faceva capitare in casa un membro di quella famiglia nominata tanto spesso da Angiolina. Interrogò sub...
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