[Pagina precedente]... Con semplicità ella rispose: - Non ho nessuno in casa che possa essere sorpreso della mia assenza. Si figuri che la fantesca è entrata in servizio in casa mia quest'oggi.
Poco dopo Amalia portò la testa sul guanciale e il braccio della signora fu libero. Allora finalmente poté levarsi il cappellino di lutto e, riponendolo, Emilio ringraziò di nuovo, perché gli sembrava che quell'atto confermasse la determinazione da lei presa di rimanere accanto a quel letto. Ella lo guardò sorpresa senza comprenderlo. Non si sarebbe potuta comportare più semplicemente di così.
Amalia riprese a parlare, senza scuotersi, senza chiamare, come se avesse creduto di aver sempre detto ad alta voce tutto il suo sogno. Di certe frasi diceva il principio, di altre la fine; borbottava delle parole incomprensibili, altre le sillabava chiare. Esclamava e domandava. Domandava con ansietà , mai soddisfatta della risposta, che forse non intendeva a pieno. Alla signora Elena, che s'era piegata su lei, per indovinare meglio un desiderio che pareva volesse manifestare: - Ma tu non sei Vittoria? - chiese. - Io, no - disse la signora sorpresa. Questa risposta fu compresa e bastò per qualche tempo a quietare l'ammalata.
Poco dopo tossì. Lottò per non tossire più e la sua faccia prese un aspetto di desolazione puerile; doveva aver sentito un forte dolore. La signora Elena fece osservare ad Emilio quell'espressione che durante la sua assenza s'era già prodotta. - Bisognerà parlarne al dottore; si capisce da quella tosse che la signorina deve essere ammalata di petto. - Amalia ebbe più scoppi di tosse fievole, soffocata. - Non ne posso più - gemette e pianse.
Ma il pianto le bagnava ancora le guance ed ella aveva già dimenticato il dolore. Affannosamente riparlò della sua casa. C'era un nuovo ritrovato per fare a buon prezzo il caffè. - Fanno di tutto oramai. Presto si potrà vivere senza denaro. Mi dia un po' di quel caffè, per provare. Io glielo restituirò. A me piace la giustizia. L'ho detto anche ad Emilio...
- Sì, me ne rammento - disse Emilio per darle riposo. - Tu hai amata sempre la giustizia. - Si chinò su di lei per baciarla in fronte.
Un istante di quel delirio non fu più dimenticato da Emilio. - Sì, noi due - fece ella, guardandolo con quel tono dei deliranti, che non si sa se esclami o domandi. - Noi due, qui, tranquilli, uniti, noi due soli. - La serietà ansiosa della faccia accompagnava la serietà della parola e l'affanno pareva l'espressione di un dolore cocente. Poco dopo però, ella parlava di loro due soli nella casa a buon mercato.
Suonò. Erano il Balli e il dottor Carini. Emilio conosceva già quest'ultimo, un uomo sulla quarantina, bruno, alto, magro. Si diceva che i suoi anni d'università fossero stati più ricchi di divertimenti che non di studi, mentre ora, essendo benestante, non cercava clienti e s'accontentava di una posizione subalterna all'ospedale per potervi continuare gli studi non fatti prima. Amava la medicina col fervore del dilettante; ma ne alternava lo studio con passatempi d'ogni natura, tant'è vero che contava maggior numero d'amici fra gli artisti che non fra i medici.
Si fermò nella stanza da pranzo e, osservato che sulla malattia d'Amalia il Balli non gli aveva saputo dire altro se non che doveva trattarsi di un forte accesso di febbre, pregò Emilio di dirgliene lui qualche cosa di più.
Emilio prese a raccontare dello stato in cui aveva trovata la sorella un paio d'ore prima, nella casa solitaria, ove ella doveva aver commesse delle stranezze già dalla mattina. Descrisse con esattezza di particolari il delirio, manifestatosi prima in quell'inquietudine che la spingeva a cercare degli insetti sulle gambe, poi in quel chiacchierio incessante. Commosso nel ricordare e analizzare tutta l'angoscia di quella giornata, parlò, piangendo, dell'affanno, poi della tosse, quel suono esile e falso che pareva prodotto da un vaso fesso, e del dolore intenso che ogni colpo di tosse produceva all'ammalata.
Il dottore cercò d'incorarlo con qualche parola amichevole, ma poi, ritornando all'argomento, fece una domanda che cagionò ad Emilio non poca angoscia: - E prima di questa mattina?
- Mia sorella è stata sempre debole, ma sempre sana. - S'era compromesso con questa frase e soltanto dopo averla detta fu colto da dubbi. Non erano stati certo degl'indizi di salute quei sogni ad alta voce ch'egli aveva sorpresi. Non avrebbe dovuto parlarne? Ma come farlo dinanzi al Balli?
- Prima d'oggi la signorina si sentiva sempre bene? - chiese il Carini con aria incredula. - Anche ieri stesso?
Emilio si confuse e non seppe rispondere. Egli non ricordava neppur d'aver vista la sorella nei giorni precedenti. Veramente quando l'aveva vista l'ultima volta? Forse mesi prima, quel giorno in cui l'aveva scorta sulla via vestita in modo tanto strano. - Io non credo ch'ella sia stata ammalata prima. Me lo avrebbe detto.
Il dottore ed Emilio entrarono nella stanza dell'ammalata, mentre il Balli, dopo una breve esitazione, si fermò nel tinello.
La signora Chierici, ch'era seduta al capezzale, si levò e andò ai piedi del letto. L'ammalata pareva assopita ma, come al solito, parlò quasi fosse sempre in una conversazione e avesse avuto da rispondere a domande o da aggiungere delle parole ad osservazioni fatte prima: - Di qui a mezz'ora. Sì, ma non prima. - Spalancò gli occhi e riconobbe il Carini; disse qualche cosa che doveva essere un saluto.
- Buon giorno, signorina - rispose il dottore ad alta voce con l'evidente intenzione d'adattarsi al suo delirio. - Volevo venire a trovarla prima, ma m'è stato impossibile. - Il Carini era stato in casa una sola volta ed Emilio fu lieto ch'ella l'avesse riconosciuto. Ella doveva esser migliorata di molto in quelle brevi ore, perché a mezzodì ella non aveva ravvisato neppure lui. Comunicò tale osservazione a bassa voce al dottore.
Questi era tutto intento a studiare il polso dell'ammalata. Poi ne denudò il petto e vi appoggiò l'orecchio in diversi punti. Amalia taceva con gli occhi rivolti al soffitto. Poi il dottore si fece aiutare dalla signora Elena per rizzare l'ammalata e sottoporre alla medesima disamina anche la schiena. Amalia oppose resistenza per un istante ma quando capì che cosa si volesse da lei cercò anche di sostenersi da sola.
Ella guardava ora la finestra, che s'era rapidamente oscurata. La porta era aperta e il Balli, che s'era soffermato sulla soglia, fu visto dall'ammalata. - Il signor Stefano - disse ella senz'alcuna sorpresa e senza muoversi perché aveva capito che si voleva ch'ella stesse ferma. Emilio che aveva temuta una scena, fece al Balli un cenno imperioso di ritirarsi, e soltanto il suo gesto sottolineò l'importante incontro.
Il Balli però non poteva più ritirarsi e si avanzò, mentre ella con cenni ripetuti del capo lo incoraggiava e chiamava. - Tanto tempo - borbottò, certo volendo significare ch'era molto tempo che non si vedevano.
Quando le permisero di riadagiarsi, ella continuò a guardare il Balli ch'ella, anche nel delirio, continuava a considerare quale la persona più importante per lei in quella stanza. L'affanno era aumentato per la fatica che le avevano data costringendola a muoversi, un lieve assalto di tosse le fece contrarre la faccia dal dolore, ma ella continuò a guardare il Balli. Anche bevendo con voluttà l'acqua che le era stata offerta dal dottore, ella tenne gli occhi fissi sul Balli. Chiuse gli occhi e parve volesse dormire. - Così tutto è bene - disse ad alta voce e per qualche istante si quietò.
I tre uomini uscirono dalla stanza di Amalia e si fermarono nella vicina. Emilio impaziente domandò: - Ebbene, dottore?
Il Carini, che aveva poca pratica di trattare con clienti, espresse con semplicità la sua opinione: una polmonite. Trovava lo stato dell'ammalata gravissimo.
- Senza speranza? - domandò Emilio, e attese con ansietà la risposta.
Il Carini gli lanciò un'occhiata di compassione. Disse che c'era sempre speranza e ch'egli aveva già visti dei casi simili risolversi improvvisamente addirittura nella piena salute: un fenomeno che sorprendeva anche il medico più provetto.
Allora Emilio si commosse. Oh, perché non si sarebbe avverato anche in questo caso quel fenomeno sorprendente? Sarebbe bastato a dargli il sentimento della felicità per tutta la vita. Non era la gioia inaspettata, il dono generoso della provvidenza quale egli s'era augurato? La speranza per un istante fu piena; se avesse visto Amalia camminare, se l'avesse udita parlare assennatamente, non ne avrebbe potuto provare una maggiore.
Ma il Carini non aveva detto tutto. Egli non ammetteva che la malattia fosse scoppiata quel giorno. Già violenta doveva essersi manifestata uno o forse anche due giorni prima.
Di nuovo Emilio doveva scolparsi di quel passato che giaceva tanto lontano da lui. - Potrebbe essere - ammise - ma mi pare difficile. Se è scoppiata ieri, deve essere stato in modo sì lieve ch'io non me ne sia potuto accorgere. - Poi, offeso da una occhiata di rimprovero del Balli, aggiunse: - Non mi pare possibile.
Ruvidamente, col tono che tutti da lui tolleravano, il Balli disse al dottore: - Sai, noi di medicina non ne sappiamo niente. Questa febbre durerà sempre, finché non cessi la malattia? Non vi saranno delle soste?
Il Carini rispose che sul decorso della malattia egli non poteva dir nulla. - Mi trovo dinanzi ad un'incognita, a una malattia di cui non conosco che il momento presente. Ci sarà crisi? E quando? Domani, questa sera, di qui a tre o quattro giorni, che ne so io?
Emilio pensò che tutto ciò autorizzava le più ardite speranze e lasciò il Balli a continuare l'interrogatorio del medico. Egli si vedeva accanto Amalia guarita, assennata, ridivenuta capace di sentire il suo affetto.
Il peggior sintomo che il Carini osservasse in Amalia, non era la febbre né la tosse; era la forma del delirio, quel chiacchierio agitato e continuo. Aggiunse a bassa voce: - Non sembra un organismo adatto a sopportare delle temperature elevate.
Si fece dare l'occorrente per scrivere, ma, prima di fare la ricetta, disse: - Per combattere la sete le darei del vino con dell'acqua di selz. Ogni due o tre ore le permetterei di prendere un bicchiere di vino generoso. Già - fece esitante - la signorina dev'essere abituata al vino. - Con due tratti risoluti di penna scrisse la ricetta.
- Amalia non è abituata al vino - protestò Emilio. - Anzi non lo può soffrire; non sono stato mai capace d'indurla ad abituarvisi.
Il dottore fece un gesto di sorpresa e guardò Emilio come se non avesse potuto credere che gli fosse detta la verità . Anche il Balli guardò Emilio con occhio scrutatore. Egli aveva già capito che il dottore aveva concluso dai sintomi presentati dalla malattia di Amalia di aver a fare con un'alcoolizzata, e ricordava d'aver osservato ch'Emilio era capace dei pudori più falsi. Voleva indurlo a dire la verità che il dottore doveva conoscere.
Emilio indovinò il significato di quell'occhiata. - Come puoi credere una cosa simile? Ella, bere! Non sa neppure bere dell'acqua in abbondanza. Ci mette un'ora per un bicchiere d'acqua.
- Se ella me lo assicura - disse il dottore - tanto meglio, perché un organismo, per quanto debole, può resistere alle temperature elevate, quando non è fiaccato dall'alcool. - Guardò la ricetta un po' esitante, ma poi la lasciò intatta, ed Emilio comprese di non essere stato creduto. - In farmacia le daranno un liquido di cui vorrà far prendere all'ammalata un cucchiaio ogni ora. Anzi vorrei parlare con la signora che l'assiste.
Emilio ed il Balli seguirono il dottore e lo presentarono alla signora Elena. Il Carini spiegò che desiderava si tentasse di far sopportare all'ammalata delle compresse ghiacciate al petto, e disse che ciò sarebbe stato vantaggiosissimo per la cura.
- Oh, le sopporterà ! - disse Elena con un fervore che sorprese i tre uomini.
- Adagio - fece il dottore sorridendo lieto di veder l'ammalata in mani sì pietose. - Non desidero la si costringa, e se dimostrasse una ripulsione troppo forte pel freddo, bisognerebbe rinunziare a tal...
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