[Pagina precedente]... la respingeva ed egli non voleva le fossero date nuove ragioni d'amare il Balli. - No - dichiarò più mitemente. - Lasciamo le cose come stanno. Io m'affido in te, anzi - aggiunse ridendo - soltanto in te.
Con grande calore Stefano assicurò che egli meritava quella fiducia. Promise, giurò che il giorno in cui si fosse accorto d'aver dimenticata, nelle sedute con Angiolina, anche per un solo istante, l'arte, avrebbe messa la fanciulla alla porta. Emilio ebbe la debolezza di accettare la promessa, anzi di farsela ripetere.
Il giorno appresso il Balli venne da Emilio a fargli il rapporto della prima seduta. Aveva lavorato da indemoniato e non poteva lagnarsi d'Angiolina, la quale nella sua posa non troppo comoda, aveva resistito quanto aveva potuto. Le mancava ancora di comprendere la posa, ma il Balli non disperava di riuscirci. Era più innamorato che mai del proprio concetto. Per otto o nove sedute non avrebbe avuto neppure il tempo di scambiare una parola con Angiolina. - Quando avrò delle esitazioni per cui mi toccherà arrestarmi, ti prometto che non si ciarlerà che di te; scommetto che finirà coll'amarti di cuore
- Tutt'al più, e non sarà male, parlandole di me l'annoierai tanto, che non amerà neppur te.
Per quei due giorni egli non poté vedere Angiolina e perciò si trovò con lei soltanto il pomeriggio della domenica, nello studio del Balli. Li trovò in pieno lavoro.
Lo studio non era altro che un vasto magazzino Gli era stata lasciata tutta la ruvidezza della sua antica destinazione perché il Balli non lo voleva elegante. Il pavimento lastricato era rimasto sconnesso come quando ci venivano deposte le balle di merci; soltanto nel mezzo, d'inverno, un grande tappeto salvava i piedi dello scultore dal contatto del suolo. Le pareti erano rozzamente imbiancate e qua e là , su dei sostegni, riposavano delle figurine di argilla o di gesso, non certo per esservi ammirate, ché erano accatastate piuttosto che aggruppate. Le comodità non v'erano però trascurate. La temperatura v'era resa mite da una stufa piramidale. Una grande quantità di sedie e poltrone di varia forma e grandezza toglievano allo studio, con le loro forme eleganti, il suo carattere di magazzino. Erano differenti l'una dall'altra perché il Balli diceva di aver sempre bisogno di riposare in conformità al sogno che gli occupava la mente. Anzi trovava sempre che gli mancavano ancora delle forme di sedie di cui sentiva talvolta d'aver bisogno. Angiolina posava su un trespolo munito di soffici cuscini bianchi; in piedi, su una sedia accanto ad un altro trespolo girevole, il Balli lavorava alla sua figura appena abbozzata.
Vedendo Emilio saltò giù per salutarlo vivacemente. Anche Angiolina abbandonò la posa e sedette sui cuscini candidi; pareva riposasse in un nido. Salutò Emilio con grande gentilezza. Da tanto tempo non si vedevano. Lo trovava un po' pallido. Era forse indisposto? Il Brentani non seppe esserle grato di tante manifestazioni d'affetto. Ella voleva probabilmente dimostrargli gratitudine perché la lasciava tanto sola col Balli.
Stefano s'era soffermato dinanzi al proprio lavoro. - Ti piace? - Emilio guardò. Su una base informe poggiava inginocchiata una figura quasi umana, le due spalle vestite, evidentemente quelle di Angiolina nella forma e nell'atteggiamento. Fatta fino a quel punto la figura aveva qualche cosa di tragico. Pareva fosse sepolta nell'argilla, facesse degli sforzi immani per liberarsene. Anche la testa su cui qualche colpo di pollice aveva incavate le tempie e lisciata la fronte, appariva come un teschio coperto accuratamente di terra acciocché non gridasse. - Vedi come la cosa sorge - disse lo scultore, gettando un'occhiata, una carezza su tutto il lavoro. - L'idea c'è già tutta; è la forma che manca. - Ma l'idea non la vedeva che lui. Qualche cosa di fine, quasi inafferrabile. Doveva sorgere da quell'argilla una prece, la prece di una persona che per un istante crede e che forse non avrebbe creduto mai più. Il Balli spiegò anche la forma che voleva. La base sarebbe rimasta grezza e la figura sarebbe andata affinandosi in su fino ai capelli, che dovevano essere disposti con la civetteria del parrucchiere più modernamente raffinato. I capelli erano destinati a negare la preghiera che la faccia avrebbe espressa.
Angiolina ritornò alla posa e il Balli al lavoro. Per una mezz'ora ella posò con tutta coscienziosità , figurandosi di pregare, come le aveva ordinato lo scultore, per avere un'espressione di supplice nella faccia. A Stefano quell'espressione non piaceva, e non visto che da Emilio, ebbe un gesto di esecrazione. Quella beghina non sapeva pregare. Piuttosto che rivolgerli piamente, ella lanciava con impertinenza gli occhi in alto. Civettava col Signor Iddio.
La stanchezza d'Angiolina cominciò a tradirsi nel respiro affannoso. Il Balli non se ne accorgeva affatto, essendo giunto a un punto importante del suo lavoro: piegava quella povera testa sulla spalla destra, senza pietà . - Molto stanca? - chiese Emilio ad Angiolina e, poiché il Balli non lo vedeva, le accarezzò e sorresse il mento. Ella mosse le labbra per baciare quella mano, ma non mutò di posizione. - Posso resistere ancora per un poco. - Oh, come era ammirabile, sacrificandosi a quel modo per un'opera d'arte. Se egli fosse stato l'artista, avrebbe considerato quel sacrificio come una prova d'amore.
Poco dopo, il Balli concesse un breve riposo. Egli stesso non ne sentiva certo il bisogno e nel frattempo si diede da fare intorno alla base. Nel suo lungo mantello di tela egli aveva un aspetto sacerdotale. Angiolina, seduta accanto ad Emilio, guardava lo scultore con malcontenuta ammirazione. Era un bell'uomo, con quella sua barba elegante, brizzolata, ma dai riflessi d'oro; agile e forte saltava dal bilico e vi risaliva senza che la statua si scuotesse, ed era la personificazione del lavoro intelligente, in quella sua rude veste da cui sporgeva l'elegante solino. Anche Emilio lo ammirava, soffrendone.
Si ritornò presto al lavoro. Lo scultore schiacciò ancora un poco la testa, senza curarsi se così le faceva perdere quel po' di forma che aveva avuta. Aggiunse dell'argilla da una parte, ne tolse dall'altra. Si doveva supporre che copiasse, visto che guardava spesso il modello, ma ad Emilio non parve che l'argilla riproducesse alcun tratto della faccia d'Angiolina. Quando Stefano finì di lavorare, glielo disse, e lo scultore gl'insegnò a guardare. Per il momento la somiglianza non esisteva, che quando si guardava quella testa da un solo punto. Angiolina non si riconobbe e le dispiacque anzi che il Balli credesse di aver ritratta la sua faccia in quella cosa informe. Emilio vide quella somiglianza evidentissima. La faccia pareva addormentata, immobilizzata da una fasciatura aderente, gli occhi, non fatti, sembravano chiusi, ma si capiva che l'alito vitale stava per animare quel loto.
Il Balli avvolse la figura con un lenzuolo bagnato. Era soddisfatto del proprio lavoro, e ne era agitato.
Uscirono insieme. L'arte del Balli era veramente l'unico punto di contatto fra i due amici; parlando dell'idea dello scultore, si sentirono riavvicinati e, per quel pomeriggio, i loro rapporti ebbero una dolcezza, quale non avevano avuta da gran tempo. Perciò chi fra i tre si divertì meno fu Angiolina, la quale si sentiva quasi il terzo incomodo. Il Balli, cui non piaceva di farsi vedere in quella compagnia nelle vie ancora chiare, volle ch'ella li precedesse, ciò ch'ella fece, ritta sdegnosamente, il nasino all'aria. Il Balli parlò sempre della statua, mentre Emilio seguiva con gli occhi i movimenti della fanciulla. In tutte quelle ore non ci fu posto per la gelosia. Il Balli sognava, e quando s'occupava d'Angiolina, era solo per tenersela lontana senza scherzare e senza maltrattarla.
Faceva freddo e lo scultore propose di entrare in un'osteria a bere del vino caldo. Visto che nel locale v'era molta gente e un acre sentore di cibo e di tabacco, decisero di restare nel cortile. Dapprima Angiolina, spaventata dal freddo, protestava ma poi, quando il Balli disse che la cosa era molto originale, ella s'avvolse nel mantiglione e si divertì a vedersi ammirata dalla gente che usciva dalla stanza calda e dal servitore che li serviva correndo. Il Balli non s'accorgeva del freddo e guardava nel bicchiere come se ci avesse scoperta la propria idea; Emilio era occupato a scaldare le mani che Angiolina gli abbandonava. Era la prima volta ch'ella gli permettesse di accarezzarla in presenza del Balli ed egli ne godeva intensamente. - Dolce creatura! - mormorò e giunse fino a baciarla sulla guancia ch'ella premette contro le sue labbra.
Era una serata chiara, azzurra; il vento sibilava sopra l'alta casa da cui essi ne erano difesi. Aiutati dalla bevanda calda, aromatica, ch'essi ingoiarono in copia, resistettero per quasi un'ora a quella rigida temperatura. Fu per Emilio un altro episodio indimenticabile del suo amore. Quel cortile fosco, azzurro, e il loro gruppo ad un'estremità del lungo tavolo di legno Angiolina abbandonata definitivamente a lui dal Balli, e più che docile, amante.
Al ritorno il Balli raccontò che quella sera doveva andare al veglione; ne era seccatissimo, ma ne aveva preso impegno con un amico, un dottore in medicina, che per divertirsi al veglione diceva d'aver bisogno della compagnia rispettabile di un uomo come lo scultore, acciocché i suoi clienti scusassero più facilmente la sua presenza in quel luogo.
Stefano avrebbe preferito di coricarsi di buon'ora per ritornare il giorno appresso al lavoro con la mente fresca. Gli venivano brividi al pensiero di dover passare tutte quelle ore in mezzo al baccanale.
Angiolina chiese se egli avesse il palco per tutta la stagione e volle poi sapere esattamente in quale posizione. - Spero bene disse il Balli ridendo - che se ti mascheri mi verrai a trovare
- Non sono mai stata ad un veglione - assicurò Angiolina con grande vigore. Poi aggiunse, dopo averci pensato come se avesse scoperto allora che c'erano dei veglioni: - Mi piacerebbe tanto di andarci. - Fu stabilito subito, subito: sarebbero andati al veglione che si dava la settimana ventura a scopo di beneficenza. Angiolina spiccava dei salti dalla gioia, e parve tanto sincera che persino il Balli le sorrise con affabilità , come a un bambino cui si è lieti di aver dato con piccolo sforzo un grande piacere.
Allorché i due uomini rimasero soli, Emilio riconobbe che la seduta non gli era dispiaciuta. Il Balli, congedandosi, convertì in fiele la dolcezza goduta quel giorno, dicendogli: - Sei stato contento di noi? Riconoscerai che ho fatto del mio meglio per soddisfarti.
Egli doveva dunque l'affabilità di Angiolina alle raccomandazioni del Balli, e ciò lo umiliò. Era una nuova, forte ragione di gelosia. Si propose di far capire al Balli ch'egli non amava di dover l'affetto di Angiolina all'ascendente altrui. Con quest'ultima, poi, alla prima occasione, si sarebbe dimostrato meno grato di quelle manifestazioni d'affetto che l'avevano beato poco prima. Era dunque chiaro perché si fosse lasciata tanto docilmente accarezzare in presenza del Balli. Come era sottomessa allo scultore! Per lui sapeva rinunziare alle sue affettazioni d'onestà e a tutte quelle menzogne da cui Emilio non sapeva liberarsi. Col Balli ella era tutt'altra. Col Balli che non la possedeva, ella si smascherava, con lui no!
La mattina di buon'ora egli corse da Angiolina, ansioso di vedere come sarebbe stato trattato quando Stefano non c'era. Ottimamente! Ella stessa, dopo essersi accertata ch'era lui, gli aperse la porta. Di mattina era più bella. Il riposo di una sola notte bastava a darle l'aspetto sereno di vergine sana. La vestaglia bianca di lana, rigata di turchino, un po' consunta, secondava docile le forme precise del suo corpo e le lasciava nudo il bianco collo.
- Disturbo? - chiese lui, fosco, trattenendosi dal baciarla per non togliersi la possibilità di trovare uno sfogo nel litigio che meditava.
Ella neppure s'accorse di tutta quella musoneria. Lo fece entrare nella sua sta...
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