[Pagina precedente]...esse avuto lui non avrebbe avuto nessuno, visto che i fratelli - egli non voleva dirne male - degli affari di famiglia non si occupavano. Angiolina parve si compiacesse grandemente del lungo esordio; tutt'ad un tratto disse che andava a vestirsi nella stanza accanto e uscì.
Il vecchio perdette subito ogni imponenza. Guardò dietro alla figliuola portando al naso una presa di tabacco; fece una lunga pausa durante la quale Emilio pensava le parole con cui avrebbe risposto alle accuse che gli sarebbero mosse. Il padre di Angiolina guardò poi dinanzi a sé, e, lungamente, le proprie scarpe. Fu proprio per caso che alzò gli occhi e rivide Emilio. Ah, sì- fece come persona sorpresa di ritrovare un oggetto smarrito. Ripeté l'esordio ma con meno forza; era molto distratto. Poi si concentrò, con uno sforzo evidente, per continuare. Guardò Emilio a più riprese sempre evitando d'incontrarne lo sguardo e non parlò che quando si risolse a guardare la tabacchiera consunta che teneva fra le mani.
C'era della gente cattiva che perseguitava la famiglia Zarri. Angiolina non glielo aveva detto? Aveva fatto male. C'era dunque della gente che stava sempre sull'attenti per cogliere in fallo la famiglia Zarri. Bisognava guardarsi! Il signor Brentani non conosceva
Tic? Se lo avesse conosciuto non sarebbe venuto tanto spesso in quella casa.
Qui la predica degenerò in un'ammonizione ad Emilio, a non esporsi - così giovine - a tanti pericoli. Quando il vecchio alzò gli occhi per guardare di nuovo Emilio, questi indovinò. In quegli occhi stranamente azzurri sotto a una canizie argentea, brillava la follia.
Questa volta il pazzo seppe sostenere lo sguardo d'Emilio. Sta bene che
Tic abita lassù ad Opicina ma di lassù manda le percosse alle gambe e alle schiene dei suoi nemici. Foscamente aggiunse: - Qui in casa bastona persino la piccola. - La famiglia aveva un altro nemico:
Toc. Quello abitava in mezzo alla città . Non bastonava, ma faceva di peggio. Aveva portato via alla famiglia tutti i mestieri, tutto il denaro, tutto il pane.
Al colmo del furore, il vecchio gridava. Venne Angiolina la quale indovinò subito di che cosa si trattasse. - Vattene - disse al padre con grande malumore e lo spinse fuori.
Il vecchio Zarri si fermò sulla soglia, esitante: - Egli - disse accennando ad Emilio - non sapeva nulla né di
Tic né di
Toc.
- Glielo racconterò io - disse Angiolina, ridendo ora di cuore. Poi gridò: - Mamma vieni a prendere papà . - Chiuse la porta.
Emilio, terrorizzato dagli occhi pazzi che lo avevano guardato sì a lungo: - E ammalato? - domandò.
- Oh - fece Angiolina con disdegno - è un poltrone che non vuole lavorare. Da una parte c'è
Tic, dall'altra
Toc e così egli non esce di casa e fa sgobbare noialtre donne. - Tutt'ad un tratto rise sgangheratamente, e gli raccontò che tutta la famiglia per compiacere al vecchio, fingeva di sentire le legnate che pervenivano alla casa da parte di
Tic. Anni prima, quando la fissazione del vecchio era appena nata, essi stavano in un quinto piano al Lazzaretto Vecchio, e
Tic stava al Campo Marzio e
Toc in Corso. Cambiarono di casa sperando che in tutt'altra regione della città il vecchio avrebbe di nuovo osato di andare sulla via, ma ecco che subito
Tic va a stare a Opicina e
Toc in via Stadion.
Lasciandosi baciare ella disse: - L'hai scampata bella. Guai a te se egli, giusto in quel momento, non si fosse ricordato dei suoi nemici.
Così divenivano sempre più intimi. Egli aveva oramai scoperto tutti i misteri di quella casa. Anch'ella sentiva che nulla in lei poteva più ripugnare ad Emilio ed una volta ebbe una bellissima espressione: - A te racconto tutto come a un fratello. - Lo sentiva ben suo, e se anche non ne abusava, perché non era del suo carattere di gioire della forza, di usarne per provarla, ma bensì di goderne per vivere meglio e più lieta, abbandonò ogni riguardo. Giungeva in ritardo agli appuntamenti quantunque lo trovasse ogni volta con gli occhi fuori dalla testa, febbricitante, violento. Divenne sempre più rozza. Quando era stanca delle sue carezze lo respingeva con violenza tanto ch'egli, ridendo, le disse di temere che prima o poi ella l'avrebbe bastonato.
Non poté accertarsene, ma gli parve che Angiolina e la Paracci, la donna che gli dava a fitto quella stanza, si conoscessero. La vecchia guardava Angiolina con una certa aria materna, ne ammirava i capelli biondi e i begli occhi. Angiolina poi diceva bensì che l'aveva conosciuta in quei giorni, ma tradì di conoscerne la casa, ogni più recondito suo angolo. Una sera, in cui ella arrivò più tardi del solito, la Paracci li sentì litigare e intervenne risolutamente a favore di Angiolina. - Come si fa a rimbrottare a quel modo quest'angelo? - Angiolina che non rifiutava omaggi da qualunque parte venissero, stette a udirla, subito sorridente: - Senti? Dovresti imparare. Egli stava a udire infatti, stupefatto dalla volgarità della donna amata.
Convinto oramai di non poterla elevare in alcun modo, sentiva talvolta, violentissimo, il bisogno di scendere a lei, al di sotto di lei. Una sera ella lo respingeva. S'era confessata e per quel giorno non voleva peccare. Egli ebbe meno vivo il desiderio di possederla che di essere, almeno una volta, più rozzo di lei. La costrinse violentemente, lottando fino all'ultimo. Quando, senza fiato, cominciava a pentirsi di tanta brutalità , ebbe il conforto di un'occhiata d'ammirazione d'Angiolina. Per tutta quella sera ella fu ben sua, la femmina conquistata che ama il padrone. Egli si propose di procurarsi, nel modo stesso, delle altre serate simili, ma non seppe farlo. Era difficile trovare una seconda volta l'occasione d'apparire brutale e violento ad Angiolina.
XI
Era proprio stabilito dal destino che il Balli dovesse sempre intervenire a rendere più dolorosa la situazione di Emilio in faccia ad Angiolina. Erano da lungo tempo d'accordo che l'amante di Emilio avrebbe dovuto posare allo scultore. Per incominciare il lavoro mancava solo che una buona volta Emilio si ricordasse d'avvisarne Angiolina.
Poiché era facile capire il motivo di tanta smemoratezza, Stefano si propose di non parlarne più. Per il momento gli sembrava di non poter fare altro, tranne la figura immaginata con Angiolina e, solo per passare il tempo, compiacendosi unicamente di quell'idea, impiantò i puntelli e li coperse d'argilla segnando la figura nuda. Avvolse il tutto in stracci bagnati, e pensò: - Un lenzuolo mortuario. - Ogni giorno guardava quel nudo, lo sognava vestito, lo ricopriva poi dei suoi stracci e lo bagnava con cura.
I due amici non si spiegarono in proposito. Tentando d'arrivare al suo scopo senza fare una domanda formale, una sera il Balli disse ad Emilio: - Non so più lavorare. Dispererei, se non avessi nella mente quella figura.
- Mi sono dimenticato di nuovo di parlarne ad Angiolina, disse Emilio senza però curarsi di fingere la sorpresa di chi s'accorge di un'involontaria mancanza. - Sai che fare? Quando la vedi, parlagliene tu; vedrai come s'affretterà a compiacerti.
C'era tanta amarezza in quest'ultima frase che al Balli fece compassione, e per allora non ne parlò più. Egli stesso sapeva che il suo intervento fra i due amanti non era stato molto felice e non voleva più ingerirsi nelle loro faccende. Non poteva cacciarsi fra di loro come aveva fatto ingenuamente alcuni mesi prima per il bene dell'amico, e la guarigione d'Emilio doveva essere opera del tempo. La sua bella immagine sognata tanto, l'unica che per il momento avrebbe potuto spingerlo al lavoro, veniva ammazzata dall'incurabile bestialità d'Emilio.
Tentò di compiere l'opera con un'altra modella, ma dopo alcune sedute, disgustatosene, lasciò il lavoro in asso. Veramente questi abbandoni bruschi d'idee vagheggiate a lungo s'erano verificati spesso nella sua carriera. Questa volta, e nessuno avrebbe potuto dire se a torto o a ragione, egli ne dava la colpa ad Emilio. Non v'era alcun dubbio che se avesse avuta la modella sognata, avrebbe potuto riprendere con tutta lena il lavoro fosse pure per distruggerlo qualche settimana dopo.
Si trattenne dal raccontare tutto ciò all'amico e fu l'ultimo riguardo che gli usò. Non bisognava far capire ad Emilio quanto importante fosse divenuta anche per lui Angiolina; sarebbe equivalso ad inasprire la malattia del disgraziato. Chi avrebbe potuto far capire ad Emilio che la fantasia dell'artista s'era fermata su quell'oggetto, proprio perché in tanta purezza di linee ci aveva scoperta un'espressione indefinibile, non creata da quelle linee, qualche cosa di volgare e di goffo, che un Raffaello avrebbe soppresso e ch'egli tanto volentieri avrebbe copiato, rilevato?
Quando camminavano insieme per le vie egli non parlava del proprio desiderio, ma Emilio non aveva alcun vantaggio del riguardo usatogli perché quel desiderio, che l'amico non osava esprimere, gli pareva anche più grande di quanto fosse e ne era geloso, dolorosamente. Oramai il Balli desiderava Angiolina quanto egli stesso. Come si sarebbe difeso da un nemico simile?
Non poté difendersene! Aveva già rivelato la propria gelosia, ma non voleva parlarne; sarebbe stato troppo sciocco mostrarsi geloso del Balli dopo di aver sopportata la concorrenza dell'ombrellaio. Questo pudore lo rese inerme. Un giorno Stefano andò a prenderlo in ufficio, come faceva di spesso, per accompagnarlo a casa. Camminavano lungo la riva del mare, quando videro avanzarsi verso di loro Angiolina tutta illuminata dal sole meridiano che le giocava nei riccioli biondi, e sulla faccia un po' contratta dallo sforzo di tener aperti gli occhi in tanta luce. Così il Balli si trovava a faccia a faccia col suo capolavoro ch'egli, dimenticando il contorno, vide in tutti i dettagli. Ella s'avanzava con quel suo passo fermo che non toglieva niente della sua grazia alla figura eretta. La gioventù incarnata e vestita si sarebbe mossa così alla luce del sole
- Oh, senti! - esclamò Stefano deciso. - Per una tua insulsa gelosia non impedirmi di fare un capolavoro. - Angiolina rispose al loro saluto, come da qualche tempo usava, molto seria; tutta la sua serietà si concentrava nel saluto e anche quella manifestazione di serietà doveva esserle stata insegnata da poco. Il Balli s'era fermato e aspettava un segno di consenso dall'altro. - Sia pure - disse Emilio, macchinalmente, esitante e sempre sperando che Stefano s'accorgesse con quanto dolore egli acconsentiva. Ma il Balli non vedeva altro che il suo modello il quale stava sfuggendogli; lo rincorse subito non appena Emilio ebbe detto la parola di consenso.
Così il Balli e Angiolina si ritrovarono. Quando Emilio li raggiunse li trovò già perfettamente d'accordo. Il Balli non aveva fatto complimenti e Angiolina, rossa dal piacere, aveva subito chiesto quando dovesse venire. L'indomani alle nove. Ella assentì con l'osservazione che, per fortuna, il giorno appresso non aveva da andare dai Deluigi. - Sarò puntuale - promise congedandosi. Ella aveva l'abitudine di dire molte parole, quelle che prima le venivano alle labbra, e non pensò che quella promessa d'essere puntuale, poteva dispiacere ad Emilio perché con essa contrapponeva gli appuntamenti col Balli a quelli con Emilio.
Commessa la colpa, il Balli tornò col pensiero all'amico. Fu subito conscio di avergli fatto torto, e ne domandò affettuosamente scusa ad Emilio: - Non potevo farne a meno, quantunque sapessi di farti dispiacere. Io non voglio approfittare del fatto che tu fingi indifferenza. So che soffri. Hai torto, torto, ma so che neppure io non ho avuto ragione
Con un sorriso forzato Emilio rispose: - Allora non ho proprio niente da dirti.
Il Balli trovò ch'Emilio era con lui anche più duro di quanto egli sapesse di meritare: - Così per farmi scusare da te non mi resta altro che avvertire Angiolina di non venire? Ebbene, se lo desideri faccio anche questo.
La proposta non era da accettare perché quella povera donna - Emilio la conosceva come se l'avesse fatta lui - amava molto chi...
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