[Pagina precedente]...o di lei. Con amara ironia una volta pensò: Forse per me non c'è più posto.
Il più odiato rivale restava per lui quell'ignoto. Era strano com'ella avesse saputo non nominare quell'uomo che doveva essere passato di recente nella sua vita, mentre le piaceva tanto di vantarsi dei suoi trionfi, persino dell'ammirazione spiata negli occhi degli uomini nei quali s'imbattesse una sola volta sulla via. Tutti erano pazzamente innamorati di lei. - Tanto più merito ho avuto- ella asseriva - di essere rimasta sempre a casa durante la tua assenza, e ciò dopo essere stata trattata a quel modo da te. - Sì! Ella voleva fargli credere che durante la sua lontananza ella non avesse fatto altro che pensare a lui. Ogni sera, in famiglia, avevano ventilata la questione se ella dovesse scrivergli o no. Suo padre cui stava molto a cuore la dignità della famiglia non aveva voluto saperne. Visto che all'idea di quel consiglio di famiglia Emilio s'era messo a ridere, ella gridò: - Domandalo a mamma se non è vero.
Era una mentitrice ostinata benché, in verità , non conoscesse l'arte di mentire. Era facile farla cadere in contraddizione. Ma quando tale contraddizione le era stata provata, ella tornava con fronte serena ai suoi primi asserti, perché, in fondo, ella alla logica non ci credeva. E forse bastava tale sua semplicità a salvarla agli occhi d'Emilio.
Non si poteva dire ch'ella fosse molto raffinata nel male, e poi a lui sembrava che ogni qualvolta lo ingannava, avesse cura di avvisarnelo.
Non v'era però la possibilità di rintracciare i motivi per cui egli era tanto indissolubilmente legato ad Angiolina. Qualunque altro piccolo dolore che gli fosse toccato nella sua vita insignificante, divisa fra casa e ufficio, s'annullava facilmente accanto a lei. Di tutti i dolori ch'ella gli dava, il maggiore era quello di non farsi trovare, quando egli aveva bisogno di starle accanto. Spesso, cacciato fuori della propria casa dalla triste faccia della sorella, correva dagli Zarri quantunque sapesse che Angiolina non amava di vederlo tanto spesso in quella casa ch'ella tanto energicamente difendeva dal disonore. Ben di rado ve la trovava, e la madre con grande gentilezza lo invitava ad attenderla perché Angiolina doveva venir subito. Era stata chiamata cinque minuti prima da certe signore che abitavano lì accanto - un gesto vago accennava a levante o a ponente - per provare un vestito.
L'attesa gli era indicibilmente dolorosa, ma rimaneva incantato per delle ore a scrutare la dura faccia della vecchia, perché sapeva che rincasando senza aver vista l'amante, non si sarebbe quietato più. Una sera, spazientito, sebbene la madre, cortese come sempre, volesse trattenerlo, finì coll'andarsene. Sulle scale gli passò accanto una donna, apparentemente una fantesca, la testa coperta da una pezzuola con la quale si celava anche parte della faccia. Egli le diede il passo, ma, quando ella volle sgattaiolare oltre, la riconobbe, insospettito prima dall'intenzione ch'ella manifestava di sfuggirgli, poi dalle movenze e alla statura. Era Angiolina. Al ritrovarla egli si sentì subito meglio e non badò al fatto ch'ella parlando di quelle vicine che l'avevano chiamata, segnasse tutt'altra direzione di quella indicata dalla madre, e neppure a quello, sorprendente, ch'ella non gli tenesse rancore perché una volta di più egli fosse venuto in casa sua a comprometterla. Quella sera fu dolce, buona, come se avesse avuto da farsi perdonare qualche colpa, ma lui, in quella dolcezza di cui si beava, non seppe sospettare una colpa.
La sospettò soltanto allorché ella venne vestita a quel modo anche agli appuntamenti con lui. Ella dichiarò che rincasando sul tardi dopo essere stata con lui, era stata vista da conoscenti e aveva paura d'essere colta proprio nell'istante in cui usciva da quella casa, che non godeva della migliore fama; perciò si mascherava a quel modo. Oh, ingenuità ! Ella non s'accorgeva di confessargli con quella chiacchierata che anche quella sera in cui egli l'aveva trovata sulle scale di casa sua, aveva avuti dei buoni motivi per travestirsi.
Una sera ella arrivò al loro ritrovo con più di un'ora di ritardo. Acciocché ella non avesse bisogno di bussare rischiando l'attenzione degli altri inquilini, egli soleva attenderla sulle scale, tortuose e sucide, poggiato alla ringhiera e persino piegato per scorgere il punto più lontano ove ella doveva apparire. Quando vedeva venire qualche estraneo, si rifugiava nella stanza e per tale moto continuo la sua agitazione aumentava enormemente. Del resto gli sarebbe stato impossibile di rimaner fermo. Quella sera, quando doveva tenersi chiuso nella stanza per lasciar passare la gente sulle scale, si gettò più volte sul letto per rialzarsi subito e perdere del tempo nel movimento ch'egli complicava ad arte. Più tardi, ripensando allo stato in cui s'era trovato in quell'attesa, gli parve incredibile. Doveva persino aver gridato dall'ambascia.
Quando ella alfine venne, non bastò la sua vista per calmarlo, e le fece dei violenti rimproveri. Ella non ci abbadò e credette di poterlo calmare con qualche carezza. Gettò via la pezzola e gli pose le braccia al collo; le maniche larghe le lasciavano del tutto nude ed egli le sentì scottanti di febbre. La guardò meglio. Ella aveva gli occhi lucenti e le guance arrossate. Un sospetto orribile gli passò per la mente: -Tu sei stata or ora con un altro - urlò. Ella lo lasciò con una protesta relativamente debole: - Sei matto! - disse, e non molto offesa, si mise a spiegargli le ragioni del suo ritardo. La signora Deluigi non l'aveva lasciata andar via, ella aveva dovuto correre a casa per vestirsi a quel modo, e là le era stato imposto dalla madre di fare un lavoro prima di uscire. Erano ragioni sufficienti a spiegare dieci ore di ritardo.
Ma Emilio non aveva più alcun dubbio: ella usciva dalle braccia di un altro e a lui balenò alla mente - unica via per salvarsi da tanta immondizia - un atto d'energia sovrumana. Non doveva entrare in quel letto; doveva respingerla subito e non rivederla mai più. Ma egli ora sapeva che cosa significasse
mai più: un dolore, un rimpianto continuo, delle ore interminabili d'agitazione, altre di sogni dolorosi e poi d'inerzia, il vuoto, la morte della fantasia e del desiderio, uno stato più doloroso di qualunque altro. Ne ebbe paura. L'attirò a sé e, per unica vendetta, le disse: - Io non valgo mica molto più di te.
Fu lei allora a ribellarsi e, svincolandosi, disse decisa: - Non ho mai permesso a nessuno di trattarmi così. Io me ne vado. Volle riprendere la pezzuola ma egli glielo impedì. La baciò e l'abbracciò pregandola di restare; non ebbe la vigliaccheria di rinnegare le sue parole con una dichiarazione, ma vedendola tanto decisa, egli, ch'era ancora sconvolto solo per aver pensata quella risoluzione, l'ammirò. Sentendosi perfettamente riabilitata ella cedette. Per gradi però. Restò dichiarando che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti e, soltanto al momento di dividersi, acconsentì a stabilire come al solito il giorno e l'ora del prossimo appuntamento. Sentendosi appieno vittoriosa ella non aveva ricordato più l'origine della disputa e non aveva tentato di farlo ricredere.
Egli sperava ancora sempre che il possesso così pieno avrebbe finito col togliere violenza al suo sentimento. Invece egli andava ai ritrovi sempre con la medesima violenza di desiderio e nella sua mente non s'acquietava la tendenza a ricostruire l'
Ange che veniva distrutto ogni giorno. Il malcontento lo spingeva a rifugiarsi nei sogni più dolci. Angiolina quindi gli dava tutto: il possesso della sua carne e - essendone essa l'origine - anche il sogno del poeta.
Tanto di frequente la sognò infermiera che tentò di continuare il sogno anche accanto a lei. Stringendosela fra le braccia col violento desiderio del sognatore, le disse, - Vorrei ammalarmi per essere curato da te. - Oh, sarebbe bellissimo! - disse ella che in certe ore si sarebbe prestata a tutti i suoi desiderî. Naturalmente bastò quella frase per annullare qualunque sogno.
Una sera, trovandosi con Angiolina, egli ebbe un'idea che per quella sera alleviò potentemente il suo stato d'animo. Fu un sogno ch'egli ebbe e sviluppò accanto ad Angiolina e ad onta di questa vicinanza. Essi erano tanto infelici causa il turpe stato sociale vigente. Egli ne era tanto convinto che poté pensare di essere persino capace di un'azione eroica pel trionfo del socialismo. Tutta la loro sventura era originata dalla loro povertà . Il suo discorso presupponeva ch'ella si vendesse e ch'era spinta a farlo dalla povertà della sua famiglia Ma essa non se ne accorse e le sue parole le sembravano una carezza eppoi pareva egli volesse biasimare solo se stesso.
In una società differente egli avrebbe potuto farla sua, pubblicamente, subito, senza imporle prima di darsi al sarto. Faceva proprie anche le menzogne di Angiolina, pur di renderla dolce e indurla a entrare in quelle idee, per sognare in due. Ella volle delle spiegazioni ed egli gliele diede beato di poter dar voce al sogno. Le raccontò quale lotta immane fosse scoppiata fra poveri e ricchi, i più e i meno. Non v'era da dubitare dell'esito della lotta il quale avrebbe apportato la libertà a tutti, anche a loro. Le parlò dell'annientamento del capitale e del mite breve lavoro che sarebbe stato l'obbligo d'ognuno. La donna uguale all'uomo e l'amore un dono reciproco.
Ella chiese delle altre spiegazioni che già turbarono il sogno, e poi concluse: - Se tutto venisse diviso, non ci sarebbe niente per nessuno. Gli operai sono degl'invidiosi, dei fannulloni, e non riusciranno a niente. - Egli tentò di discutere ma poi vi rinunziò. La figlia del popolo teneva dalla parte dei ricchi.
A lui parve ch'ella non gli avesse mai chiesto del denaro. Quello ch'egli non poté negare neppure a se stesso era che, quando, consapevole dei suoi bisogni, egli l'abituò a ricevere del denaro in luogo di oggetti o di dolciumi, ella se ne dimostrò riconoscentissima, pur affettando sempre una grande vergogna. E questa riconoscenza si rinnovava egualmente vivace ad ogni dono ch'egli le faceva; perciò, quando egli sentiva il bisogno di trovarla dolce e amorosa, sapeva molto bene come avesse da comportarsi. Tale bisogno era sentito da lui tanto spesso che la sua borsa ne fu presto esausta. Accettando, ella non dimenticò mai di protestare e visto che l'accettazione non importava mai più di un semplice atto, quello di stendere la mano, mentre la protesta era fatta con molte parole, a lui rimasero impresse più queste che quello, e continuò a ritenere che anche senza di quei doni la loro relazione sarebbe rimasta la stessa.
La penuria nella famiglia d'Angiolina doveva essere grande. Ella aveva fatto ogni sforzo per impedirgli di venire a sorprenderla nella sua casa. Quelle visite inaspettate non le garbavano punto. Ma le minacce di non farsi trovare, di farlo gettare giù dalle scale dalla madre, dai fratelli o dal padre, non approdarono a nulla. Era certo che quando egli aveva tempo, di sera, sul tardi, capitava a trovarla, e ciò sebbene molto spesso venisse a tenere compagnia alla vecchia Zarri. Erano i sogni che lo trascinavano lassù. Egli sperava sempre di trovare Angiolina mutata e veniva frettoloso a cancellare l'impressione - sempre triste - dell'ultimo ritrovo
Allora fece un ultimo tentativo. Gli raccontò che il padre non le dava pace e che le era riuscito con grande fatica di trattenerlo dal fargli una scenataccia Tutto quello che aveva potuto ottenere era la promessa che si sarebbe astenuto dall'usare violenze, ma le sue ragioni il vecchio voleva dirgliele. Cinque minuti dopo entrò il vecchio Zarri. Ad Emilio parve che il vecchio, un uomo lungo, magro, tentennante, che appena entrato provò il bisogno di sedere, sapesse che il suo ingresso era stato annunziato Le sue prime parole parvero preparate per imporre. Parlava lento e impacciato, ma imperioso. Disse che credeva di poter dirigere e proteggere quella sua figliuola che ne aveva bisogno, perché se non av...
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