[Pagina precedente]...stratto dal proprio desiderio. Aveva forse fatto male a dimostrare tanta serenità , e, peggio, a non aver pensato al contegno da seguire per arrivare subito dove voleva, alla verità , al possesso. Le camminò accanto tenendola per mano, ma, dopo scambiate quelle prime frasi da persone che sono liete di ritrovarsi, egli tacque esitante. Il tono elegiaco usato altre volte con piena sincerità , sarebbe stato fuori di posto, ma anche un'indifferenza troppo grande non l'avrebbe portato allo scopo.
- Mi ha perdonato, signor Emilio? - disse lei fermandosi e gli porse da stringere anche l'altra mano. L'intenzione era stata ottima e il gesto sorprendentemente originale per Angiolina.
Egli trovò: - Sa che cosa io non le perdonerò mai? Di non aver fatto alcun tentativo per riavvicinarsi a me. Tanto poco le importava di me? - Era sincero e s'accorse ch'egli cercava inutilmente di far la commedia. Forse la sincerità gli sarebbe servita meglio di qualunque finzione.
Ella si confuse un poco e, balbettando, assicurò che se egli non si fosse avvicinato, l'indomani ella gli avrebbe scritto. - Già , in fondo che cosa ho fatto? - e non ricordava d'aver chiesto scusa poco prima.
Emilio credette opportuno mostrarsi dubbioso. - Debbo crederle? - Disse poi un rimprovero: - Con un ombrellaio!
La parola li fece ridere di gusto entrambi. - Geloso! - esclamò lei stringendo la mano che continuava a tenere - geloso di quel sudicio uomo! - Infatti se egli aveva fatto bene a rompere la relazione con Angiolina, certo aveva avuto torto di cogliere a pretesto quella stupida storia con l'ombrellaio. L'ombrellaio non era il più temibile dei suoi rivali. E perciò ebbe lo strano sentimento che doveva imputare a se stesso tutti i mali che lo avevano colpito dacché aveva abbandonata Angiolina.
Ella tacque lungamente. Non poteva essere di proposito, perché per Angiolina sarebbe stata un'arte troppo fine. Ella taceva probabilmente perché non trovava altre parole per scolparsi, e camminarono in silenzio uno accanto all'altra nella notte strana e fosca, il cielo tutto coperto di nubi sbiancate in un solo punto dalla luce lunare.
Arrivarono dinanzi alla casa d'Angiolina ed ella si fermò, forse per prendere congedo. Ma egli la costrinse a procedere: Camminiamo ancora, ancora, così muti! - Allora, naturalmente, ella lo compiacque e continuò a camminare tacendo a lui da canto. Ed egli l'amò di nuovo, da quell'istante, o da quell'istante ne fu consapevole. Gli camminava accanto la donna nobilitata dal suo sogno ininterrotto, da quell'ultimo grido d'angoscia ch'egli le aveva strappato lasciandola, e che per lungo tempo l'aveva personificata tutta; persino dall'arte, perché ormai il desiderio fece sentire ad Emilio d'aver accanto la dea capace di qualunque nobiltà di suono o di parola.
Oltrepassata la casa d'Angiolina, essi si trovarono sulla via deserta e oscura chiusa dalla collina da una parte, dall'altra da un muricciuolo che la separava dai campi. Ella vi sedette ed egli s'appoggiò a lei cercando la posizione che aveva preferita in passato, durante i primi tempi del loro amore. Gli mancava il mare. Nel paesaggio umido e grigio imperò la biondezza d'Angiolina, l'unica nota calda, luminosa.
Era tanto tempo ch'egli non sentiva quelle labbra sulle sue che n'ebbe una commozione violenta. - Oh, cara e dolce! mormorò baciandole gli occhi, il collo e poi la mano e le vesti. Ella lo lasciò fare dolcemente, e tanta dolcezza era talmente inaspettata ch'egli si commosse e pianse prima con sole lagrime, poi con singhiozzi. Gli pareva che non fosse dipeso che da lui di continuare per tutta la vita quella felicità . Tutto si scioglieva, tutto si spiegava. La sua vita non poteva più consistere che di quel solo desiderio.
- Tanto bene mi vuoi? - mormorò essa commossa e meravigliata. Anche lei aveva delle lagrime agli occhi. Gli raccontò che l'aveva visto sulla via, pallido e smunto, sul volto i segni evidenti della sua sofferenza, e le si era stretto il cuore dalla compassione. - Perché non sei venuto prima? - gli chiese rimproverandolo.
S'appoggiò a lui per discendere dal muricciuolo. Egli non capiva perché ella troncasse quella dolce spiegazione ch'egli avrebbe voluto continuare in eterno. - Andiamo a casa mia disse ella, risoluta.
Egli ebbe le vertigini e l'abbracciò e baciò non sapendo come dimostrarle la propria riconoscenza. Ma la casa d'Angiolina era lontana e, camminando, Emilio si ritrovò intero con i suoi dubbi e la sua diffidenza. Se quell'istante l'avesse legato per sempre a quella donna? Fece le scale lentamente e tutt'ad un tratto le domandò: - E Volpini?
Ella esitò e si fermò: - Volpini? - Poi, risoluta, superò i pochi scalini che la dividevano da Emilio. Si appoggiò a lui, nascose la faccia sulla sua spalla con un'affettazione di pudore che gli ricordò l'antica Angiolina e la sua serietà da melodramma, e gli disse: - Nessuno lo sa, neppure mia madre. - Un po' alla volta ricompariva tutto il vecchio bagaglio, anche la dolce madre. Ella s'era data al Volpini; costui l'aveva voluto, l'aveva anzi posto a condizione per continuare i loro rapporti. - Sentiva che non era amato - bisbigliava Angiolina - e volle una prova d'amore. - Essa non aveva ottenuto in compenso altra garanzia all'infuori di una promessa di matrimonio. Fece, con la solita sconsideratezza, il nome di un giovane avvocato il quale le aveva dato il consiglio d'accontentarsi di quella promessa perché la legge puniva la seduzione in quelle forme.
Così allacciati, quelle scale non terminavano più. Ogni scalino rendeva Angiolina più simile alla donna ch'egli aveva fuggita. Perché ora ciarlava, incominciando già ad abbandonarsi. Ora poteva essere finalmente sua perché - questo era detto e ridetto - era per lui ch'ella s'era data al sarto. A quella responsabilità non si sfuggiva più neppure rinunziando a lei.
Ella aperse la porta e, per il corridoio oscuro, lo diresse alla propria stanza. Da un'altra s'udì la voce nasale della madre: - Angiolina! sei tu?
- Sì - rispose Angiolina trattenendo una risata. - Mi corico subito. Addio, mamma.
Accese una candela e si levò il mantello e il cappello. Poi gli si abbandonò o, meglio, lo prese.
Emilio poté esperimentare quanto importante sia il possesso di una donna lungamente desiderata. In quella memorabile sera egli poteva credere d'essersi mutato ben due volte nell'intima sua natura. Era sparita la sconsolata inerzia che l'aveva spinto a ricercare Angiolina, ma erasi anche annullato l'entusiasmo che lo aveva fatto singhiozzare di felicità e di tristezza. Il maschio era oramai soddisfatto ma, all'infuori di quella soddisfazione, egli veramente non ne aveva sentita altra. Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch'egli amava. Oh, ingannatrice! Non era né la prima, né - come voleva dargli ad intendere - la seconda volta ch'ella passava per un letto d'amore. Non valeva la pena di adirarsene perché l'aveva saputo da lungo tempo. Ma il possesso gli aveva data una grande libertà di giudizio sulla donna che gli si era sottomessa. - Non sognerò mai più - pensò uscendo da quella casa. E poco dopo, guardandola, illuminata da pallidi riflessi lunari: - Forse non ci ritornerò mai più. - Non era una decisione. Perché l'avrebbe dovuta prendere? Il tutto mancava d'importanza.
Ella l'aveva accompagnato sino alla porta di casa. Non s'era accorta di alcuna sua freddezza perché egli si sarebbe vergognato di mostrarne. Anzi, premurosamente egli aveva chiesto per la sera appresso un altro appuntamento ch'ella aveva dovuto rifiutargli essendo occupata tutta la giornata fino a tarda notte dalla signora Deluigi, che le aveva commesso un vestito da ballo. S'accordarono di vedersi due giorni dopo: - Ma non in questa casa - disse Angiolina subito arrossata dall'ira. - Come puoi immaginare una cosa simile? Non voglio mica espormi al pericolo di farmi ammazzare da mio padre. - Emilio assicurò che avrebbe provveduto lui alla stanza pel prossimo ritrovo. Gliel'avrebbe indicata domani con un biglietto.
Il possesso, la verità ? La bugia continuava spudorata come prima, ed egli non scorgeva alcun modo per liberarsene. Nell'ultimo bacio, dolcemente, ella gli raccomandò discrezione, col Balli specialmente. Ella ci teneva alla propria fama.
Col Balli Emilio fu indiscreto subito, la stessa sera. Parlò di proposito, con l'intenzione di reagire alle menzogne d'Angiolina, senza tener conto delle raccomandazioni di lei, intese certamente a ingannare lui e non a tener all'oscuro gli altri. Ma poi sentì una grande soddisfazione di poter raccontare al Balli d'aver posseduto quella donna. Fu una soddisfazione intensa, importante, che gli levò qualunque nube dalla fronte.
Il Balli lo stette a sentire da medico che vuol fare una diagnosi: - Mi pare proprio di poter essere sicuro che sei guarito.
Allora però Emilio sentì il bisogno di confidarsi, e raccontò dell'indignazione che provocava in lui il contegno di Angiolina, la quale ancora sempre voleva fargli credere di essersi data al Volpini per poter appartenere a lui. Subito la sua parola fu troppo vivace: - Ancora adesso vuole truffarmi. Il dolore che mi fa di vederla sempre uguale a se stessa è tale che mi toglie persino il desiderio di rivederla.
Il Balli lo indovinò tutto e gli disse: - Anche tu resti uguale a te stesso. Non una tua parola denota indifferenza. - Emilio protestò con calore, ma il Balli non si lasciò convincere. - Hai fatto male, male assai di riavvicinarti a lei.
Durante la notte Emilio poté convincersi che il Balli aveva ragione. L'indignazione, un'ira inquieta che avrebbe domandato un pronto sfogo, lo teneva desto. Non poteva più illudersi che quella fosse l'indignazione dell'uomo onesto ferito da un'oscenità . Egli conosceva troppo bene quello stato d'animo. Ci era ricaduto ed era molto simile a quello provato prima dell'incidente dell'ombrellaio e prima del possesso. La gioventù ritornava! Egli non anelava più di uccidere ma si sarebbe voluto annientare dalla vergogna e dal dolore.
All'antico dolore s'era aggiunto un peso sulla coscienza, il rimorso d'essersi legato di più a quella donna, e la paura di vederne compromessa vieppiù la propria vita. Infatti, come avrebbe potuto spiegare la tenacità con cui ella addossava a lui la colpa della relazione col Volpini, se non col proposito d'attaccarglisi, comprometterlo, succhiargli lo scarso sangue che aveva nelle vene? Egli era legato per sempre ad Angiolina da una strana anomalia del proprio cuore, dai sensi - nel letto solitario il desiderio era rinato - e dalla stessa indignazione ch'egli attribuiva all'odio.
Quell'indignazione era la madre dei più dolci sogni. Verso mattina il suo profondo turbamento s'era mitigato nella commozione per il proprio destino. Non s'addormentò, ma cadde in uno stato singolare d'abbattimento che gli tolse la nozione del tempo e del luogo. Gli parve d'essere ammalato, gravemente, senza rimedio, e che Angiolina fosse accorsa a curarlo. Le vedeva la compostezza e la serietà della buona infermiera dolce e disinteressata. La sentiva muoversi nella camera, ed ogni qualvolta ella gli si avvicinava, gli apportava refrigerio, toccandogli con la mano fresca la fronte scottante, oppure baciandolo, con lievi baci che non volevano essere percepiti, sugli occhi o sulla fronte. Angiolina sapeva baciare così? Egli si rivoltò pesantemente nel letto e tornò in sé. L'effettuazione di quel sogno sarebbe stato il vero possesso. E dire che poche ore prima egli aveva pensato di aver perduto la capacità di sognare. Oh, la gioventù era ritornata. Correva le sue vene prepotente come mai prima, e annullava qualunque risoluzione la mente senile avesse fatta.
Di buon'ora s'alzò e uscì. Non poteva attendere; voleva rivedere Angiolina subito. Correva nell'impazienza di riabbracciarla ma si proponeva di non ciarlare troppo. Non voleva abbassarsi con dichiarazioni che avrebbero falsato i loro rapporti. Il possesso non dava la verità , ma esso stesso, non abbellito da sogni e neppure da parole, era la verità propria e pura e bestiale.
Invece, con un'ost...
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