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Egli aveva detto tutto e non sentiva più alcun bisogno di parlare. Interruppe un lungo silenzio per dire: - Chissà se quest'incontro ci porterà fortuna! - Era sincero. Aveva sentito il bisogno di dubitare della propria felicità ad alta voce.
- Chissà ? - replicò essa con un tentativo di rendere nella propria voce la commozione che aveva sentita nella sua. Emilio sorrise di nuovo ma di un sorriso che credette di dover celare. Date le premesse da lui fatte, che razza di fortuna poteva risultare ad Angiolina dall'averlo conosciuto?
Poi si lasciarono. Ella non volle ch'egli l'accompagnasse in città ed egli la seguì a qualche distanza non sapendo ancora staccarsene del tutto. Oh, la gentile figura! Ella camminava con la calma del suo forte organismo, sicura sul selciato coperto da una fanghiglia sdrucciolevole; quanta forza e quanta grazia unite in quelle movenze sicure come quelle di un felino.
Volle il caso che subito il giorno dopo egli risapesse sul conto dell'Angiolina ben più di quanto ella gli avesse detto.
S'imbatté in lei a mezzodì, nel Corso. La inaspettata fortuna gli fece fare un saluto giocondo, un grande gesto che portò il cappello a piccola distanza da terra; ella rispose con un lieve inchino della testa, ma corretto da un'occhiata brillante, magnifica.
Un certo Sorniani, un omino giallo e magro, gran donnaiuolo, a quanto dicevasi, ma certo anche vanesio e linguacciuto a scapito del buon nome altrui e del proprio, si appese al braccio di Emilio e gli chiese come mai conoscesse quella ragazza. Erano amici fin da ragazzi ma da parecchi anni non s'erano parlati e doveva passare fra di loro una bella donna perché il Sorniani sentisse il bisogno di avvicinarglisi.
- L'ho trovata in casa di conoscenti, - rispose Emilio.
- E che cosa fa adesso? - chiese Sorniani facendo capire di conoscere il passato di Angiolina e d'essere veramente indignato di non conoscerne il presente.
- Non lo so, io - e aggiunse con indifferenza ben simulata: - A me fece l'impressione di una ragazza a modo.
- Adagio! - fece il Sorniani risolutamente come se avesse voluto asserire il contrario, e soltanto dopo una breve pausa si corresse: - Io non ne so nulla e quando la conobbi tutti la credevano onesta quantunque una volta si fosse trovata in una posizione alquanto equivoca. - Senza che Emilio avesse bisogno di stimolarlo più oltre, raccontò che quella poveretta era passata vicino ad una grande fortuna convertitasi poscia , per sua o per colpa altrui, in una sventura non piccola. Nella prima giovinezza aveva innamorato profondamente un certo Merighi, bellissimo uomo, - Sorniani lo riconosceva quantunque a lui non fosse piaciuto - e agiato commerciante. Costui le si era avvicinato con i propositi più onesti; l'aveva levata dalla famiglia che non gli piaceva troppo e fatta accogliere in casa dalla propria madre. - Dalla propria madre! - esclamava Sorniani - Come se quello sciocco - gli premeva di far apparire sciocco l'uomo e disonesta la donna - non si fosse potuta godere la ragazza anche fuori di casa, non sotto gli occhi della madre. Poi, dopo qualche mese, Angiolina ritornò nella casa donde non sarebbe mai dovuta uscire e Merighi con la madre abbandonò la città dando a credere di essere impoverito in seguito a speculazioni sbagliate. Secondo altri la cosa sarebbe proceduta in modo un po' diverso. La madre del Merighi, scoperta una tresca vergognosa di Angiolina, avrebbe scacciata di casa la ragazza. - Non richiesto fece poi delle altre variazioni sullo stesso tema.
Ma era troppo evidente ch'egli si compiaceva di sbizzarrirsi su quell'argomento eccitante e il Brentani non ritenne che le parole cui poteva prestare fede intera, i fatti che dovevano essere notorii. Egli aveva conosciuto di vista il Merighi e ne ricordava la figura alta d'atleta, il vero maschio per Angiolina. Rammentava di averlo sentito descrivere, anzi biasimare, quale un idealista nel commercio: un uomo troppo ardito, convinto di poter conquistare il mondo con la sua attività . Infine, dalle persone con le quali aveva da fare giornalmente nel suo impiego, aveva saputo che quell'arditezza era costata cara al Merighi il quale aveva finito col dover liquidare la sua azienda in condizioni disastrose. Il Sorniani perciò parlava al vento perché Emilio ora credeva di poter conoscere con esattezza l'accaduto. Al Merighi impoverito e sfiduciato era mancato il coraggio di fondare una nuova famiglia e così Angiolina, che doveva diventare la donna borghese ricca e seria, finiva nelle sue mani, un giocattolo. Ne sentì una profonda compassione.
Il Sorniani aveva assistito egli stesso a delle manifestazioni d'amore del Merighi. Lo aveva visto, parecchie volte, di domenica, sulla soglia della chiesa di Sant'Antonio Vecchio, attendere lungamente che ella avesse fatte le sue preghiere inginocchiata presso all'altare, tutt'assorto a guardare quella testa bionda, lucente anche nella penombra.
« Due adorazioni », pensò commosso il Brentani cui era già facile d'intuire la tenerezza dalla quale il Merighi era inchiodato sulla soglia di quella chiesa.
- Un imbecille - concluse il Sorniani
L'importanza dell'avventura crebbe agli occhi d'Emilio per le comunicazioni del Sorniani. L'attesa del giovedì in cui doveva rivederla divenne febbrile, e l'impazienza lo rese ciarliero.
Il suo più intimo amico, un certo Balli, scultore, seppe dell'incontro subito il giorno dopo ch'era avvenuto. - Perché non potrei divertirmi un poco anch'io, quando posso farlo tanto a buon mercato? - aveva chiesto Emilio.
Il Balli stette a udirlo con l'aspetto più evidente della meraviglia. Era l'amico del Brentani da oltre dieci anni, e per la prima volta lo vedeva accalorarsi per una donna. Se ne impensierì scorgendo subito il pericolo da cui il Brentani era minacciato.
L'altro protestò: - Io in pericolo, alla mia età e con la mia esperienza? - Il Brentani parlava spesso della sua esperienza. Ciò ch'egli credeva di poter chiamare così era qualche cosa ch'egli aveva succhiato dai libri, una grande diffidenza e un grande disprezzo dei propri simili.
Il Balli invece aveva impiegati meglio i suoi quarant'anni suonati, e la sua esperienza lo rendeva competente a giudicare di quella dell'amico. Era men colto, ma aveva sempre avuto su lui una specie d'autorità paterna, consentita, voluta da Emilio, il quale, ad onta del suo destino poco lieto ma per nulla minaccioso, e della sua vita in cui non v'era niente di imprevisto, abbisognava di puntelli per sentirsi sicuro.
Stefano Balli era un uomo alto e forte, l'occhio azzurro giovanile su una di quelle faccie dalla cera bronzina che non invecchiano: unica traccia della sua età era la brizzolatura dei capelli castani, la barba appuntata con precisione, tutta la figura corretta e un po' dura. Era talvolta dolce il suo occhio da osservatore quando lo animava la curiosità o la compassione, ma diveniva durissimo nella lotta e nella discussione più futile.
Il successo non era arriso nemmeno a lui. Qualche giuria, respingendo i suoi bozzetti, ne aveva lodata questa o quella parte, ma nessun suo lavoro aveva trovato posto su qualcuna delle tante piazze d'Italia. Egli però non aveva mai sentito l'abbattimento dell'insuccesso. S'accontentava del consenso di qualche singolo artista ritenendo che la propria originalità dovesse impedirgli il successo largo, l'approvazione delle masse, e aveva continuato a correre la sua via dietro a un certo ideale di spontaneità , a una ruvidezza voluta, a una semplicità o, come egli diceva, perspicuità d'idea da cui credeva dovesse risultare il suo « io » artistico depurato da tutto ciò ch'era idea o forma altrui. Non ammetteva che il risultato del suo lavoro potesse avvilirlo, ma i ragionamenti non lo avrebbero salvato dallo sconforto, se un successo personale inaudito non gli avesse date delle soddisfazioni ch'egli celava, anzi negava, ma che aiutavano non poco a tener eretta la sua bella figura slanciata. L'amore delle donne era per lui qualcosa di più che una soddisfazione di vanità ad onta che, ambizioso, prima di tutto, egli non sapesse amare. Era il successo quello o gli somigliava di molto; per amore dell'artista le donne amavano anche l'arte sua che pure era tanto poco femminea. Così, avendo profondissima la convinzione della propria genialità , e sentendosi ammirato e amato, egli conservava con tutta naturalezza il suo contegno di persona superiore. In arte aveva dei giudizi aspri e imprudenti, in società un contegno poco riguardoso. Gli uomini lo amavano poco ed egli non avvicinava che coloro cui aveva saputo imporsi.
Circa dieci anni prima, s'era trovato fra' piedi Emilio Brentani, allora giovinetto, un egoista come lui ma meno fortunato, e aveva preso a volergli bene. Da principio lo predilesse soltanto per la ragione che se ne sentiva ammirato; molto più tardi l'abitudine glielo rese caro, indispensabile. La loro relazione ebbe l'impronta dal Balli. Divenne più intima di quanto Emilio per prudenza avrebbe desiderato, intima come tutte le poche relazioni dello scultore, e i loro rapporti intellettuali restarono ristretti alle arti rappresentative nelle quali andavano perfettamente d'accordo perché in quelle arti esisteva una sola idea, quella cui s'era votato il Balli, la riconquista della semplicità o ingenuità che i cosidetti classici ci avevano rubate. Accordo facile; il Balli insegnava, l'altro non sapeva neppure apprendere. Fra loro non si parlava mai delle teorie letterarie complesse di Emilio, poiché il Balli detestava tutto ciò che ignorava, ed Emilio subì l'influenza dell'amico persino nel modo di camminare, parlare, gestire. Uomo nel vero senso della parola, il Balli non riceveva e quando si trovava accanto il Brentani, poteva avere la sensazione d'essere accompagnato da una delle tante femmine a lui soggette.
- Infatti - disse dopo di aver uditi da Emilio tutti i particolari dell'avventura, - un certo pericolo non dovrebbe esserci. Il carattere dell'avventura è già fissato da quell'ombrellino scivolato tanto opportunamente di mano e dall'appuntamento subito accordato.
- E vero, - confermò Emilio il quale però non disse come a quei due particolari egli avesse dato tanto poca importanza che essi, rilevati dal Balli, lo avevano sorpreso come dei fatti nuovi. - Credi dunque che il Sorniani abbia ragione? - Nel suo giudizio sulle comunicazioni del Sorniani egli certo non aveva tenuto conto di quei fatti.
- Me la presenterai - disse il Balli prudentemente - e poi giudicheremo.
Il Brentani non seppe tacere neppure con sua sorella. La signorina Amalia non era stata mai bella: lunga, secca, incolore il Balli diceva che era nata grigia - di fanciulla non le erano rimaste che le mani bianche, sottili, tornite meravigliosamente, alle quali ella dedicava tutte le sue cure.
Era la prima volta ch'egli le parlava di una donna, e Amalia stette ad ascoltare, sorpresa e con la cera subito mutata, quelle parole ch'egli credeva oneste, caste , ma che in bocca sua erano pregne di desiderio e di amore. Egli non aveva raccontato nulla, ed ella, già spaventata, aveva mormorata l'ammonizione del Balli: - Bada di non fare delle sciocchezze.
Ma poi volle ch'egli le raccontasse tutto, ed Emilio credette di poter confidare la sua ammirazione e la felicità provata quella prima sera, tacendo dei suoi propositi e delle sue speranze. Non s'accorgeva che quella che diceva era la parte più pericolosa. Ella stette ad ascoltarlo, servendolo muta e pronta a tavola acciocché egli non avesse da interrompersi per chiedere una cosa o l'altra. Certo, col medesimo aspetto, ella aveva letto quel mezzo migliaio di romanzi che facevano bella mostra di sé, nel vecchio armadio adattato a biblioteca, ma il fascino che veniva ora esercitato su lei - ella, sorpresa, già lo sapeva - era del tutto differente. Ella non era passiva ascoltatrice, non era il fato altrui che l'appassionasse; il proprio destino intensamente si ravvivava. L'amore era entrato in casa e le viveva accanto, inquieto, laborioso. Con un solo soffio aveva dissipata l'atmosfera ...
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