[Pagina precedente]...l'operaio, la sartina, il povero borghese alla noia della vita volgare per condurli poi al dolore. Ammaccati, sperduti, alcuni sarebbero ritornati all'antica vita divenuta però più greve; gli altri non avrebbero trovato mai più la quaresima.
Sbadigliò di nuovo; anche il proprio pensiero l'annoiava. - Sa di scirocco - pensò e guardò di nuovo la luna luminosa che poggiava sul monte come su un piedestallo.
Ma il suo occhio si fermò su tre figure che scendevano l'Acquedotto. Lo colpirono perché subito s'accorse che tutt'e tre si tenevano per mano. Un uomo tozzo e piccolo in mezzo, due donne, due figure slanciate, ai lati; pareva un'ironia ch'egli si propose di scolpire. Avrebbe vestite le due donne alla greca, l'uomo in una giubba moderna; avrebbe dato alle donne il riso forte delle baccanti, all'uomo avrebbe stampato in faccia la fatica e la noia.
Ma avvicinatesi le figure, egli dimenticò del tutto quella visione. Una delle donne era Angiolina, l'altra certa Giulia, una ragazza non bella che Angiolina aveva fatta conoscere al Balli e ad Emilio. Non conosceva l'uomo che passò a pochi passi da lui, la testa alta e sorridente, veneranda per una grande barba bruna. Non era il Volpini ch'era fulvo
Giolona rideva di cuore col suo riso sonoro e dolce; certo l'uomo era là per lei, e a Giulia veniva premuta la mano soltanto in grazia sua. Il Balli lo credette fermamente senza però saperne dire il perché, la propria forza d'osservazione lo divertì tanto che dimenticò la noia di tutta la serata. - Ecco un'occupazione originale; farò la spia! - Li seguì tenendosi nell'ombra sotto gli alberi. Giolona rideva assai, quasi ininterrottamente, mentre Giulia, per prendere parte alla conversazione, si protendeva perché i due alla sua destra troppo spesso si dimenticavano di lei.
Presto non ci fu più bisogno di grande forza d'osservazione. A pochi passi dal caffè all'Acquedotto s'erano fermati. L'uomo lasciò la mano di Giulia, che discretamente si trasse in disparte e prese nelle sue ambe le mani di Angiolina. Cercava di ottenere qualche cosa da lei, e ad ogni tratto portava la sua ispida barba accanto alla faccia di Angiolina; da lungi parevano baci. Poscia i tre si riunirono ed entrarono nel caffè.
S'erano seduti nella prima stanza accanto alla porta d'ingresso, ma in modo che il Balli non vedeva che la testa dell'uomo. Quella però in piena luce. Una faccia nera nera incorniciata dalla barba abbondante che gli arrivava fin sotto agli occhi, ma la testa calva e lucente e gialla. - L'ombrellaio di via Barriera! - rise il Balli. Un ombrellaio rivale di Emilio Brentani. Ma tanto meglio perché quel mestiere avrebbe guarito Emilio. Il Balli penso che gli avrebbe saputo rendere l'avventura tanto ridicola che Emilio ne avrebbe riso e non sofferto. Il Balli non dubitava affatto del proprio spirito.
L'ombrellaio guardava solo da una parte e, con la sua coscienza di spia onesta, il Balli volle accertarsi che da quella parte si trovasse Angiolina; perciò entrò. Era proprio dessa che sedeva addossata alla parete; Giulia, seduta in faccia, perfettamente isolata, centellinava da un bicchierino un liquor trasparente e denso. Ma, tuttavia, ad onta della grande attenzione che ci metteva, ella era meno distratta degli altri due. Fu lei ad accorgersi del Balli e a dar l'allarme. Troppo tardi. Egli s'era potuto accorgere che le due mani s'erano unite di nuovo sotto il tavolo ed era stato colpito dall'espressione affettuosa con cui Angiolina guardava l'ombrellaio Emilio aveva ragione; quegli occhi crepitavano come se nella loro fiamma qualche cosa bruciasse. Il Balli invidiò l'ombrellaio. Come egli si sarebbe trovato meglio a quel posto che non al proprio!
Giulia lo salutò: - Buona sera! - Egli fu indignato all'accorgersi ch'ella si aspettava di essere avvicinata da lui. Per poter stare con Emilio e con Angiolina egli l'aveva sopportata per una sera. Lentamente uscì, salutando Angiolina con un breve cenno del capo. Ella s'era quasi rannicchiata al suo posto per sembrare lontana dal suo compagno e guardava il Balli con grandi occhi espressivi, pronta a sorridergli solo ch'egli gliene avesse dato l'esempio. Ma egli non sorrise e, guardando altrove, senza rispondere ad un saluto dell'ombrellaio, passò oltre. «Come siamo stati espressivi! », pensò. «Ella m'ha pregato di non parlare ad Emilio di quest'incontro ed io le ho risposto che gliene avrei parlato non appena lo avessi veduto. »
Guardò di nuovo l'ombrellaio, in mezzo a quella calvizie e a quel pelo una faccia di cuor contento. - Oh, se Emilio l'avesse vista!
- Buona sera signor Balli - sentì dietro di sé un saluto riverente. Si volse. Era Michele. Capitava in buon punto.
Con sùbita decisione, il Balli lo pregò di andare da Emilio Brentani; se era in casa di condurlo subito con sé, e se non c'era di attenderlo finché non fosse venuto. Michele si prese appena il tempo di ascoltare l'ordine e si mise a correre.
Impaziente, il Balli s'appoggiò ad un albero di faccia al caffè. Avrebbe saputo impedire lui che Emilio se la prendesse con l'ombrellaio o con Angiolina. Sperava di saper renderlo calmo e libero per sempre da quel legame.
Giulia era venuta alla porta e guardò attentamente a sé d'intorno; ma, trovandosi in piena luce e il Balli nell'ombra, non lo scorse. Il Balli stette immobile non importandogli di celarsi. Giulia rientrò e uscì poi accompagnata da Angiolina e dall'ombrellaio che ora non osava più tenere per mano la sua amata. Si diressero con passo più celere verso il caffè Chiozza. Fuggivano! Fino al Chiozza il compito del Balli restò facile perché Emilio doveva venire per quella via; ma quando piegarono a destra, verso la stazione, allora il Balli si trovò in grande imbarazzo. L'impazienza lo rese iroso. - Se Emilio non viene in tempo, congedo Michele.
Fino a un certo punto fu aiutato dalla sua ottima vista. - Ah, canaglie! - mormorò irritato accorgendosi che l'ombrellaio si sentiva di nuovo sicuro tanto da riafferrare la mano d'Angiolina. Poco dopo li perdette di vista nell'ombra proiettata dalle alte case, e quando capitò finalmente Emilio, sapendo di non poter più raggiungerli, lo accolse con le parole: - Peccato! Hai perduto uno spettacolo che sarebbe stato salutifero per te. Poi si mise a canticchiare. -
Si, vendetta, tremenda vendetta... e, forse sperando ch'essi si sarebbero fermati ad aspettarli, trascinò seco Emilio verso la stazione.
Emilio aveva capito che si trattava di Angiolina. Acconsentì a camminare accanto al Balli facendo delle domande come se non avesse avuto il più lontano sospetto della verità . Poi comprese: il nodo che gli serrava la gola era prodotto dal duro ridicolo che lo colpiva. Oh, prima di tutto liberarsi da quello! Si fermò ostinato. Voleva sapere di che cosa si trattasse altrimenti non si sarebbe mosso di là . Gli dicesse tutto con franchezza. Si trattava di Angiolina nevvero? - Tutto quanto me ne puoi dire tu non arriva certo a quanto ne so io - e rise. - Cessa dunque da questa commedia.
Fu soddisfatto di se stesso specialmente quando si accorse d'aver subito ottenuto dal Balli quello che voleva. Divenuto serio, costui gli raccontò del caso per cui s'era imbattuto in Angiolina e l'aveva colta in flagrante. In un'alcova la cosa non sarebbe potuta essere più chiara. - Quell'uomo era là per Angiolina e non per Giulia, anzi Angiolina era là per lui. Come gli accarezzava le mani e come la guardava! Non era mica il Volpini, sai. - S'interruppe per guardare Emilio ed esaminare se forse la calma che gli scorgeva non fosse derivata dalla presunzione che l'uomo col quale lo si tradiva fosse il Volpini
Emilio continuava a prestar orecchio fingendo di essere sorpreso da tale notizia. - Ne sei poi sicuro? - chiese coscienziosamente. Sapeva che il Volpini non si trovava a Trieste, e perciò non aveva neppure pensato a lui.
- Oh, bella! Conosco il Volpini e poi conosco anche quest'altro. L'ombrellaio di Barriera Vecchia. Quello delle ombrelle ordinarie, colorite. - Qui venne una descrizione particolareggiata dell'ombrellaio alla doppia luce gialla del gas e degli occhi di Angiolina. Calvo e pur tanto nero! - E' un mostro in natura perché resta nero in qualunque luce lo si vegga. - Il Balli terminò il suo racconto: - Giacché non v'è ragione di aver compassione di te, ne provo unicamente per quella povera Giulia. L'ombrellaio non ha un amico come me cui addossare le brutte appendici delle sue belle avventure. Fu lei la maltrattata! Dovette contentarsi di un bicchierino di rosolio, mentre Angiolina con grande apparato si fece dare un cioccolatte e una grande quantità di focacce.
Ed Emilio sembrava prendere interesse a tutte le spiritose osservazioni dell'amico. Non aveva più neppur bisogno di sforzo per simulare indifferenza; si era quasi cristallizzato nel primo sforzo e avrebbe potuto dormire conservando stereotipato quel sorriso e quella calma. Era tale quella simulazione da penetrare molto più in là dell'epidermide. Invano egli cercava in se qualche cosa d'altro fuori di essa, e non trovava che una grande stanchezza. Nient'altro! Forse la noia di sé, del Balli e d'Angiolina. E pensò: « Quando sarò solo starò certo meglio di così ».
Il Balli disse: - Adesso andiamo a dormire. Tu sai già dove potrai trovare Angiolina domani. Le dirai poche parole d'addio e poi la sia finita come tra me e Margherita.
Il suggerimento era buono; tuttavia forse non ci sarebbe stato bisogno di darlo. - Sì, farò così - disse Emilio. Con sincerità aggiunse: - Forse non domani però. - Avrebbe voluto dormire lungamente indomani.
- Va là che sei degno mio amico - disse il Balli con profonda ammirazione. - In una sola sera hai riconquistata tutta la stima che avevi perduta con le sciocchezze commesse nel corso di più mesi. Mi accompagni verso casa mia?
- Un piccolo tratto - disse Emilio sbadigliando. - E' tardi ed io ero là là per coricarmi allorché fui chiamato da Michele. Evidentemente deplorava quella chiamata intempestiva.
Non si ritrovò neppure quando fu solo. Che cosa gli restava da fare per quella sera? Si diresse verso casa per andare a coricarsi.
Ma, giunto al Chiozza, si fermò a guardare verso la stazione, la parte della città ove Angiolina faceva all'amore con l'ombrellaio. - Eppure - pensò e pensò l'idea e le parole - sarebbe bello ch'ella passasse per di qua ed io potessi subito dirle che fra di noi tutto è finito. Allora sì che tutto sarebbe finito ed io potrei andare a dormire veramente calmo. Per di qua deve passare!
S'appoggiò ad un paracarro e quanto più attendeva, tanto più forte si faceva la sua speranza di vederla quella stessa notte.
Per essere pronto pensò anche le parole che le avrebbe dirette. Dolci. Perché no? - Addio Angiolina. Io volevo salvarti e tu mi hai deriso. - Deriso da lei, deriso dal Balli! Una rabbia impotente gli gonfiò il petto. Finalmente egli si destava e tutta la rabbia e la commozione non lo addoloravano tanto come l'indifferenza di poco prima, una prigionia del proprio essere impostagli dal Balli. Dolci parole ad Angiolina? Ma no! Poche e durissime e fredde. - Io sapevo già ch'eri fatta così. Non mi sorprese affatto. Domandalo al Balli. Addio.
Camminò per calmarsi perché al pensare quelle fredde parole s'era sentito bruciare. Non offendevano abbastanza! Con quelle parole non offendeva che se stesso; si sentiva venire le vertigini. - Così si uccide - pensò - non si parla. - Una grande paura di se stesso lo calmò. Sarebbe stato ugualmente ridicolo anche uccidendola, si disse, come se egli avesse avuto un'idea da assassino. Non la aveva avuta; ma, rassicuratosi, si divertì a figurarsi vendicato con la morte di Angiolina. Quella sarebbe stata la vendetta che avrebbe fatto obliare tutto il male di cui ella era stata l'origine. Dopo, egli avrebbe potuto rimpiangerla, e lo pervase una commozione che gli cacciò le lagrime agli occhi.
Pensò che con Angiolina egli avrebbe dovuto seguire lo stesso sistema adottato col Balli. Quei due suoi nemici dovevano essere trattati nello stesso modo. A lei egli avrebbe detto che non l'abb...
[Pagina successiva]