[Pagina precedente]...seppe celare il malumore che lo colse all'idea di dover attraversare la città accanto a quella donnetta di un gusto tanto perverso da porre un segnale bianco a sì piccola distanza da terra.
L'aria era tepida ma, coperto di una fitta bianca nebbia, tutta una cappa dello stesso colore, il cielo era veramente invernale e Sant'Andrea con quegli alberi dai lunghi rami nudi, secchi, non ancora tagliati, e il suolo bianco per la luce impedita e diffusa, sembrava un paesaggio di neve. Riproducendolo e non potendo ridare la mitezza dell'aria, un pittore avrebbe stampata quell'erronea illusione.
- Fra noi tre conosciamo tutta la città - mormorò il Balli. Sul passeggio avevano dovuto rallentare il passo. Così festiva e romorosa e ufficiale, nel grande triste paesaggio e accanto al vasto mare bianco, quella folla era poco seria; aveva del formicaio.
- E' lei che conosce tutti, non noi, - disse Amalia che ricordava d'essere venuta spesso a quel passeggio senz'aver avuto per ciò da stancarsi troppo nei saluti. Tutte le persone che passavano avevano il saluto amichevole o rispettoso per il Balli, e i saluti gli venivano anche dagli equipaggi. Ella si sentiva bene accanto a lui e gioiva di quella passeggiata trionfale come se una parte della riverenza che veniva dimostrata allo scultore fosse stata destinata a lei.
- Guai se non fossi venuto! - disse il Balli rispondendo con un bel saluto misurato ad una vecchia signora che s'era sporta dalla carrozza per vederlo. - La gente sarebbe ritornata a casa delusa. - Si era sicuri di trovarlo al passeggio della domenica ch'egli festeggiava come un operaio col Brentani il quale gli altri giorni era chiuso in ufficio.
-
Ange! - mormorò Amalia ridendo con discrezione. L'aveva riconosciuta alla descrizione che gliene era stata fatta e al turbamento di Emilio.
- Non ridere! - pregò Emilio con calore e confermando la scoperta di Amalia. Anche lui vedeva qualche cosa di nuovo: il sarto Volpini, un esile omino più insignificante ancora per colpa della splendida figura femminile accanto alla quale marciava con un suo passo allungato con isforzo e vanto. I due uomini salutarono ed il Volpini rispose con esagerata gentilezza. - Ha il colore di Angiolina, - rise il Balli. Emilio protestò: come si poteva confrontare la paglia del Volpini con l'oro di Angiolina? Si volse e vide che l'Angiolina china, parlava al suo compagno il quale guardava in alto, finalmente non gobbo. Parlavano certo di loro.
Soltanto più tardi, quando si trovarono di nuovo in città e in procinto di dividersi, Amalia che improvvisamente era ammutolita sentendosi di nuovo vicina alla sua abituale solitudine, per dire qualche cosa e rompere il silenzio che già incombeva su lei, domandò chi fosse l'uomo che accompagnava Angiolina. - Suo zio - disse il Brentani, serio serio, dopo una lieve esitazione, mentre Stefano lo guardava con occhio ironico vedendolo arrossire. L'occhio innocente della sorella lo faceva vergognare. Come Amalia sarebbe stata sorpresa che il grande amore del fratello, quell'amore pel quale ella già tanto aveva sofferto, fosse fatto a quel modo.
- Grazie! - disse Amalia congedandosi da Stefano. Oh, quale ricordo dolce di quelle ore le sarebbe rimasto se, per disgrazia, non si fosse accorta che in quel momento il Balli non poteva parlare perché in lotta con uno sbadiglio che gli paralizzava la bocca. - Ella s'è annoiato. Tanto più la ringrazio. Umile e buona tanto, commosse Stefano il quale si sentì subito di volerle bene. Spiegò che lo sbadiglio in lui era affare di nervi. Le avrebbe provato ch'egli non s'annoiava in loro compagnia, se lo sarebbero trovato molto spesso fra' piedi.
Infatti mantenne la parola. Sarebbe stato difficile dire perché egli ogni giorno facesse quelle scale per andare a prendere il caffè dai Brentani. Era gelosia, probabilmente; egli lottava per conservarsi l'amicizia d'Emilio. Ma Amalia non poteva indovinare tutto ciò. Ella riteneva ch'egli venisse più spesso da loro per il più semplice affetto per il fratello, affetto di cui ella stessa godeva perché una parte riverberava su di lei.
Tra fratello e sorella non vi furono più diverbi. Emilio - e cieco com'era non ne ebbe alcuna sorpresa, - sentì che la sorella lo sopportava, lo comprendeva meglio; anzi sentì che la novella benevolenza si estendeva persino al suo amore. Quando egli le parlava di questo, il volto di Amalia si rischiarava, luceva. Ella cercava di farlo parlare d'amore, e non gli diceva mai ch'egli si guardasse o che dovesse lasciare Angiolina. Perché avrebbe dovuto lasciare Angiolina visto ch'ella era la felicità ? Un giorno domandò di conoscerla, e più volte ne espresse poi il desiderio; ma Emilio si guardò bene dal compiacerla. Ella non sapeva di quella donna se non ch'era un essere molto differente da lei, più forte, più vitale, e ad Emilio piacque di aver creata nella sua mente un'Angiolina ben diversa dalla reale. Quando si trovava con la sorella, amava quell'immagine, l'abbelliva, vi aggiungeva tutte le qualità che gli sarebbe piaciuto di trovare in Angiolina, e quando capì che anche Amalia collaborava a quella costruzione artificiale, ne gioì vivamente.
Sentendo parlare di una donna che, per appartenere ad un uomo che amava, aveva vinti tutti gli ostacoli, pregiudizi di casta e d'interessi, ella disse in un orecchio ad Emilio: - Somiglia ad Angiolina.
«Oh, le somigliasse! », pensò Emilio mentre atteggiava la faccia a consenso. Poi si convinse che le somigliava di fatto o almeno, che, cresciuta in altro ambiente, le sarebbe somigliata, e finì col sorridere. Perché avrebbe dovuto supporre che Angiolina si sarebbe lasciata fermare da pregiudizi? Attraverso al pensiero nobilitante di Amalia, il suo amore per Angiolina s'adornò in qualche momento di tutte le illusioni.
Invece quella donna che abbatteva tutti gli ostacoli somigliava ad Amalia stessa. Nelle sue mani lunghe e bianche essa sentiva una forza enorme, tale da spezzare le più forti catene. Nella sua vita non c'erano però catene; ella era del tutto libera, e nessuno le chiedeva né risoluzione, né forza, né amore. Come avrebbe finito coll'espandersi quella grande forza chiusa in quel debole organismo?
Intanto il Balli centellinava il caffè, sdraiato nel vecchio seggiolone, in un grande benessere, ricordando che in quell'ora egli aveva avuta la mala abitudine di discutere con gli artisti al caffè. Come si stava meglio là , fra quelle persone miti che lo ammiravano e amavano!
Altrettanto disgraziato fu l'intervento del Balli fra i due amanti. Nella sua breve relazione con Angiolina, egli s'era conquistato il diritto di dirle un mondo d'insolenze ch'ella subiva sorridente, nient'affatto offesa. Dapprima s'era accontentato di dirgliele in toscano, aspirando e addolcendo, e a lei erano sembrate carezze; ma anche quando le capitarono addosso in buon triestino, dure e sboccate, ella non se ne adontò. Ella sentiva - anche Emilio lo sentiva - ch'erano dette senza fiele di sorta, un modo qualunque d'atteggiare la bocca, un'abitudine innocua di muoverla. E quest'era il peggio. Una sera, Emilio, non potendone più, pregò il Balli finalmente di non accompagnarsi a loro. - Soffro troppo di vederla vilipendere a quel modo.
- Davvero? - chiese il Balli facendo tanto d'occhi. Egli, come sempre dimentico, di nuovo aveva creduto di dover comportarsi così per curare Emilio. Si lasciò convincere e per qualche tempo non andò a turbare i loro amori. - Io non so comportarmi altrimenti con una donna simile. - Ma allora Emilio si vergognò e piuttosto che confessarsi tanto debole, si rassegnò a sopportare il contegno dell'amico.
- Vieni talvolta con Margherita.
La cosidetta
cena dei vitelli si ripeté di frequente, negli episodi molto simile alla prima, Emilio condannato al silenzio, Margherita e Angiolina in ginocchio dinanzi al Balli.
Una sera però il Balli non gridò, non comandò, non si fece adorare e fu per la prima volta il compagno ch'Emilio avrebbe potuto sopportare. - Come devi sentirti amato da Margherita! - gli disse quest'ultimo al ritorno per dirgli qualche cosa di gradito. Le due donne camminavano a pochi passi da loro.
- Disgraziatamente - disse il Balli con pacatezza, - credo ch'ella ami anche molti altri come ama me. E' un animo gentilissimo. - Emilio cadeva dalle nuvole. - Sta zitto adesso! - disse il Balli vedendo che le due donne s'erano fermate per attenderli.
Il giorno appresso, in un istante in cui Amalia aveva dovuto andare in cucina, il Balli raccontò che per un caso, l'errore di un fattorino, egli aveva scoperto che Margherita dava degli appuntamenti ad un altro - precisamente un artista - disse egli con rabbia. - Ciò mi rattristò profondamente. E' un'infamia d'esser trattato così. Mi posi a fare delle indagini e quando credetti di aver scoperto il mio rivale, trovai che nel frattempo erano divenuti due. La cosa diventava molto più innocente. Allora per la prima volta mi degnai di fare delle indagini sulla famiglia di Margherita e trovai ch'era composta della madre e di una caterva di sorelle giovanissime. Capisci? Ella deve provvedere all'educazione di tutte quelle ragazze. - Poi il Balli, con voce profonda dalla commozione, concluse: - Figurati che da me ella non ha voluto accettare un centesimo. Voglio che confessi, mi racconti tutto. La bacierò un'ultima volta, le dirò di non serbarle alcun rancore, e la lascerò conservando di essa il più dolce ricordo. - Poi, subito, fumando egli si rasserenò e quando Amalia rientrò, egli cantarellava a mezza voce:
Pria confessi il delitto e poscia muoia!
La stessa sera Emilio raccontò la storia di Margherita ad Angiolina. Ella ebbe un impeto di gioia che le fu impossibile di celare. Poi capì essa stessa che doveva farsi perdonare da Emilio un tale movimento. Ma fu difficile. Come era doloroso per lui di veder lo scultore conquistarsi giuocando e ridendo quello ch'egli non poteva ottenere a prezzo di tanti dolori!
Del resto egli passava allora un periodo di strana illusione con Angiolina. Un sogno, di quelli cui egli era tanto esposto in piena veglia, gli faceva credere d'essere stato lui il corruttore della fanciulla. Infatti, subito, le prime sere in cui l'aveva avvicinata, egli le aveva tenuti quei magnifici discorsi sulle donne oneste e sull'interesse. Egli non poteva sapere come ella fosse stata prima di venire alla sua scuola. Come non aveva capito che Angiolina onesta significava Angiolina sua? Ricominciò il sermone che aveva interrotto, ma su tutt'altro tono. Ben presto s'accorse che le teorie fredde e complesse non facevano per Angiolina. Lungamente pensò il metodo da seguire per rieducarla. Nel sogno egli l'accarezzava come se già l'avesse resa degna di lui. Tentò di fare altrettanto nella realtà . Infatti il miglior metodo doveva consistere nel farle sentire che dolcezza sia il rispetto per darle il desiderio di conquistarselo. Perciò egli si trovava allora eternamente in ginocchio dinanzi a lei proprio nella posizione in cui sarebbe stato più facilmente abbattuto il giorno in cui Angiolina avesse creduto opportuno di dargli un calcio.
VI
Una sera, al principio di Gennaio, il Balli, con un infinito malumore, camminava soletto l'Acquedotto. Gli mancava la compagnia d'Emilio il quale aveva accompagnata la sorella ad una visita, e Margherita ancora non era stata rimpiazzata.
Il cielo era chiaro ad onta dello scirocco che incombeva già dalla mattina sulla città . Pareva impossibile che a quella temperatura fredda e umida resistesse il tisico carnevale iniziatosi quella sera con un primo ballo mascherato. - Oh, avere qui un cane per far addentare quei polpacci! - pensò il Balli vedendo passare due
pierrettes con le gambe nude. Quel carnevale, perché meschino, gli dava un'ira da moralista; più tardi, molto più tardi, anche lui vi avrebbe partecipato, dimentico del tutto di quell'ira, innamorato del lusso e dei colori. Ma intanto ricordava d'assistere al preludio di una triste commedia. Incominciava a formarsi il vortice che per un istante avrebbe sottratto ...
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