LE VITE DE' PIU' ECCELLENTI PITTORI, SCULTORI, E ARCHITETTORI, di Giorgio Vasari - pagina 363
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In ultimo essendo in Roma per tornarmene a Fiorenza, nel baciare i piedi al santissimo e beatissimo papa Pio Quinto, mi comise che io gli facessi in Fiorenza una tavola per mandarla al suo convento e chiesa del Bosco, ch'egli faceva tuttavia edificare nella sua patria, vicino ad Alessandria della Paglia.
Tornato dunque a Fiorenza, e per averlomi Sua Santità comandato, e per le molte amorevolezze fattemi, gli feci, sì come avea commessomi, in una tavola l'Adorazione de' Magi, la quale come seppe essere stata da me condotta a fine, mi fece intendere che per sua contentezza e per conferirmi alcuni suoi pensieri, io andassi con la detta tavola a Roma, ma sopra tutto per discorrere sopra la fabrica di San Piero, la quale mostra di avere a cuore sommamente.
Messomi dunque a ordine con cento scudi, che per ciò mi mandò, e mandata innanzi la tavola, andai a Roma.
Dove, poi che fui dimorato un mese, et avuti molti ragionamenti con Sua Santità, e consigliatolo a non permettere che s'alterasse l'ordine del Buonarruoto nella fabrica di San Piero, e fatti alcuni disegni, mi ordinò che io facessi per l'altar maggiore della detta sua chiesa del Bosco, e non una tavola, come s'usa comunemente, ma una machina grandissima quasi a guisa d'arco trionfale, con due tavole grandi, una dinanzi et una di dietro, et in pezzi minori circa trenta storie piene di molte figure che tutte sono a bonissimo termine condotte.
Nel qual tempo ottenni graziosamente da Sua Santità (mandandomi con infinita amorevolezza e favore le bolle espedite gratis) la erezione d'una cappella e decanato nella Pieve d'Arezzo, che è la cappella maggiore di detta Pieve, con mio padronato e della casa mia, dotata da me e di mia mano dipinta, et offerta alla bontà divina per una ricognizione (ancor che minima sia) del grande obligo c'ho con sua maiestà per infinite grazie e benefizii che s'è degnato farmi.
La tavola della quale, nella forma, è molto simile alla detta di sopra; il che è stato anche cagione in parte di ridurlami a memoria, perché è isolata et ha similmente due tavole, una già tocca di sopra nella parte dinanzi, et una della istoria di S.
Giorgio di dietro, messe in mezzo da quadri con certi Santi, e sotto in quadretti minori l'istorie loro che di quanto è sotto l'altare in una bellissima tomba i corpi loro con altre reliquie principali della città.
Nel mezzo viene un tabernacolo assai bene accomodato per il Sacramento, perché corrisponde a l'uno e l'altro altare, abellito di istorie del Vecchio e Nuovo Testamento, tutte approposito di quel misterio, come in parte s'è ragionato altrove.
Mi era anche scordato di dire che l'anno innanzi, quando andai la prima volta a baciargli i piedi, feci la via di Perugia, per mettere a suo luogo tre gran tavole fatte ai monaci neri di San Piero in quella città, per un loro refettorio.
In una cioè quella del mezzo sono le nozze di Cana Galilea, nelle quali Cristo fece il miracolo di convertire l'acqua in vino.
Nella seconda da man destra è Eliseo profeta, che fa diventar dolce con la farina l'amarissima olla, i cibi della quale guasti dalle coloquinte i suoi Profeti non potevano mangiare; e nella terza è S.
Benedetto, al quale annunziando un converso, in tempo di grandissima carestia e quando a punto mancava da vivere ai suoi monaci, che sono arrivati alcuni camelli carichi di farina alla porta, e' vede che gl'Angeli di Dio gli conducevano miracolosamente grandissima quantità di farina.
Alla signora Gentilina, madre del signor Chiappino e signor Paulo Vitelli, dipinsi in Fiorenza, e di lì le mandai a Città di Castello, una gran tavola, in cui è la coronazione di Nostra Donna, in alto un ballo d'Angeli, et a basso molte figure maggiori del vivo, la qual tavola fu posta in San Francesco di detta città.
Per la chiesa del Poggio a Caiano, villa del signor Duca, feci in una tavola Cristo morto in grembo alla madre, San Cosimo e San Damiano che lo contemplano, et un Angelo in aria, che piangendo mostra i misterii della Passione di esso Nostro Salvatore.
E nella chiesa del Carmine di Fiorenza fu posta, quasi ne' medesimi giorni, una tavola di mia mano nella cappella di Matteo e Simon Botti, miei amicissimi, nella quale è Cristo crucifisso, la Nostra Donna, San Giovanni e la Madalena, che piangono.
Dopo a Iacopo Capponi feci, per mandare in Francia, due gran quadri: in uno è la Primavera e nell'altro l'Autunno, con figure grandi e nuove invenzioni; et in un altro quadro maggiore un Cristo morto sostenuto da due Angeli e Dio Padre in alto.
Alle monache di Santa Maria Novella d'Arezzo mandai, pur di que' giorni, o poco avanti, una tavola, dentro la quale è la Vergine annunziata dall'Angelo, e dagli lati due Santi; et alle monache di Luco di Mugello, dell'Ordine di Camaldoli, un'altra tavola, che è nel loro coro di dentro, dove è Cristo crucifisso, la Nostra Donna, San Giovanni e Maria Madalena.
A Luca Torrigiani molto mio amorevolissimo e domestico, il quale desiderando, fra molte cose che ha dell'arte nostra, avere una pittura di mia mano propria, per tenerla appresso di sé, gli feci in un gran quadro Venere ignuda, con le tre Grazie attorno, che una gli acconcia il capo, l'altra gli tiene lo specchio e l'altra versa acqua in un vaso per lavarla; la qual pittura m'ingegnai condurla col maggiore studio e diligenza che io potei, sì per contentare non meno l'animo mio, che quello di sì caro e dolce amico.
Feci ancora a Antonio de' Nobili generale depositario di sua eccellenza e molto mio affezionato, oltre a un suo ritratto, sforzato contro alla natura mia di farne, una testa di Gesù Cristo, cavata dalle parole che Lentulo scrive della effigie sua, che l'una e l'altra fu fatta con diligenzia; e parimente un'altra alquanto maggiore, ma simile alla detta al signor Mondragone, primo oggi appresso a don Francesco de' Medici principe di Fiorenza e Siena, quale donai a sua signoria per esser egli molto affezionato alle virtù e nostre arti, a cagione che e' possa ricordarsi quando la vede che io lo amo e gli sono amico.
Ho ancora fra mano che spero finirlo presto un gran quadro cosa capricciosissima che deve servire per il signore Antonio Montalvo signore della Sassetta, degnamente primo cameriere e più intrinseco al Duca nostro e tanto a me amicissimo e dolce domestico amico per non dir superiore, che se la mano mi servirà alla voglia ch'io tengo di lasciargli di mia mano un pegno della affezione che io le porto, si conoscerà quanto io lo onori et abbia caro che la memoria di sì onorato e fedel signore amato da me, viva ne' posteri, poiché egli volentieri si affatica e favorisce tutti e' begli ingegni di questo mestiero o che si dilettino del disegno.
Al signor principe don Francesco ho fatto ultimamente due quadri, che ha mandati a Tolledo in Ispagna a una sorella della signora duchessa Leonora sua madre, e per sé un quadretto piccolo a uso di minio, con quaranta figure fra grandi e piccole, secondo una sua bellissima invenzione.
A Filippo Salviati ho finita, non ha molto, una tavola che va a Prato nelle suore di San Vincenzio, dove in alto è la Nostra Donna coronata, come allora giunta in cielo, et a basso gl'Apostoli intorno al sepolcro.
Ai monaci neri della Badia di Fiorenza dipingo similmente una tavola, che è vicina al fine, d'una Assunzione di Nostra Donna, e gl'Apostoli in figure maggiori del vivo, con altre figure dalle bande, e storie et ornamenti intorno, in nuovo modo accomodati.
E perché il signor Duca, veramente in tutte le cose eccellentissimo, si compiace non solo nell'edificazioni de' palazzi, città, fortezze, porti, logge, piazze, giardini, fontane, villaggi, et altre cose somiglianti, belle, magnifiche et utilissime, e comodo de' suoi popoli, ma anco sommamente in far di nuovo e ridurre a miglior forma e più bellezza, come catolico prencipe, i tempii e le sante chiese di Dio, a imitazione del gran re Salamone, ultimamente ha fattomi levare il tramezzo della chiesa di Santa Maria Novella, che gli toglieva tutta la sua bellezza, e fatto un nuovo coro e ricchissimo dietro l'altare maggiore, per levar quello che occupava nel mezzo gran parte di quella chiesa; il che fa parere quella una nuova chiesa bellissima, come è veramente.
E perché le cose, che non hanno fra loro ordine e proporzione, non possono eziandio essere belle interamente, ha ordinato che nelle navate minori si facciano, in guisa che corrispondano al mezzo degl'archi, e fra colonna e colonna, ricchi ornamenti di pietre con nuova foggia, che servino con i loro altari in mezzo per cappelle e sieno tutte d'una o due maniere.
E che poi nelle tavole che vanno dentro a' detti ornamenti, alte braccia sette e larghe cinque, si facciano le pitture a volontà e piacimento de' padroni di esse cappelle.
In uno dunque di detti ornamenti di pietra, fatti con mio disegno, ho fatto per monsignor reverendissimo Alessandro Strozzi vescovo di Volterra, mio vecchio et amorevolissimo padrone, un Cristo crucifisso, secondo la visione di Santo Anselmo, cioè con sette virtù, senza le quali non possiamo salire per sette gradi a Gesù Cristo, et altre considerazioni fatte dal medesimo maestro Andrea Pasquali, medico del signor Duca, ho fatto in uno di detti ornamenti la Ressurrezione di Gesù Cristo in quel modo che Dio mi ha inspirato, per compiacere esso maestro Andrea mio amicissimo.
Il medesimo ha voluto che si faccia questo gran Duca nella chiesa grandissima di Santa Croce di Firenze: cioè che si lievi il tramezzo, si faccia il coro dietro l'altar maggiore, tirando esso altare alquanto innanzi e ponendovi sopra un nuovo ricco tabernacolo per lo Santissimo Sacramento, tutto ornato d'oro, di storie e di figure; et oltre ciò, che nel medesimo modo che si è detto di Santa Maria Novella, vi si faccino quattordici cappelle a canto al muro, con maggior spesa et ornamento che le su dette, per essere questa chiesa molto maggiore che quella.
Nelle quali tavole, accompagnando le due del Salviati e Bronzino, ha da essere tutti i principali misterii del Salvatore dal principio della sua Passione insino a che manda lo Spirito Santo sopra gl'Apostoli.
La quale tavola della missione dello Spirito Santo, avendo fatto il disegno delle cappelle et ornamenti di pietre, ho io fra mano per Messer Agnolo Biffoli generale tesauriere di questi signori e mio singolare amico.
Ho finito non è molto due quadri grandi, che sono nel magistrato de' nove conservadori a canto a San Piero Scheraggio, in uno è la testa di Cristo e nell'altro una Madonna.
Ma perché troppo sarei lungo a volere minutamente raccontare molte altre pitture, disegni che non hanno numero, modelli e mascherate che ho fatto, e perché questo è a bastanza e da vantaggio, non dirò di me altro, se non che per grandi e d'importanza che sieno state le cose che ho messo sempre innanzi al duca Cosimo, non ho mai potuto aggiugnere, non che superare la grandezza dell'animo suo, come chiaramente vedrassi in una terza sagrestia, che vuol fare a canto a San Lorenzo, grande e simile a quella che già vi fece Michelagnolo, ma tutta di varii marmi mischi e musaico, per dentro chiudervi, in sepolcri onoratissimi e degni della sua potenza e grandezza, l'ossa de' suoi morti figliuoli, del padre, madre, della magnanima duchessa Leonora sua consorte e di sé.
Di che ho io già fatto un modello a suo gusto, e secondo che da lui mi è stato ordinato, il quale mettendosi in opera farà questa essere un nuovo mausoleo magnificentissimo e veramente reale.
E fin qui basti aver parlato di me, condotto con tante fatiche nella età d'anni cinquantacinque, e per vivere quanto piacerà a Dio con suo onore et in servizio sempre delli amici e quanto le mie forze potranno in uno commodo et augumento di queste nobilissime arti.
FINE DELLA VITA DI G.
V., PITTORE ET ARCHITETTO ARETINO
L'AUTORE AGL'ARTEFICI DEL DISEGNO
Onorati e nobili artefici, a pro e comodo de' quali principalmente io a così lunga fatica, la seconda volta messo mi sono, io mi veggio, col favore et aiuto della divina grazia, avere quello compiutamente fornito che io nel principio della presente mia fatica promisi di fare.
Per la qual cosa Iddio primieramente et appresso i miei signori ringraziando, che mi hanno onde io abbia ciò potuto fare comodamente conceduto, è da dare alla penna et alla mente faticata riposo, il che farò tosto che arò detto alcune cose brievemente.
Se adunque paresse ad alcuno che, talvolta, in scrivendo fussi stato anzi lunghetto et alquanto prolisso, l'avere io voluto più che mi sia stato possibile essere chiaro, e davanti altrui mettere le cose in guisa, che quello che non s'è inteso, o io non ho saputo dire così alla prima, sia per ogni modo manifesto.
E se quello che una volta si è detto è talora stato in altro luogo replicato, di ciò due sono state le cagioni: l'avere così richiesto la materia di cui si tratta, e l'avere io nel tempo che ho rifatta e si è l'opera ristampata, interrotto più d'una fiata per ispazio non dico di giorni, ma di mesi, lo scrivere, o per viaggi, o per soprabondanti fatiche, opere di pitture, disegni e fabriche; sanzaché a un par mio (il confesso liberamente) è quasi impossibile guardarsi da tutti gl'errori.
A coloro ai quali paresse che io avessi alcuni o vecchi o moderni troppo lodato, e che facendo comparazione da essi vecchi a quelli di questa età, se ne ridessero, non so che altro mi rispondere se non che intendo avere sempre lodato non semplicemente, ma, come s'usa dire, secondo che et avuto rispetto ai luoghi, tempi et altre somiglianti circonstanze; e nel vero, come che Giotto fusse, poniam caso, ne' suoi tempi lodatissimo, non so quello che di lui e d'altri antichi si fusse detto, se fussi stato al tempo del Buonarruoto; oltre che gl'uomini di questo secolo, il quale è nel colmo della perfezzione, non sarebbono nel grado che sono, se quelli non fussero prima stati tali e quel che furono innanzi a noi, et insomma credasi che quello che ho fatto in lodare, o biasimare, non l'ho fatto malagevolmente, ma solo per dire il vero, o quello che ho creduto che vero sia.
Ma non si può sempre aver in mano la bilancia dell'orefice, e chi ha provato che cosa è lo scrivere, e massimamente dove si hanno a fare comparazioni, che sono di loro natura odiose, o dar giudizio, mi averà per iscusato.
E ben so io quante sieno le fatiche, i disagi et i danari che ho speso in molti anni dietro a quest'opera.
E sono state tali e tante le difficultà che ci ho trovate, che più volte me ne sarei giù tolto per disperazione, se il soccorso di molti buoni e veri amici, ai quali sarò sempre obbligatissimo, non mi avessero fatto buon animo e confortatomi a seguitare, con tutti quegl'amorevoli aiuti che per loro si sono potuti, di notizie, e d'avisi, e riscontri di varie cose, delle quali, come che vedute l'avessi, io stava assai perplesso e dubbioso.
I quali aiuti sono veramente stati sì fatti, che io ho potuto puramente scoprire il vero e dare in luce quest'opera, per ravvivare la memoria di tanti rari e pellegrini ingegni, quasi del tutto sepolta et a benefizio di que' che dopo noi verranno.
Nel che fare mi sono stati, come altrove si è detto, di non piccolo aiuto gli scritti di Lorenzo Ghiberti, di Domenico Grillandai e di Raffaello da Urbino; ai quali se bene ho prestato fede, ho nondimeno sempre voluto riscontrare il lor dire con la veduta dell'opere, essendo che insegna la lunga pratica i solleciti dipintori a conoscere, come sapete, non altramente le varie maniere degl'artefici, che si faccia un dotto e pratico cancelliere i diversi e variati scritti de' suoi eguali, e ciascuno i caratteri de' suoi più stretti famigliari amici e congiunti.
Ora, se io averò conseguito il fine che io ho desiderato, che è stato di giovare et insiememente dilettare, mi sarà sommamente grato, e quando sia altrimenti mi sarà di contento, o almeno alleggiamento di noia, aver durato fatica in cosa onorevole, che dee farmi degno appo i virtuosi di pietà, non che perdono.
Ma per venire al fine oggimai di sì lungo ragionamento, io ho scritto come pittore, e con quell'ordine e modo che ho saputo migliore; e quanto alla lingua in quella ch'io parlo, o fiorentina, o toscana ch'ella sia, et in quel modo che ho saputo più facile et agevole, lasciando gl'ornati e lunghi periodi, la scelta delle voci e gli altri ornamenti del parlare e scrivere dottamente a chi non ha come ho io più le mani ai pennelli che alla penna, e più il capo ai disegni che allo scrivere.
E se ho seminati per l'opera molti vocaboli proprii delle nostre arti, dei quali non occorse per aventura servirsi ai più chiari e maggiori lumi della lingua nostra, ciò ho fatto per non poter far di manco, e per essere inteso da voi artefici, per i quali come ho detto mi sono messo principalmente a questa fatica.
Nel rimanente, avendo fatto quello che ho saputo, accettatelo volentieri, e da me non vogliate quel ch'io non so e non posso, appagandovi del buono animo mio, che è e sarà sempre di giovare e piacere altrui.
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