[Pagina precedente]...icendo che l'opere si fanno con le mani, non con la lingua, e che 'l buon disegno non sta nelle carte, ma nella perfezzione dell'opera finita nel sasso e, nel fine, ch'e' dovesse parlare di lui per l'avvenire con altro rispetto. Ma Baccio rispondendogli superbamente molte parole ingiuriose, non potette maestro Andrea più tollerare e corsegli addosso per ammazzarlo; ma da alcuni, che v'entraron di mezzo, gli fu levato dinanzi, onde forzato a partirsi da Loreto, fece portare la sua storia in Ancona, la quale venutagli a fastidio, se bene era vicino al fine, lasciandola imperfetta se ne partì.
Questa fu poi finita da Raffaello da Montelupo e fu posta insieme con l'altre di maestro Andrea, ma non già pari a loro di bontà , con tutto che così ancora sia degna di lode. Tornato Baccio a Roma, impetrò dal Papa per favore del cardinal Giulio de' Medici, solito a favorire le virtù et i virtuosi, che gli fusse dato a fare per lo cortile del palazzo de' Medici in Firenze alcuna statua, onde venuto in Firenze fece un Orfeo di marmo, il quale col suono e canto placa Cerbero e muove l'Inferno a pietà . Immitò in questa opera l'Appollo di Belvedere di Roma, e fu lodatissima meritamente perché, con tutto che l'Orfeo di Baccio non faccia l'attitudine d'Appollo di Belvedere, egli nondimeno immita molto propriamente la maniera del torso e di tutte le membra di quello. Finita la statua, fu fatta porre dal cardinale Giulio nel sopraddetto cortile, mentre che egli governava Firenze, sopra una basa intagliata, fatta da Benedetto da Rovezzano scultore. Ma perché Baccio non si curò mai dell'arte dell'architettura, non considerando lui l'ingegno di Donatello, il quale al Davitte che v'era prima aveva fatto una semplice colonna, su la quale posava l'imbasamento disotto fesso et aperto, a fine che chi passava di fuora vedesse dalla porta da via l'altra porta di dentro dell'altro cortile al dirimpetto; però non avendo Baccio questo accorgimento, fece porre la sua statua sopra una basa grossa e tutta massiccia, di maniera che ella ingombra la vista di chi passa e cuopre il vano della porta di dentro, sì che passando e' non si vede se 'l palazzo va più indietro o se finisce nel primo cortile.
Aveva il cardinal Giulio fatto sotto Monte Mario a Roma una bellissima vigna; in questa vigna volle porre due giganti e gli fece fare a Baccio di stucco, che sempre fu vago di far giganti: sono alti otto braccia e mettono in mezzo la porta che va nel salvatico e furno tenuti di ragionevol bellezza. Mentre che Baccio attendeva a queste cose, non mai abbandonando per suo uso il disegnare, fece a Marco da Ravenna et Agostino Viniziano, intagliatori di stampe, intagliare una storia disegnata da lui in una carta grandissima nella quale era l'occisione de' fanciulli innocenti fatti crudelmente morire da Erode, la quale essendo stata da lui ripiena di molti ignudi, di masti e di femmine, di fanciulli vivi e morti e di diverse attitudini di donne e di soldati, fece conoscere il buon disegno che aveva nelle figure e l'intelligenza de' muscoli e di tutte le membra, e gli recò per tutta Europa gran fama. Fece ancora un bellissimo modello di legno, e le figure di cera per una sepoltura al re d'Inghilterra, la quale non sortì poi l'effetto da Baccio, ma fu data a Benedetto da Rovezzano scultore, che la fece di metallo.
Era tornato di Francia il cardinale Bernardo Divizio da Bibbiena, il quale vedendo che 'l re Francesco non aveva cosa alcuna di marmo né antica né moderna, e se ne dilettava molto, aveva promesso a sua maestà di operare col Papa sì che qualche cosa bella gli manderebbe. Dopo questo cardinale vennero al Papa due ambasciadori dal re Francesco, i quali vedute le statue di Belvedere, lodarono quanto lodar si possa il Laoconte. Il cardinal de' Medici e Bibbiena che erano con loro, domandorono se il re arebbe cara una simile cosa; risposono che sarebbe troppo gran dono. Allora il cardinale gli disse: "A sua maestà si manderà o questo o un simile che non ci sarà differenza". E risolutosi di farne fare un altro a immitazione di quello, si ricordò di Baccio, e mandato per lui lo domandò se gli bastava l'animo di fare un Laoconte pari al primo. Baccio rispose che non che farne un pari gli bastava l'animo di passare quello di perfezzione. Risolutosi il cardinale che vi si mettesse mano, Baccio mentre che i marmi ancora venivano, ne fece uno di cera, che fu molto lodato; et ancora ne fece un cartone di biacca e carbone della grandezza di quello di marmo. Venuti i marmi e Baccio avendosi fatto in Belvedere fare una turata con un tetto per lavorare, dette principio a uno de' putti del Laoconte, che fu il maggiore, e lo condusse di maniera, che 'l Papa e tutti quegli che se ne intendevano rimasono satisfatti, perché dall'antico al suo non si scorgeva quasi differenza alcuna. Ma avendo messo mano all'altro fanciullo et alla statua del padre, che è nel mezzo, non era ito molto avanti, quando morì il Papa. Creato di poi Adriano Sesto, se ne tornò col cardinale a Firenze, dove s'intratteneva intorno agli studi del disegno; morto Adriano VI e creato Clemente Settimo, andò Baccio in poste a Roma per giugnere alla sua incoronazione, nella quale fece statue e storie di mezzo rilievo per ordine di Sua Santità . Consegnategli di poi dal Papa stanze e provisione, ritornò al suo Laoconte, la quale opera con due anni di tempo fu condotta da lui con quella eccellenza maggiore che egli adoperasse già mai. Restaurò ancora l'antico Laoconte del braccio destro, il quale essendo tronco e non trovandosi, Baccio ne fece uno di cera grande che corrispondeva co' muscoli e con la fierezza e maniera all'antico e con lui s'univa di sorte, che mostrò quanto Baccio intendeva dell'arte, e questo modello gli servì a fare l'intero braccio al suo. Parve questa opera tanto buona a Sua Santità , che egli mutò pensiero et al re si risolvé mandare altre statue antiche e questa a Firenze, et al cardinale Silvio Passerino cortonese legato in Fiorenza, il quale allora governava la città , ordinò che ponesse il Laoconte nel palazzo de' Medici nella testa del secondo cortile, il che fu l'anno 1525. Arrecò questa opera gran fama a Baccio, il quale, finito il Laoconte, si dette a disegnare una storia in un foglio reale aperto per satisfare a un disegno del Papa, il quale era di far dipignere nella cappella maggiore di San Lorenzo di Firenze il martirio di San Cosimo e Damiano in una faccia, e nell'altra quello di San Lorenzo quando da Decio fu fatto morire su la graticola. Baccio addunque l'istoria di San Lorenzo disegnando sottilissimamente, nella quale immitò con molta ragione et arte vestiti et ignudi et atti diversi de' corpi e delle membra e varii esercizii di coloro che intorno a San Lorenzo stavano al crudele ufficio e particularmente l'empio Decio, che con minaccioso volto affretta il fuoco e la morte all'innocente martire, il quale alzando un braccio al cielo raccomanda lo spirito suo a Dio; così con questa storia satisfece tanto Baccio al Papa, che egli operò che Marcantonio Bolognese la 'ntagliasse in rame, il che da Marcantonio fu fatto con molta diligenza et il Papa donò a Baccio per ornamento della sua virtù un cavalier di San Piero. Dopo questo, tornatosene a Firenze, trovò Giovanfrancesco Rustici, suo primo maestro, dipigneva un'istoria d'una conversione di San Pagolo. Per la qual cosa prese a fare a concorrenza del suo maestro, in un cartone, una figura ignuda d'un San Giovanni giovane nel diserto, il quale tiene un agnello nel braccio sinistro et il destro alza al cielo. Fatto di poi fare un quadro, si messe a colorirlo e finito che fu, lo pose a mostra su la bottega di Michelagnolo suo padre, dirimpetto allo sdrucciolo che viene da Orsanmichele in Mercato Nuovo. Fu dagli artefici lodato il disegno, ma il colorito non molto, per avere del crudo e non con bella maniera dipinto, ma Baccio lo mandò a donare a papa Clemente, et egli lo fece porre in guardaroba, dove ancora oggi si trova.
Era fino al tempo di Leone X stato cavato a Carrara, insieme co' marmi della facciata di S. Lorenzo di Firenze, un altro pezzo di marmo alto braccia nove e mezzo e largo cinque braccia da piè. In questo marmo Michelagnolo Buonarroti aveva fatto pensiero di far un gigante in persona d'Ercole che uccidesse Cacco per metterlo in piazza a canto al Davitte gigante, fatto già prima da lui, per essere l'uno e l'altro Davitte et Ercole insegna del palazzo, e fattone più disegni e variati modelli, aveva cerco d'avere il favore di papa Leone e del cardinale Giulio de' Medici, perciò che diceva che quel Davitte aveva molti difetti causati da maestro Andrea scultore che l'aveva prima abbozzato e guasto. Ma per la morte di Leone rimase allora indietro la facciata di S. Lorenzo e questo marmo; ma di poi a papa Clemente essendo venuta nuova voglia di servirsi di Michelagnolo per le sepolture degli eroi di casa Medici, le quali voleva che si facessino nella sagrestia di San Lorenzo, bisognò di nuovo cavare altri marmi. Delle spese di queste opere teneva i conti e ne era capo Domenico Boninsegni; costui tentò Michelagnolo a far compagnia seco segretamente sopra del lavoro di quadro della facciata di San Lorenzo. Ma ricusando Michelagnolo e non piacendogli che la virtù sua s'adoperasse in defraudando il Papa, Domenico gli pose tanto odio, che sempre andava opponendosi alle cose sue per abbassarlo e noiarlo, ma ciò copertamente faceva. Operò addunque che la facciata si dimettesse e si tirasse innanzi la sagrestia, le quali diceva che erano due opere da tenere occupato Michelagnolo molti anni. Et il marmo da fare il gigante persuase il Papa che si desse a Baccio, il quale allora non aveva che fare, dicendo che Sua Santità per questa concorrenza di due sì grandi uomini sarebbe meglio e con più diligenza e prestezza servita, stimolando l'emulazione l'uno e l'altro all'opera sua. Piacque il consiglio di Domenico al Papa, e secondo quello si fece. Baccio, ottenuto il marmo, fece un modello grande di cera che era Ercole, il quale avendo rinchiuso il capo di Cacco con un ginocchio tra due assi, col braccio sinistro lo strigneva con molta forza, tenendoselo sotto fra le gambe rannicchiato in attitudine travagliata, dove mostrava Cacco il patire suo e la violenza e 'l pondo d'Ercole sopra di sé, che gli faceva scoppiare ogni minimo muscolo per tutta la persona. Parimente Ercole con la testa chinata verso il nimico appresso e digrignando e strignendo i denti, alzava il braccio destro e con molta fierezza rompendogli la testa gli dava col bastone l'altro colpo. Inteso che ebbe Michelagnolo che 'l marmo era dato a Baccio, ne sentì grandissimo dispiacere, e per opera che facesse intorno a ciò, non potette mai volgere il Papa in contrario, sì fattamente gli era piaciuto il modello di Baccio, al quale s'aggiugnevano le promesse et i vanti, vantandosi lui di passare il Davitte di Michelagnolo et essendo ancora aiutato dal Boninsegni, il quale diceva che Michelagnolo voleva ogni cosa per sé. Così fu priva la città d'un ornamento raro, quale indubitatamente sarebbe stato quel marmo informato dalla mano del Buonarroto. Il sopra detto modello di Baccio si truova oggi nella guardaroba del duca Cosimo et è da lui tenuto carissimo e dagli artefici cosa rara.
Fu mandato Baccio a Carrara a veder questo marmo et a' capomaestri dell'Opera di Santa Maria del Fiore si dette commessione che lo conducessino per acqua insino a Signa su per lo fiume d'Arno. Quivi condotto il marmo vicino a Firenze a otto miglia, nel cominciare a cavarlo del fiume per condurlo per terra, essendo il fiume basso da Signa a Firenze, cadde il marmo nel fiume, e tanto per la sua grandezza s'affondò nella rena, che i capomaestri non potettero per ingegni che usassero trarnelo fuora; per la qual cosa, volendo il Papa che 'l marmo si riavesse in ogni modo, per ordine dell'Opera, Piero Rosselli murator vecchio et ingegnoso s'adoperò di maniera, che rivolto il corso dell'acqua per altra via e sgrottata la ripa del fiume, con lieve et argani smosso lo tra...
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