[Pagina precedente]...et atto a ciò, oggi attende ai condotti dell'acqua di Fiorenza, di Pisa e di tutti gl'altri luoghi del dominio, secondo che piace a sua eccellenza.
IL FINE DELLA VITA DI NICCOLÃ’, DETTO IL TRIBOLO
VITA DI PIERINO DA VINCI SCULTORE
Benché coloro si sogliono celebrare i quali hanno virtuosamente adoperato alcuna cosa, nondimeno se le già fatte opere da alcuno mostrano le non fatte, che molte sarebbono state e molto più rare, se caso inopinato e fuor dell'uso comune non accadeva che le 'nterroppe, certamente costui, ove sia chi dell'altrui virtù voglia essere giusto estimatore, così per l'una come per l'altra parte e per quanto e' fece, e per quel che fatto arebbe, meritamente sarà lodato e celebrato. Non doverranno addunque al Vinci scultore nuocere i pochi anni che egli visse e torgli le degne lode nel giudizio di coloro che dopo noi verranno, considerando che egli allora fioriva e d'età e di studii, quando quel che ognuno ammira, fece e diede al mondo, ma era per mostrarne più copiosamente i frutti, se tempesta nimica i frutti e la pianta non isveglieva.
Ricordomi d'aver altra volta detto che nel castello di Vinci nel Valdarno di sotto fu ser Piero padre di Lionardo da Vinci pittore famosissimo. A questo ser Piero nacque, dopo Lionardo, Bartolomeo ultimo suo figliuolo, il quale standosi a Vinci e venuto in età , tolse per moglie una delle prime giovane del castello. Era desideroso Bartolomeo d'avere un figliuol mastio, e narrando molte volte alla moglie la grandezza dell'ingegno che aveva avuto Lionardo suo fratello, pregava Iddio che la facesse degna che per mezzo di lei nascesse in casa sua un altro Lionardo, essendo quello già morto. Natogli adunque in breve tempo, secondo il suo desiderio, un grazioso fanciullo, gli voleva porre il nome di Lionardo, ma consigliato da' parenti a rifare il padre, gli pose nome Piero. Venuto nell'età di tre anni, era il fanciullo di volto bellissimo e ricciuto e molta grazia mostrava in tutti i gesti e vivezza d'ingegno mirabile. In tanto che venuto a Vinci et in casa Bartolomeo alloggiato maestro Giuliano del Carmine, astrologo eccellente, e seco un prete chiromante, che erano amendue amicissimi di Bartolomeo, e guardata la fronte e la mano del fanciullo, predissono al padre, l'astrologo e 'l chiromante insieme, la grandezza dell'ingegno suo e che egli farebbe in poco tempo profitto grandissimo nell'arti mercuriali, ma che sarebbe brevissima la vita sua. E troppo fu vera la costor profezia, perché nell'una parte e nell'altra (bastando in una), nell'arte e nella vita si volle adempiere.
Crescendo di poi Piero, ebbe per maestro nelle lettere il padre, ma da sé senza maestro, datosi a disegnar et a fare cotali fantoccini di terra, mostrò che la natura e la celeste inclinazione conosciuta dall'astrologo e dal chiromante già si svegliava e cominciava in lui a operare. Per la qual cosa Bartolomeo giudicò che 'l suo voto fusse esaudito da Dio; e parendogli che 'l fratello gli fusse stato renduto nel figliuolo, pensò a levare Piero da Vinci e condurlo a Firenze. Così fatto adunque senza indugio, pose Piero, che già era di dodici anni, a star col Bandinello in Firenze, promettendosi che 'l Bandinello, come amico già di Lionardo, terrebbe conto del fanciullo e gl'insegnerebbe con diligenza, perciò che gli pareva che egli più della scultura si dilettasse che della pittura. Venendo di poi più volte in Firenze, conobbe che 'l Bandinello non corrispondeva co' fatti al suo pensiero e non usava nel fanciullo diligenza, né studio, con tutto che pronto lo vedesse all'imparare. Per la qual cosa toltolo al Bandinello, lo dette al Tribolo, il quale pareva a Bartolomeo che più s'ingegnasse d'aiutare coloro i quali cercavano d'imparare e che più attendesse agli studii dell'arte e portasse ancora più affezzione alla memoria di Lionardo. Lavorava il Tribolo a Castello, villa di sua eccellenza, alcune fonti, là dove Piero, cominciato di nuovo al suo solito a disegnare, per aver quivi la concorrenza degl'altri giovani che teneva il Tribolo, si messe con molto ardore d'animo a studiare il dì e la notte, spronandolo la natura desiderosa di virtù e d'onore e maggiormente accendendolo l'essempio degli altri pari a sé, i quali tuttavia si vedeva intorno. Onde in pochi mesi acquistò tanto, che fu di maraviglia a tutti, e cominciato a pigliar pratica in su' ferri, tentava di vedere se la mano e lo scarpello obbediva fuori alla voglia di dentro et a' disegni suoi dell'intelletto. Vedendo il Tribolo questa sua prontezza et appunto avendo fatto allora fare un acquaio di pietra per Cristofano Rinieri, dette a Piero un pezzetto di marmo, del quale egli facesse un fanciullo per quell'acquaio, che gettasse acqua dal membro virile. Piero, preso il marmo con molta allegrezza e fatto prima un modelletto di terra, condusse poi con tanta grazia il lavoro, che 'l Tribolo e gli altri feciono coniettura che egli riuscirebbe di quegli che si truovano rari nell'arte sua. Dettegli poi a fare un mazzocchio ducale di pietra sopra un'arme di palle per Messer Pierfrancesco Riccio, maiordomo del Duca, et egli lo fece con due putti, i quali intrecciandosi le gambe insieme, tengono il mazzocchio in mano e lo pongono sopra l'arme, la quale è posta sopra la porta d'una casa, che allora teneva il maiordomo dirimpetto a San Giuliano allato a' preti di Sant'Antonio. Veduto questo lavoro, tutti gli artefici di Firenze feciono il medesimo giudizio ch'el Tribolo aveva fatto innanzi.
Lavorò dopo questo un fanciullo che stringe un pesce che getta acqua per bocca, per le fonti di Castello, et avendogli dato il Tribolo un pezzo di marmo maggiore, ne cavò Piero due putti che s'abbracciano l'un l'altro, e strignendo pesci, gli fanno schizzare acqua per bocca. Furono questi putti sì graziosi nelle teste e nella persona e con sì bella maniera condotti di gambe, di braccia e di capelli, che già si potette vedere che egli arebbe condotto ogni difficile lavoro a perfezzione. Preso addunque animo e comperato un pezzo di pietra bigia lungo due braccia e mezzo e condottolo a casa sua, al canto alla Briga, cominciò Piero a lavorarlo la sera quando tornava e la notte et i giorni delle feste, intanto che a poco a poco lo condusse al fine. Era questa una figura di Bacco, che aveva un satiro a' piedi, e con una mano tenendo una tazza, nell'altra aveva un grappolo d'uva e 'l capo le cingeva una corona d'uva secondo un modello fatto da lui stesso di terra. Mostrò in questo e negli altri suoi primi lavori Piero un'agevolezza maravigliosa, la quale non offende mai l'occhio, né in parte alcuna è molesta a chi riguarda. Finito questo Bacco, lo comperò Bongianni Capponi et oggi lo tiene Lodovico Capponi suo nipote in una sua corte.
Mentre che Piero faceva queste cose, pochi sapevano ancora che egli fusse nipote di Lionardo da Vinci, ma facendo l'opere sue lui noto e chiaro, di qui si scoperse insieme il parentado e 'l sangue, laonde tuttavia dappoi sì per l'origine del zio e sì per la felicità del proprio ingegno, col quale e' rassomigliava tanto uomo, fu per innanzi non Piero, ma da tutti chiamato il Vinci. Il Vinci addunque, mentre che così si portava, più volte e da diverse persone aveva udito ragionare delle cose di Roma appartenenti all'arte e celebrarle, come sempre da ognuno si fa; onde in lui s'era un grande desiderio acceso di vederle, sperando d'averne a cavare profitto, non solamente vedendo l'opere degli antichi, ma quelle di Michelagnolo e lui stesso allora vivo e dimorante in Roma. Andò addunque in compagnia d'alcuni amici suoi, e veduta Roma, e tutto quello che egli desiderava, se ne tornò a Firenze, considerato giudiziosamente che le cose di Roma erano ancora per lui troppo profonde e volevano esser vedute et immitate non così ne' principii, ma dopo maggior notizia dell'arte. Aveva allora il Tribolo finito un modello del fuso della fonte del laberinto, nel quale sono alcuni satiri di basso rilievo e quattro maschere mezzane e quattro putti piccoli tutti tondi che seggono sopra certi viticci. Tornato addunque il Vinci, gli dette il Tribolo a fare questo fuso, et egli lo condusse e finì, facendovi dentro alcuni lavori gentili non usati da altri che da lui, i quali molto piacevano a ciascuno che gli vedeva. Avendo il Tribolo fatto finire tutta la tazza di marmo di quella fonte, pensò di fare in su l'orlo di quella quattro fanciulli tutti tondi, che stessino a giacere e scherzassino con le braccia e con le gambe nell'acqua con varii gesti, per gettargli poi di bronzo. Il Vinci per commessione del Tribolo gli fece di terra, i quali furono poi gettati di bronzo da Zanobi Lastricati scultore e molto pratico nelle cose di getto, e furono posti, non è molto tempo, intorno alla fonte, che sono cosa bellissima a vedere.
Praticava giornalmente col Tribolo Luca Martini, proveditore allora della muraglia di Mercato Nuovo, il quale desiderando di giovare al Vinci, lodando molto il valore dell'arte e la bontà de' costumi in lui, gli provvedde un pezzo di marmo alto due terzi e lungo un braccio et un quarto. Il Vinci preso il marmo, vi fece dentro un Cristo battuto alla colonna, nel quale si vede osservato l'ordine del basso rilievo e del disegno, e certamente egli fece maravigliare ognuno, considerando che egli non era pervenuto ancora a diciassette anni dell'età sua et in cinque anni di studio aveva acquistato quello nell'arte che gli altri non acquistano se non con lunghezza di vita e con grande sperienza di molte cose. In questo tempo il Tribolo, avendo preso l'ufficio del capomaestro delle fogne della città di Firenze, secondo il quale ufficio ordinò che la fogna della piazza vecchia di Santa Maria Novella s'alzasse da terra, acciò che più essendo capace, meglio potesse ricevere tutte l'acque che da diverse parti a lei concorrono, per questo addunque commesse al Vinci, che facesse un modello d'un mascherone di tre braccia il quale, aprendo la bocca, inghiottisse l'acque piovane. Di poi per ordine degli ufficiali della torre, allogata quest'opera al Vinci, egli, per condurla più presto chiamato Lorenzo Marignolli scultore, in compagnia di costui la finì in un sasso di pietra forte, e l'opera è tale, che con utilità non piccola della città tutta quella piazza adorna.
Già pareva al Vinci avere acquistato tanto nell'arte, che il vedere le cose di Roma maggiori et il praticare cogli artefici che sono quivi eccellentissimi, gli apporterebbe gran frutto; però porgendosi occasione d'andarvi, la prese volentieri. Era venuto Francesco Bandini da Roma, amicissimo di Michelagnolo Buonarroti; costui per mezzo di Luca Martini conosciuto il Vinci, e lodatolo molto, gli fece fare un modello di cera d'una sepoltura, la quale voleva fare di marmo alla sua cappella in Santa Croce, e poco dopo, nel suo ritorno a Roma, perciò che il Vinci aveva scoperto l'animo suo a Luca Martini, il Bandino lo menò seco, dove studiando tuttavia dimorò un anno e fece alcune opere degne di memoria. La prima fu un Crocifisso di basso rilievo, che rende l'anima al Padre, ritratto da un disegno fatto da Michelagnolo. Fece al cardinal Ridolfi un petto di bronzo per una testa antica et una Venere di basso rilievo di marmo, che fu molto lodato. A Francesco Bandini racconciò un cavallo antico, al quale molti pezzi mancavano e lo ridusse intero. Per mostrare ancora qualche segno di gratitudine, dove egli poteva, inverso Luca Martini, il quale gli scriveva ogni spaccio e lo raccomandava di continovo al Bandino, parve al Vinci di far di cera tutto tondo e di grandezza di dua terzi il Moisè di Michelagnolo, il quale è in San Piero in Vincola alla sepoltura di papa Giulio Secondo, che non si può vedere opera più bella di quella. Così fatto di cera il Moisè, lo mandò a donare a Luca Martini.
In questo tempo che 'l Vinci stava a Roma e le dette cose faceva, Luca Martini fu fatto dal Duca di Firenze proveditore di Pisa, e nel suo ufficio non si scordò dell'amico suo, per che scrivendogli che gli preparava la stanza e provvedeva un marmo di tre braccia, sì che egli se ne t...
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