[Pagina precedente]...a quale il Tribolo fece alcune cose di terra per i suoi amici e per Andrea del Sarto suo amicissimo, tre figure di cera tonde, delle quali esso Andrea si servì nel dipigner in fresco e ritrarre di naturale in piazza presso alla condotta tre capitani che si erano fuggiti con le paghe, apiccati per un piede, chiamato Benvenuto dal Papa, andò a Roma a baciar i piedi a Sua Santità e da lui fu messo a custodia di Belvedere con onorata provisione. Nel qual governo avendo Benvenuto spesso ragionamenti col Papa, non mancò, quando di ciò far gli venne occasione, di celebrare il Tribolo, come scultore eccellente e raccomandarlo caldamente. Di maniera che Clemente, finito l'assedio, se ne servì; per che, disegnando dar fine alla cappella di Nostra Donna da Loreto stata cominciata da Leone e poi tralasciata per la morte d'Andrea Contucci dal Monte a San Sovino, ordinò che Antonio da Sangallo, il quale aveva cura di condurre quella fabbrica, chiamasse il Tribolo, e gli desse a finire di quelle storie che maestro Andrea aveva lasciato imperfette. Chiamato dunque il Tribolo dal Sangallo d'ordine di Clemente, andò con tutta la sua famiglia a Loreto dove, essendo andato similmente Simone nominato il Mosca, rarissimo intagliator di marmi, Raffaello Montelupo, Francesco da Sangallo il Giovane, Girolamo Ferrarese scultore discepolo di maestro Andrea, e Simone Cioli, Ranieri da Pietrasanta e Francesco dal Tadda per dar fine a quell'opera, toccò al Tribolo, nel compartirsi i lavori, come cosa di più importanza, una storia dove maestro Andrea aveva fatto lo sposalizio di Nostra Donna, onde, facendole il Tribolo una giunta, gli venne capriccio di far, fra molte figure che stanno a vedere sposare la Vergine, uno che rompe tutto pieno di sdegno la sua mazza, perché non era fiorita, e gli riuscì tanto bene, che non potrebbe colui con più prontezza mostrar lo sdegno che ha di non aver avuto egli così fatta ventura. La quale opera finita e quelle degli altri ancora con molta perfezzione, aveva il Tribolo già fatto molti modelli di cera per far di quei profeti, che andavano nelle nicchie di quella cappella già murata e finita del tutto, quando papa Clemente, avendo veduto tutte quell'opere e lodatole molto, e particolarmente quella del Tribolo, deliberò che tutti senza perdere tempo tornassino a Firenze, per dar fine, sotto la disciplina di Michelagnolo Buonarroti, a tutte quelle figure che mancavano alla sagrestia e libreria di S. Lorenzo et a tutto il lavoro, secondo i modelli e con l'aiuto di Michelagnolo quanto più presto acciò finita la sagrestia tutti potessero, mediante l'acquisto fatto sotto la disciplina di tant'uomo, finir similmente la facciata di San Lorenzo. E perché a ciò fare punto non si tardasse, rimandò il Papa Michelagnolo a Firenze, e con esso lui fra' Giovanni Agnolo de' Servi, il quale aveva lavorato alcune cose in Belvedere, acciò gl'aiutasse a traforar i marmi e facesse alcune statue, secondo che gl'ordinasse esso Michelagnolo, il quale diede a far un San Cosimo che insieme con un San Damiano allogato al Montelupo doveva metter in mezzo la Madonna. Date a far queste, volle Michelagnolo che il Tribolo facesse due statue nude, che avevano a metter in mezzo quella del duca Giuliano che già aveva fatta egli, l'una figurata per la Terra coronata di cipresso che dolente et a capo chino piangesse con le braccia aperte la perdita del duca Giuliano, e l'altra per lo Cielo, che con le braccia elevate tutto ridente e festoso mostrasse esser allegro dell'ornamento e splendore che gli recava l'anima e lo spirito di quel signore. Ma la cattiva sorte del Tribolo se gl'attraversò quando appunto voleva cominciar a lavorare la statua della Terra, perché, o fusse la mutazione dell'aria, o la sua debole complessione, o l'aver disordinato nella vita, s'ammalò di maniera che, convertitasi l'infermità in quartana, se la tenne adosso molti mesi con incredibile dispiacer di sé, che non era men tormentato dal dolor d'aver tralasciato il lavoro e dal vedere che il frate e Raffaello avevano preso campo, che dal male stesso; il quale male volendo egli vincer per non rimaner dietro agl'emuli suoi, de' quali sentiva far ogni giorno più celebre il nome, così indisposto fece di terra il modello grande della statua della Terra, e finitolo, cominciò a lavorare il marmo con tanta diligenza e sollecitudine, che già si vedeva scoperta tutta la banda dinanzi la statua, quando la fortuna, che a' bei principii sempre volentieri contrasta, con la morte di Clemente, allora che meno si temeva, troncò l'animo a tanti eccellenti uomini che speravano sotto Michelagnolo con utilità grandissime acquistarsi nome immortale e perpetua fama. Per questo accidente, stordito il Tribolo e tutto perduto d'animo essendo anche malato, stava di malissima voglia non vedendo né in Firenze né fuori poter dare in cosa che per lui fosse; ma Giorgio Vasari, che fu sempre suo amico e l'amò di cuor et aiutò quanto gli fu possibile, lo confortò con dirgli che non si smarisse, perché farebbe in modo che il duca Alessandro gli darebbe che fare, mediante il favore del Magnifico Ottaviano de' Medici, col quale gli aveva fatto pigliar assai stretta servitù; onde egli ripreso un poco d'animo, ritrasse di terra nella sagrestia di San Lorenzo, mentre s'andava pensando al bisogno suo, tutte le figure che aveva fatto Michelagnolo di marmo, cioè l'Aurora, il Crepuscolo, il Giorno e la Notte, e gli riusciron così ben fatte, che monsignor Giovan Batista Figiovanni priore di San Lorenzo, al quale donò la Notte perché gli faceva aprir la sagrestia, giudicandola cosa rara, la donò al duca Alessandro, che poi la diede al detto Giorgio, che stava con sua eccellenza, sapendo che egli attendeva a cotali studi; la qual figura è oggi in Arezzo nelle sue case, con altre cose dell'arte.
Avendo poi il Tribolo ritratto di terra parimente la Nostra Donna fatta da Michelagnolo per la medesima sagrestia, la donò al detto Magnifico Ottaviano de' Medici, il quale le fece fare da Batista del Cinque un ornamento bellissimo di quadro, con colonne, mensole, cornici et altri intagli molto ben fatti. Intanto col favore di lui che era depositario di sua eccellenza, fu dato da Bertoldo Casini, proveditor della fortezza che si murava allora, delle tre arme che secondo l'ordine del Duca s'avevano a far, per metterne una a ciascun baluardo, a farne una di quattro braccia al Tribolo con due figure nude, figurate per due vettorie, la qual arme, condotta con prestezza e diligenza grande e con una giunta di tre mascheroni che sostengono l'arme e le figure, piacque tanto al Duca, che pose al Tribolo amore grandissimo: per che, essendo poco appresso andato a Napoli il Duca per difendersi, innanzi a Carlo Quinto imperatore tornato allora da Tunisi, da molte calunnie dategli da alcuni suoi cittadini, et essendosi non pur difeso, ma avendo ottenuto da Sua Maestà per donna la signora Margherita d'Austria sua figliuola, scrisse a Firenze che si ordinassero quattro uomini, i quali per tutta la città facessero far ornamenti magnifici e grandissimi per ricever con magnificenza conveniente l'imperatore che veniva a Firenze. Onde avendo io a distribuir i lavori di commissione di sua eccellenza che ordinò che io intervenissi con i detti quattro uomini, che furono Giovanni Corsi, Luigi Guicciardini, Palla Rucellai et Alessandro Corsini, diedi a fare al Tribolo le maggiori e più difficili imprese di quella festa, e furono quattro statue grandi: la prima un Ercole in atto d'aver occiso l'Idra, alto sei braccia e tutto tondo et inargentato, in quale fu posto in quell'angolo della piazza di San Felice, che è nella fine di via Maggio, con questo motto di lettere d'argento nel basamento: "Ut Hercules labore et aerumnis monstra edomuit, ita Caesar virtute et clementia, hostibus victis seu placatis, pacem orbi terrarum et quietem restituit". L'altre furono due colossi d'otto braccia, l'uno figurato per lo fiume Bagrada che si posava su la soglia di quel serpente, che fu portato a Roma, e l'altro per l'Ibero con il corno d'Amaltea in una mano e con un timone nell'altra, coloriti come se fussero stati di bronzo, con queste parole ne' basamenti, cioè sotto l'Ibero: "Hiberus ex Hispania", e sotto l'altro: "Bagradas ex Africa". La quarta fu una statua di braccia cinque, in sul canto de' Medici, figurata per la Pace, la quale aveva in una mano un ramo d'oliva e nell'altra una face accesa, che metteva fuoco in un monte d'arme poste in sul basamento dov'ell'era collocata, con queste parole: "Fiat pax in virtute tua". Non dette il fine che aveva disegnato al cavallo di sette braccia lungo, che si fece in sulla piazza di S. Trinita, sopra la quale aveva a essere la statua dell'imperatore armato, perché, non avendo il Tasso intagliator di legname, suo amicissimo, usato prestezza nel fare il basamento e l'altre cose, che vi andavano di legni intagliati, come quello che si lasciava fuggire di mano il tempo ragionando e burlando, a fatica si fu a tempo a coprire di stagnuolo, sopra la terra ancor fresca, il cavallo solo, nel cui basamento si leggevano queste parole: "Imperatori Carolo Augusto, victoriosissimo, post devictos hostes, Italiae pace restituta et salutato Ferdinando frate, expulsis iterum Turcis, Africaque perdomita, Alexander Medici dux Florentiae dedicavit".
Partita sua maestà di Firenze, si diede principio, aspettandosi la figliuola, al preparamento delle nozze, e perché potesse alloggiare ella e la veceregina di Napoli che era in sua compagnia, secondo l'ordine di sua eccellenza, in casa Messer Ottaviano de' Medici comodamente, fatta in quattro settimane con stupore d'ognuno una giunta alle sue case vecchie, il Tribolo, Andrea di Cosimo pittore et io, in dieci dì con l'aiuto di circa novanta scultori e pittori della città fra garzoni e maestri, demmo compimento, quanto alla casa et ornamenti di quella, all'apparecchio delle nozze dipignendo le logge, i cortili e gl'altri ricetti di quella, secondo che a tante nozze conveniva. Nel quale ornamento fece il Tribolo, oltre all'altre cose, intorno alla porta principale due vittorie di mezzo rilievo, sostenute da due termini grandi, le quali reggevano un'arme dell'imperator, pendente dal collo d'un'aquila tutta tonda molto bella. Fece ancora il medesimo certi putti, pur tutti tondi e grandi, che sopra i frontespizii d'alcune porte mettevano in mezzo certe teste, che furono molto lodati. Intanto ebbe lettere il Tribolo da Bologna mentre si facevano le nozze, per le quali Messer Pietro del Magno, suo grande amico, lo pregava fusse contento andare a Bologna a far alla Madonna di Galina, dove era già fatto un ornamento bellissimo di marmo, una storia di braccia tre e mezzo pur di marmo, perché il Tribolo non si trovando aver allora altro che far, andò, e fatto il modello d'una Madonna che saglie in cielo, e sotto i dodici Apostoli in varie attitudini, che piacque essendo bellissima, mise mano a lavorare, ma con poca sua sodisfazione perché, essendo il marmo che lavorava di quelli di Milano, saligno, smeriglioso e cattivo, gli pareva gettar via il tempo, senza una dilettazione al mondo di quelle che si hanno nel lavorare, i quali si lavorano con piacere et in ultimo condotti mostrano una pelle che par propriamente di carne. Pur tanto fece, ch'ell'era già quasi che finita quando io, avendo disposto il duca Alessandro a far tornar Michelagnolo da Roma e gl'altri per finire l'opera della sagrestia cominciata da Clemente, dissegnava dargli che fare a Firenze e mi sarebbe riuscito, ma in quel mentre sopravenendo la morte d'Alessandro che fu amazzato da Lorenzo di Pier Francesco de' Medici, rimase impedito non pure questo disegno, ma disperata del tutto la felicità e la grandezza dell'arte.
Intesa adunque il Tribolo la morte del Duca, se ne dolse meco per sue lettere, pregandomi, poi che m'ebbe confortato a portar in pace la morte di tanto principe, mio amorevole signore, che se io andava a Roma, com'egli aveva inteso che io voleva far in tutto deliberato di lasciare le corti e...
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