[Pagina precedente]...va appresso al canto a Monteloro in Firenze, avendo avuto l'anno 1500, secondo che egli stesso mi raccontava, un figliuolo maschio, il qual volle che al battesimo fusse chiamato come suo padre Niccolò, deliberò, come che povero compagno fosse, veduto il putto aver l'ingegno pronto e vivace e lo spirito elevato, che la prima cosa egli imparasse a leggere e scrivere bene e far di conto; per che mandandolo alle scuole avvenne, per esser il fanciullo molto vivo et in tutte l'azzioni sue tanto fiero, che non trovando mai luogo, era fra gli altri fanciulli e nella scuola e fuori un diavolo che sempre travagliava e tribolava sé e gli altri, che si perdé il nome di Niccolò e s'acquistò di maniera il nome di Tribolo, che così fu poi sempre chiamato da tutti. Crescendo dunque il Tribolo, il padre, così per servirsene come per rafrenar la vivezza del putto, se lo tirò in bottega insegnandogli il mestiero suo; ma vedutolo in pochi mesi male atto a cotale esercizio, et anzi sparutello, magro e male complessionato che no, andò pensando, per tenerlo vivo, che lasciasse le maggior fatiche di quell'arte e si mettesse a intagliar legnami. Ma perché aveva inteso che senza il disegno, padre di tutte l'arti, non poteva in ciò divenire eccellente maestro, volle che il suo principio fusse impiegar il tempo nel disegno, e perciò gli faceva ritrarre ora cornici, fogliami e grottesche, et ora altre cose necessarie a cotal mestiero. Nel che fare, veduto che al fanciullo serviva l'ingegno e parimente la mano, considerò Raffaello, come persona di giudizio, che egli finalmente appresso di sé poteva altro imparare che lavorare di quadro; onde avutone prima parola con Ciappino legnaiuolo e da lui, che molto era domestico et amico di Nanni Unghero, consigliatone et aiutato, l'acconciò per tre anni col detto Nanni, in bottega del quale, dove si lavorava d'intaglio e di quadro, praticavano del continuo Iacopo Sansovino scultore, Andrea del Sarto pittore et altri, che poi sono stati tanto valentuomini. Ora, perché il Nanni, il quale in que' tempi era assai eccellente reputato, faceva molti lavori di quadro e d'intaglio per la villa di Zanobi Bartolini a Rovezzano, fuor della porta alla Croce e per lo palazzo de' Bartolini, che allora si faceva murare da Giovanni fratello del detto Zanobi in sulla piazza di S. Trinità et in Gualfonda pel giardino e casa del medesimo, il Tribolo, che da Nanni era fatto lavorare senza discrezione, non potendo per la debolezza del corpo quelle fatiche e sempre avendo a maneggiar seghe, pialle et altri ferramenti disonesti, cominciò a sentirsi di mala voglia et a dir al Riccio, che dimandava onde venisse quella indisposizione, che non pensava poter durare con Nanni in quell'arte, e che perciò vedesse di metterlo con Andrea del Sarto, o con Iacopo Sansovini da lui conosciuti in bottega dell'Unghero, perciò che sperava con qual si volesse di loro farla meglio e star più sano.
Per queste cagioni dunque il Riccio, pur col consiglio et aiuto del Ciappino, acconciò il Tribolo con Iacopo Sansovino, che lo prese volentieri per averlo conosciuto in bottega di Nanni Unghero et aver veduto che si portava bene nel disegno e meglio nel rilievo. Faceva Iacopo Sansovino, quando il Tribolo già guarito andò a star seco, nell'opera di Santa Maria del Fiore a concorrenza di Benedetto da Rovezzano, Andrea da Fiesole e Baccio Bandinelli, la statua del Sant'Iacopo Apostolo di marmo, che ancor oggi in quell'Opera si vede insieme con l'altre: per che il Tribolo, con queste occasioni d'imparare, facendo di terra e disegnando con molto studio, andò in modo acquistando in quell'arte, alla quale si vedeva naturalmente inclinato, che Iacopo, amandolo più un giorno che l'altro, cominciò a dargli animo et a tirarlo innanzi col fargli fare ora una cosa et ora un'altra, onde se bene aveva allora in bottega il Solosmeo da Settignano e Pippo del Fabbro, giovani da grande speranza, perché il Tribolo gli passava di gran lunga non pur gli paragonava, avendo aggiunto la pratica de' ferri al saper bene fare di terra e di cera, cominciò in modo a servirsi di lui nelle sue opere che finito l'Apostolo et un Bacco che fece a Giovanni Bartolini per la sua casa di Gualfonda, togliendo a fare per Messer Giovanni Gaddi suo amicissimo un camino et un acquaio di pietra di macigno per le sue case, che sono alla piazza di Madonna, fece fare alcuni putti grandi di terra, che andavano sopra il cornicione, al Tribolo, il quale gli condusse tanto straordinariamente bene, che Messer Giovanni, veduto l'ingegno e la maniera del giovane, gli diede a fare due medaglie di marmo, le quali finite eccellentemente, furono poi collocate sopra alcune porte della medesima casa. Intanto cercandosi d'allogare per lo re di Portogallo una sepoltura di grandissimo lavoro, per essere stato Iacopo discepolo d'Andrea Contucci dal monte San Sovino et avere nome non solo di paragonare il maestro suo, uomo di gran fama, ma d'aver anco più bella maniera, fu cotale lavoro allogato a lui col mezzo de' Bartolini. Là dove, fatto Iacopo un superbissimo modello di legname, pieno tutto di storie e di figure di cera, fatte la maggior parte dal Tribolo, crebbe in modo, essendo riuscite bellissime, la fama del giovane, che Matteo di Lorenzo Strozzi, essendo partito il Tribolo dal Sansovino parendogli oggimai poter far da sé, gli diede a far certi putti di pietra e poco poi, essendogli quelli molto piaciuti, due di marmo, i quali tengono un delfino che vers'acqua in un vivaio, che oggi si vede a San Casciano, luogo lontano da Firenze otto miglia, nella villa del detto Messer Matteo. Mentre che queste opere dal Tribolo si facevano in Firenze, esendoci venuto per sue bisogne Messer Bartolomeo Barbazzi, gentiluomo bolognese, si ricordò che per Bologna si cercava d'un giovane che lavorasse bene, per metterlo a far figure e storie di marmo nella facciata di San Petronio, chiesa principale di quella città , per che ragionato col Tribolo e veduto delle sue opere che gli piacquero e parimenti i costumi e l'altre qualità del giovane, lo condusse a Bologna, dove egli con molta diligenza e con molta sua lode fece in poco tempo le due sibille di marmo, che poi furono poste nell'ornamento della porta di San Petronio che va allo spedale della Morte. Le quali opere finite, trattandosi di dargli a fare cose maggiori, mentre si stava molto amato e carezzato da Messer Bartolomeo, cominciò la peste dell'anno 1525 in Bologna e per tutta la Lombardia, onde il Tribolo, per fuggir la peste se ne venne a Firenze e statoci quanto durò quel male contagioso e pestilenziale, si partì cessato che fu e se ne tornò, essendo là chiamato, a Bologna dove Messer Bartolomeo non gli lasciando metter mano a cosa alcuna per la facciata, si risolvette, essendo morti molti amici suoi e parenti, a far fare una sepoltura per sé e per loro; e così fatto fare il modello, il quale volle vedere Messer Bartolomeo, anzi che altro facesse, compìto, andò il Tribolo stesso a Carrara a far cavar i marmi, per abozzargli in sul luogo e sgravargli, di maniera che non solo fusse (come fu) più agevole al condurgli, ma ancora acciò che le figure riuscissero maggiori.
Nel qual luogo per non perder tempo abozzò due putti grandi di marmo, i quali così imperfetti essendo stati condotti a Bologna per some con tutta l'opera, furono, sopragiugnendo la morte di Messer Bartolomeo, la quale fu di tanto dolor cagione al Tribolo, che se ne tornò in Toscana, messi con gli altri marmi in una cappella di San Petronio, dove ancora sono. Partito dunque il Tribolo da Carrara, nel tornare a Firenze, andando in Pisa a visitar maestro Stagio da Pietra Santa scultore suo amicissimo, che lavorava nell'Opera del Duomo di quella città due colonne con i capitelli di marmo, tutti traforati, che mettendo in mezzo l'altar maggiore et il tabernacolo del Sagramento, doveva ciascuna di loro aver sopra il capitello un Angelo di marmo alto un braccio e tre quarti con un candeliere in mano, tolse, invitato dal detto Stagio, non avendo allora altro che fare, a far uno de' detti Angeli, e quello, finito con tanta perfezzione con quanta si può di marmo finir perfettamente un lavoro sottile e di quella grandezza, riuscì di maniera, che più non si sarebbe potuto desiderare; perciò che mostrando l'Angelo col moto della persona, volando essersi fermo a tener quel lume, ha l'ignudo certi panni sottili intorno, che tornano tanto graziosi e rispondono tanto bene per ogni verso e per tutte le vedute, quanto più non si può esprimere. Ma avendo in farlo consumato il Tribolo, che non pensava se non alla dilettazione dell'arte, molto tempo, e non avendone dall'Operaio avuto quel pagamento che si pensava, risolutosi a non voler fare l'altro e tornato a Firenze, si riscontrò in Giovanbatista della Palla, il quale in quel tempo non pur faceva far più che potea sculture e pitture, per mandar in Francia al re Francesco Primo, ma comperava anticaglie d'ogni sorte e pitture d'ogni ragione, pur che fussino di mano di buon maestri, e giornalmente l'incassava e mandava via. E perché, quando appunto il Tribolo tornò, Giovanbatista aveva un vaso di granito antico di forma bellissima e voleva accompagnarlo, acciò servisse per una fonte di quel re, aperse l'animo suo al Tribolo e quello che dissegnava fare, onde egli messosi giù, gli fece una dea della natura che alzando un braccio tiene con le mani quel vaso che le ha in suo capo il piede, ornata il primo filare delle poppe d'alcuni putti tutti traforati e spiccati dal marmo, che tenendo nelle mani certi festoni fanno diverse attitudini bellissime; seguitando poi l'altro ordine di poppe piene di quadrupedi et i piedi fra molti e diversi pesci, restò compiuta cotale figura con tanta diligenza e con tanta perfezzione, ch'ella meritò, essendo mandata in Francia con altre cose, esser carissima a quel re e d'esser posta come cosa rara a Fontanableò.
L'anno poi 1529, dandosi ordine alla guerra et all'assedio di Firenze, papa Clemente Settimo, per veder in che modo et in quai luoghi si potesse accommodare e spartir l'essercito e vedere il sito della città appunto, avendo ordinato che segretamente fosse levata la pianta di quella città , cioè di fuori a un miglio il paese tutto, con i colli, monti, fiumi, balzi, case, chiese, et altre cose, dentro le piazze e le strade et intorno le mura et i bastioni con l'altre difese, fu di tutto dato il carico a Benvenuto di Lorenzo dalla Volpaia, buon maestro d'oriuoli e quadranti e bonissimo astrologo, ma sopra tutto eccellentissimo maestro di levar piante. Il qual Benvenuto volle in sua compagnia il tribolo e con molto giudizio, perciò che il Tribolo fu quegli che mise inanzi che detta pianta si facesse, a ciò meglio si potesse considerare l'altezza de' monti, la bassezza de' piani e gl'altri particolari, di rilievo: il che far non fu senza molta fatica e pericolo; perché stando fuori tutta la notte a misurar le strade e segnar le misure delle braccia da luogo a luogo e misurar anche l'altezza e le cime de' campanili e delle torri, intersegando con la bussola per tutti i versi et andando di fuori a riscontrar con i monti la cupola, la quale avevano segnato per centro, non condussero così fatt'opera, se non dopo molti mesi, ma con molta diligenza, avendola fatta di sugheri, perché fusse più leggera, e ristretto tutta la machina nello spazio di quattro braccia e misurato ogni cosa a braccia piccole. In questo modo dunque finita quella pianta, essendo di pezzi, fu incassata segretamente et in alcune balle di lana, che andavano a Perugia, cavata di Firenze e consegnata a chi aveva ordine di mandarla al Papa, il quale nell'assedio di Firenze se ne servì continuamente, tenendola nella camera sua e vedendo di mano in mano secondo le lettere e gl'avisi, dove e come alloggiava il campo, dove si facevano scaramuccie et insomma in tutti gl'accidenti, ragionamenti e dispute che occorsono durante quell'assedio, con molta sua sodisfazzione, per esser cosa nel vero rara e maravigliosa.
Finita la guerra, nello spazio dell...
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