[Pagina precedente]...astiano, che furono molte, questa è la più bella testa di tutte e la più simigliante, come si può vedere in casa gli eredi del detto Messer Ottaviano. Ritrasse il medesimo papa Paolo Farnese subito che fu fatto sommo pontefice; e cominciò il duca di Castro suo figliuolo, ma non lo finì, come non fece anche molte altre cose, alle quali avea dato principio.
Aveva fra' Sebastiano vicino al Popolo una assai buona casa, la quale egli si avea murata, et in quella con grandissima contentezza si vivea senza più curarsi di dipignere o lavorare, usando spesso dire che è una grandissima fatica avere nella vecchiezza a raffrenare i furori a' quali nella giovanezza gli artefici per utilità , per onore e per gara si sogliono mettere; e che non era men prudenza cercare di viver quieto, che vivere con le fatiche inquieto per lasciare di sé nome dopo la morte, dopo la quale hanno anco quelle fatiche e l'opere tutte ad avere, quando che sia, fine e morte. E come egli queste cose diceva, così a suo potere le metteva in essecuzione, perciò che i migliori vini e le più preziose cose che avere si potessero cercò sempre d'avere per lo vitto suo, tenendo più conto della vita che dell'arte. E perché era amicissimo di tutti gli uomini virtuosi, spesso avea seco a cena il Molza e Messer Gandolfo, facendo bonissima cera. Fu ancora suo grandissimo amico Messer Francesco Berni fiorentino, che gli scrisse un capitolo, al quale rispose fra' Sebastiano con un altro assai bello, come quelli che essendo universale seppe anco a far versi toscani e burlevoli accommodarsi.
Essendo fra' Sebastiano morso da alcuni, i quali dicevano che pure era una vergogna che, poi che egli aveva il modo da vivere, non volesse più lavorare, rispondeva a questo modo: "Ora che io ho il modo da vivere non vo' far nulla, perché sono oggi al mondo ingegni che fanno in due mesi quello che io soleva fare in due anni. E credo, s'io vivo molto, che non andrà troppo si vedrà dipinto ogni cosa. E da che questi tali fanno tanto, è bene ancora che ci sia chi non faccia nulla, acciò che eglino abbino quel più che fare". E con simili et altre piacevolezze, si andava fra' Sebastiano, come quello che era tutto faceto e piacevole, trattenendo; e nel vero non fu mai il miglior compagno di lui. Fu, come si è detto, Bastiano molto amato da Michelagnolo. Ma è ben vero che, avendosi a dipigner la faccia della cappella del Papa, dove oggi è il Giudizio di esso Buonarroto, fu fra loro alquanto di sdegno, avendo persuaso fra' Sebastiano al Papa che la facesse fare a Michelagnolo a olio là dove esso non voleva farla se non a fresco. Non dicendo dunque Michelagnolo né sì, né no et acconciandosi la faccia a modo di fra' Sebastiano, si stette così Michelagnolo, senza metter mano all'opera, alcuni mesi; ma essendo pur sollecitato, egli finalmente disse che non voleva farla se non a fresco, e che il colorire a olio era arte da donna e da persone agiate et infingarde, come fra' Bastiano; e così gettata a terra l'incrostatura fatta con ordine del frate, e fatto arricciare ogni cosa in modo da poter lavorare a fresco, Michelagnolo mise mano all'opera, non si scordando però l'ingiuria che gli pareva avere ricevuta da fra' Sebastiano, col quale tenne odio quasi fin alla morte di lui.
Essendo finalmente fra' Sebastiano ridotto in termine che né lavorare, né fare alcun'altra cosa voleva, salvo che attendere all'esercizio del frate, cioè di quel suo uffizio, e fare buona vita, d'età d'anni sessantadue si ammalò di acutissima febbre che, per essere egli rubicondo e di natura sanguigna, gl'infiammò talmente gli spiriti, che in pochi giorni rendé l'anima a Dio, avendo fatto testamento e lasciato che il corpo suo fusse portato alla sepoltura senza cerimonie di preti o di frati, o spese di lumi, e che quel tanto che in ciò fare si sarebbe speso fusse distribuito a povere persone per amor di Dio; e così fu fatto. Fu sepolto nella chiesa del Popolo del mese di giugno l'anno 1547. Non fece molta perdita l'arte per la morte sua; perché subito che fu vestito frate del Piombo si potette egli annoverare fra i perduti. Vero è che per la sua dolce conversazione dolse a molti amici et artefici ancora.
Stettono con Sebastiano in diversi tempi molti giovani per imparare l'arte, ma vi feciono poco profitto, perché dall'essempio di lui impararono poco altro che a vivere; eccetto però Tommaso Laureati ciciliano, il quale, oltre a molte altre cose, ha in Bologna con grazia condotto in un quadro una molto bella Venere et Amore che l'abbraccia e bacia. Il qual quadro è in casa Messer Francesco Bolognetti. Ha fatto parimente un ritratto del signor Bernardino Savelli, che è molto lodato, et alcune altre opere delle quali non accade far menzione.
VITA DI PERINO DEL VAGA PITTOR FIORENTINO
Grandissimo è certo il dono della virtù, la quale non guardando a grandezza di roba, né a dominio di stati o nobiltà di sangue, il più delle volte cigne et abbraccia e sollieva da terra uno spirito povero: assai più che non fa un bene agiato di ricchezze. E questo lo fa il cielo per mostrarci quanto possa in noi l'influsso delle stelle e de' segni suoi, compartendo a chi più et a chi meno delle grazie sue; le quali sono il più delle volte cagione che nelle complessioni di noi medesimi ci fanno nascere più furiosi o lenti, più deboli o forti, più salvatichi o domestici, fortunati o sfortunati, e di minore e di maggior virtù. E chi di questo dubitasse punto, lo sgannerà al presente la vita di Perino del Vaga, eccellentissimo pittore e molto ingegnoso. Il quale nato di padre povero, e rimaso piccol fanciullo abbandonato da' suoi parenti, fu dalla virtù sola guidato e governato. La quale egli, come sua legittima madre, conobbe sempre, e quella onorò del continovo. E l'osservazione dell'arte della pittura fu talmente seguita da lui con ogni studio, che fu cagione di fare nel tempo suo quegli ornamenti tanto egregii e lodati, che hanno accresciuto come a Genova et al principe Doria. Laonde si può senza dubbio credere che il cielo solo sia quello che conduca gli uomini da quella infima bassezza dove nascono, al sommo della grandezza dove eglino ascendono quando, con l'opere loro affaticandosi, mostrano essere seguitatori delle scienze che pigliano a imparare; come pigliò e seguitò per sua Perino l'arte del disegno, nella quale mostrò eccellentissimamente e con grazia, somma perfezzione. E nelli stucchi non solo paragonò gli antichi, ma tutti gli artefici moderni in quel che abbraccia tutto il genere della pittura, con tutta quella bontà che può maggiore desiderarsi da ingegno umano che voglia far conoscere, nelle difficultà di quest'arte, la bellezza, la bontà e la vaghezza e leggiadria ne' colori e negli altri ornamenti. Ma vegnamo più particolarmente a l'origine sua.
Fu nella città di Fiorenza un Giovanni Buonaccorsi che, nelle guerre di Carlo Ottavo re di Francia, come giovane et animoso e liberale, in servitù con quel principe, spese tutte le facultà sue nel soldo e nel giuoco, et in ultimo ci lasciò la vita. A costui nacque un figliuolo, il cui nome fu Piero, che rimasto piccolo di due mesi per la madre morta di peste, fu con grandissima miseria allattato da una capra in una villa infino che il padre, andato a Bologna, riprese una seconda donna, alla quale erano morti di peste i figliuoli et il marito. Costei con il latte appestato finì di nutrire Piero, chiamato Pierino per vezzi, come ordinariamente per li più si costuma chiamare i fanciulli, il qual nome se gli mantenne poi tuttavia. Costui condotto dal padre in Fiorenza, e nel suo ritornarsene in Francia lasciatolo ad alcuni suoi parenti, quelli, o per non avere il modo o per non voler quella briga di tenerlo e farli insegnare qualche mestiero ingegnoso, l'acconciarono allo speziale del Pinadoro acciò che egli imparasse quel mestiero. Ma non piacendogli quell'arte, fu preso per fattorino da Andrea de' Ceri pittore, piacendogli e l'aria et i modi di Perino e parendogli vedere in esso un non so che d'ingegno e di vivacità da sperare che qualche buon frutto dovesse col tempo uscir di lui.
Era Andrea non molto buon pittore, anzi ordinario e di questi che stanno a bottega aperta publicamente a lavorare ogni cosa meccanica; et era consueto dipignere ogni anno per la festa di San Giovanni certi ceri che andavano e vanno ad offerirsi, insieme con gli altri tributi della città ; e per questo si chiamava Andrea de' Ceri, dal cognome del quale fu poi detto un pezzo Perino de' Ceri. Custodì dunque Andrea Perino qualche anno, et insegnatili i principii dell'arte il meglio che sapeva, fu forzato nel tempo dell'età di lui d'undici anni acconciarlo con miglior maestro di lui. Per che avendo Andrea stretta dimestichezza con Ridolfo, figliuolo di Domenico Ghirlandaio, che era tenuto nella pittura molto pratico e valente, come si dirà , con costui acconciò Andrea de' Ceri Perino, acciò che egli attendesse al disegno e cercasse di fare quell'acquisto in quell'arte che mostrava l'ingegno, che egli aveva grandissimo, con quella voglia et amore che più poteva. E così seguitando, fra molti giovani che egli aveva in bottega che attendevano all'arte, in poco tempo venne a passar a tutti gl'altri innanzi con lo studio e con la sollecitudine.
Eravi fra gli altri uno, il quale gli fu uno sprone che del continuo lo pugneva, il quale fu nominato Toto del Nunziata, il quale, ancor egli aggiugnendo col tempo a paragone con i begli ingegni, partì di Fiorenza, e con alcuni mercanti fiorentini condottisi in Inghilterra, quivi ha fatto tutte l'opere sue; e dal re di quella provincia, il quale ha anco servito nell'architettura e fatto particolarmente il principale palazzo, è stato riconosciuto grandissimamente. Costui adunque e Perino esercitandosi a gara l'uno e l'altro, e seguitando nell'arte con sommo studio, non andò molto tempo, divennero eccellenti. E Perino disegnando in compagnia di altri giovani, e fiorentini e forestieri, al cartone di Michelagnolo Buonarroti, vinse e tenne il primo grado fra tutti gl'altri. Di maniera che si stava in quella aspettazione di lui, che succedette di poi nelle belle opere sue, condotte con tanta arte et eccellenza.
Venne in quel tempo in Fiorenza il Vaga pittor fiorentino, il quale lavorava in Toscanella in quel di Roma cose grosse; per non essere egli maestro eccellente, e soprabondatogli lavoro, aveva di bisogno d'aiuti, e desiderava menar seco un compagno et un giovanetto che gli servisse al disegno, che non aveva, et all'altre cose dell'arte; per che vedendo costui Perino disegnare in bottega di Ridolfo insieme con gli altri giovani, e tanto superiore a quegli che ne stupì, e che più piacendogli l'aspetto et i modi suoi, atteso che Perino era un bellissimo giovanetto, cortesissimo, modesto e gentile, et aveva tutte le parti del corpo corrispondenti alla virtù dell'animo, se n'invaghì di maniera che lo domandò se egli volesse andar seco a Roma, che non mancherebbe aiutarlo negli studii e farli que' benefizii e patti che egli stesso volesse. Era tanta la voglia ch'aveva Perino di venire a qualche grado eccellente della professione sua, che quando sentì ricordar Roma, per la voglia che egli ne aveva, tutto si rintenerì e gli disse che egli parlasse con Andrea de' Ceri, che non voleva abbandonarlo, avendolo aiutato per fino allora. Così il Vaga, persuaso Ridolfo suo maestro et Andrea che lo teneva, tanto fece che alla fine condusse Perino et il compagno in Toscanella. Dove cominciando a lavorare, et aiutando loro Perino, non finirono solamente quell'opera che il Vaga aveva presa, ma molte ancora che pigliarono di poi. Ma dolendosi Perino che le promesse, con le quali fu condotto p[resso] a Roma, erano mandate in lunga per colpa dell'utile e commodità che ne traeva il Vaga, e risolvendosi andarci da per sé, fu cagione che il Vaga, lasciato tutte l'opere, lo condusse a Roma. Dove egli, per l'amore che portava all'arte, ritornò al solito suo disegno, e continuando molte settimane, più ogni giorno si accendeva. Ma volendo il Vaga far ritorno a Toscanella,...
[Pagina successiva]