[Pagina precedente]... et amicissimo di Giulio, volle che così morto esso Giulio lo formasse di sua mano. Onde egli fattone un cavo in sul morto, ne fece un ritratto che stette poi molti anni appresso il detto Aretino.
Nella venuta di Carlo Quinto imperatore a Mantova, per ordine del Duca fé Giulio molti bellissimi apparati d'archi, prospettive per comedie e molte altre cose, nelle quali invenzioni non aveva Giulio pari. E non fu mai il più capriccioso nelle mascherate e nel fare stravaganti abiti per giostre, feste e torneamenti come allora si vide, con stupore e maraviglia di Carlo imperadore e di quanti v'intervennero. Diede oltre ciò per tutta quella città di Mantova in diversi tempi tanti disegni di cappelle, case, giardini e facciate, e talmente si dilettò d'abellirla et ornarla che la ridusse in modo che dove era prima sottoposta al fango e piena d'acqua brutta a certi tempi e quasi inabitabile, ell'è oggi, per industria di lui, asciutta, sana e tutta vaga e piacevole.
Mentre Giulio serviva quel Duca, rompendo un anno il Po gl'argini suoi, allagò in modo Mantova, che in certi luoghi bassi della città s'alzò l'acqua presso a quattro braccia, onde per molto tempo vi stavano quasi tutto l'anno le rannochie, per che pensando Giulio in che modo si potesse a ciò rimediare, adoperò di maniera che ella ritornò per allora nel suo primo essere. Et acciò altra volta non avenisse il medesimo, fece che le strade, per comandamento del Duca, si alzarono tanto da quella banda, che superata l'altezza dell'acque, i casamenti rimasero al disopra. E perché da quella parte erano casucce piccole e deboli, e di non molta importanza, diede ordine che si riducessero a migliore termine rovinando quelle per alzare le strade e riedificandone sopra delle maggiori e più belle per utile e commodo della città . Alla qual cosa opponendosi molti con dire al Duca che Giulio faceva troppo gran danno, egli non volle udire alcuno; anzi facendo allora Giulio maestro delle strade, ordinò che non potesse niuno in quella città murare senza ordine di Giulio. Per la qual cosa molti dolendosi et alcuni minacciando Giulio, venne ciò all'orecchie del Duca, il qual usò parole sì fatte in favore di Giulio, che fé conoscere che quanto si facesse in disfavore o danno di quello, lo reputarebbe fatto a se stesso e ne farebbe dimostrazione.
Amò quel duca di maniera la virtù di Giulio, che non sapea vivere senza lui; et all'incontro Giulio ebbe a quel signore tanta reverenza, che più non è possibile imaginarsi. Onde non dimandò mai per sé o per altri grazia che non l'ottenesse, e si trovava, quando morì, per le cose avute da quel duca, avere d'entrata più di mille ducati. Fabbricò Giulio per sé una casa in Mantova dirimpetto a San Barnaba, alla quale fece di fuori una facciata fantastica tutta lavorata di stucchi coloriti, e dentro la fece tutta dipignere e lavorare similmente di stucchi, accomodandovi molte anticaglie condotte da Roma et avute dal Duca, al quale ne diede molte delle sue.
Disegnava tanto Giulio, e per fuori e per Mantova, che è cosa da non credere, perché, come si è detto, non si poteva edificare, massimamente nella città , palagi o altre cose d'importanza, se non con disegni di lui. Rifece sopra le mura vecchie la chiesa di San Benedetto di Mantova, vicino al Po, luogo grandissimo e ricco de' monaci neri: e con suoi disegni fu abbellita tutta la chiesa di pitture e tavole bellissime. E perché erano in sommo pregio in Lombardia le cose sue, volle Gian Matteo Giberti, vescovo di quella città , che la tribuna del Duomo di Verona, come s'è detto altrove, fusse tutta dipinta dal Moro Veronese con i disegni di Giulio. Il quale fece al Duca di Ferrara molti disegni per panni d'arazzo, che furono poi condotti di seta e d'oro da maestro Niccolò e Giovan Batista Rosso fiaminghi, che ne sono fuori disegni in istampa, stati intagliati da Giovan Batista Mantovano, il quale intagliò infinite cose disegnate da Giulio e particolarmente, oltre a tre carte di battaglie intagliate da altri, un medico ch'apicca le coppette sopra le spalle a una femina, una Nostra Donna che va in Egitto, e Giuseppo ha a mano l'asino per la cavezza, et alcuni Angeli fanno piegare un dattero perché Cristo ne colga de' frutti. Intagliò similmente il medesimo col disegno di Giulio una lupa in sul Tevere che allatta Remo e Romulo, e quattro storie di Plutone, Giove e Nettunno che si dividono per sorte il cielo, la terra et il mare. Similmente la capra Alfea che, tenuta da Melissa, nutrisce Giove. Et in una carta grande molti uomini in una prigione, con varii ornamenti, cruciati. Fu anche stampato, con invenzione di Giulio, il parlamento che fecero alle rive del fiume con l'esercito Scipione et Annibale; la natività di San Giovanni Batista intagliata da Sebastiano da Reggio, e molte altre state intagliate e stampate in Italia. In Fiandra parimente et in Francia sono state stampate infinite carte con i disegni di Giulio, delle quali, come che bellissimi sieno, non accade far memoria; come neanche di tutti i suoi disegni, avendone egli fatto, per modo di dire, le some. E basti che gli fu tanto facile ogni cosa dell'arte, e particolarmente il disegnare, che non ci è memoria di chi abbia fatto più di lui. Seppe ragionare Giulio, il quale fu molto universale, d'ogni cosa, ma sopra tutto delle medaglie, nelle quali spese assai danari e molto tempo per averne cognizione. E se bene fu adoperato quasi sempre in cose grandi, non è però che egli non mettesse anco talor mano a cose menomissime per servigio del suo signore e degl'amici, né aveva sì tosto uno aperto la bocca per aprirgli un suo concetto, che l'aveva inteso e disegnato.
Fra le molte cose rare che aveva in casa sua, vi era in una tela di rensa sottile il ritratto naturale d'Alberto Duro di mano di esso Alberto, che lo mandò come altrove si è detto, a donare a Raffaello da Urbino. Il qual ritratto era cosa rara perché, essendo colorito a guazzo con molta diligenza e fatto d'acquarelli, l'aveva finito Alberto senza adoperare biacca, et in quel cambio si era servito del bianco della tela, delle fila della quale, sottilissime, aveva tanto ben fatti i peli della barba, che era cosa da non potersi imaginare, non che fare, et al lume traspareva da ogni lato. Il quale ritratto, che a Giulio era carissimo, mi mostrò egli stesso per miracolo quando, vivendo lui, andai per mie bisogne a Mantova.
Morto il duca Federigo, dal quale più che non si può credere era stato amato Giulio, se ne travagliò di maniera, che si sarebbe partito di Mantova, se il cardinale fratello del Duca, a cui era rimaso il governo dello stato per essere i figliuoli di Federigo piccolissimi, non l'avesse ritenuto in quella città dove aveva moglie, figliuoli, case, villaggi e tutti altri commodi che ad agiato gentiluomo sono richiesti. E ciò fece il cardinale, oltre alle dette cagioni, per servirsi del consiglio et aiuto di Giulio in rinovare e quasi far di nuovo tutto il Duomo di quella città : a che messo mano, Giulio lo condusse assai inanzi con bellissima forma.
In questo tempo Giorgio Vasari, che era amicissimo di Giulio, se bene non si conoscevano se non per fama e per lettere, nell'andare a Vinezia, fece la via per Mantova per vedere Giulio e l'opere sue. E così arrivato in quella città , andando per trovar l'amico senza essersi mai veduti, scontrandosi l'un l'altro si conobbono non altrimenti che se mille volte fussero stati insieme presenzialmente. Di che ebbe Giulio tanto contento et allegrezza, che per quattro giorni non lo staccò mai, mostrandogli tutte l'opere sue e particolarmente tutte le piante degli edifizii antichi di Roma, di Napoli, di Pozzuolo, di Campagna e di tutte l'altre migliori antichità di che si ha memoria, disegnate parte da lui e parte da altri. Di poi, aperto un grandissimo armario, gli mostrò le piante di tutti gl'edifizii che erano stati fatti con suoi disegni et ordine, non solo in Mantova et in Roma, ma per tutta la Lombardia, e tanto belli, che io per me non credo che si possano vedere né le più nuove, né le più belle fantasie di fabbriche, né meglio accommodate. Dimandando poi il cardinale a Giorgio quello che gli paresse dell'opere di Giulio, gli rispose (esso Giulio presente) che elle erano tali, che ad ogni canto di quella città meritava che fusse posta la statua di lui e che, per averla egli rinovata, la metà di quello stato non sarebbe stata bastante a rimunerar le fatiche e virtù di Giulio. A che rispose il cardinale Giulio essere più padrone di quello stato che non era egli. E perché era Giulio amorevolissimo e specialmente degli amici, non è alcuno segno d'amore e di carezze che Giorgio non ricevesse da lui.
Il qual Vasari partito di Mantova et andato a Vinezia e di là tornato a Roma, in quel tempo a punto che Michelagnolo aveva scoperto nella cappella il suo Giudizio mandò a Giulio, per Messer Nino Nini da Cortona, segretario del detto cardinale di Mantova, tre carte de' sette peccati mortali ritratti dal detto Giudizio di Michelagnolo, che a Giulio furono oltre modo carissimi, sì per essere quello ch'egli erano, e sì perché, avendo allora a fare al cardinale una cappella in palazzo, ciò fu un destargli l'animo a maggior cose che quelle non erano che aveva in pensiero. Mettendo dunque ogni estrema diligenza in fare un cartone bellissimo, vi fece dentro con bel capriccio quando Pietro et Andrea chiamati da Cristo lasciano le reti per seguitarlo, e di pescatori di pesci divenire pescatori d'uomini. Il quale cartone, che riuscì il più bello che mai avesse fatto Giulio, fu poi messo in opera da Fermo Guisoni, pittore e creato di Giulio, oggi eccellente maestro.
Essendo non molto dopo i soprastanti della fabbrica di San Petronio di Bologna desiderosi di dar principio alla facciata dinanzi di quella chiesa, con grandissima fatica vi condussono Giulio in compagnia d'uno architetto milanese, chiamato Tofano Lombardino, uomo allora molto stimato in Lombardia per molte fabbriche che si vedevano di sua mano. Costoro dunque avendo fatti più disegni, et essendosi quegli di Baldassarre Peruzzi sanese perduti, fu sì bello e bene ordinato uno che fra gli altri ne fece Giulio, che meritò riceverne da quel popolo lode grandissima e con liberalissimi doni esser riconosciuto nel suo ritornarsene a Mantova. Intanto, essendo di que' giorni morto Antonio Sangallo in Roma, e rimasi perciò in non piccolo travaglio i deputati della fabbrica di San Piero, non sapendo essi a cui voltarsi per dargli carico di dovere con l'ordine cominciato condurre sì gran fabbrica a fine, pensarono niuno potere esser più atto a ciò che Giulio Romano, del quale sapevano tutti quanta l'eccellenza fusse et il valore; e così avisando che dovesse tal carico accettare più che volentieri per rimpatriarsi onoratamente e con grossa provisione, lo feciono tentare per mezzo d'alcuni amici suoi, ma invano, però che, se bene di bonissima voglia sarebbe andato, due cose lo ritennero: il cardinale che per niun modo volle che si partissi, e la moglie con gl'amici e parenti, che per tutte le vie lo sconfortarono. Ma non avrebbe per avventura potuto in lui niuna di queste due cose, se non si fusse in quel tempo trovato non molto ben sano, per che, considerando egli di quanto onore et utile sarebbe potuto essere a sé et a' suoi figliuoli accettar sì onorato partito, era del tutto volto, quando cominciò a ire peggiorando del male, a voler fare ogni sforzo che il ciò fare non gli fusse dal cardinale impedito. Ma perché era di sopra stabilito che non andasse più a Roma e che quello fusse l'ultimo termine della sua vita, fra il dispiacere et il male si morì in pochi giorni in Mantova, la quale poteva pur concedergli che, come aveva abbellita lei, così ornasse et onorasse la sua patria Roma.
Morì Giulio d'anni cinquantaquattro, lasciando un solo figliuol maschio, al quale, per la memoria che teneva del suo maestro, aveva posto nome Raffaello. Il qual giovinetto, avendo affatica appreso i primi principii dell'arte con speranza di dovere riuscir valent'uomo, si morì anch'egli, non d...
[Pagina successiva]