[Pagina precedente]... datario di papa Clemente, fece far a Giulio, che era molto suo dimestico amico, il disegno d'alcune stanze che si murarono di mattoni vicino alla porta del palazzo del papa, le quali rispondono sopra la piazza di San Piero, dove stanno a sonare i trombetti quando i cardinali vanno a Concistoro, con una salita di commodissime scale che si possono salire a cavallo et a piedi. Al medesimo Messer Giovan Matteo fece in una tavola una lapidazione di Santo Stefano, la quale mandò a un suo benefizio in Genova, intitolato S. Stefano; nella qual tavola, che è per invenzione, grazia e componimento bellissima, si vede, mentre i Giudei lapidano S. Stefano, il giovane Saulo sedere sopra i panni di quello. Insomma non fece mai Giulio la più bell'opera di questa, per le fiere attitudini de' lapidatori e per la bene espressa pacienza di Stefano; il quale pare che veramente veggia sedere Gesù Cristo alla destra del Padre in un cielo dipinto divinamente. La quale opera insieme col benefizio diede Messer Giovan Matteo a' monaci di Monte Oliveto, che n'hanno fatto un monasterio.
Fece il medesimo Giulio a Iacopo Fuccheri tedesco, per una cappella che è in Santa Maria de Anima in Roma, una bellissima tavola a olio, nella quale è la Nostra Donna, S. Anna, S. Giuseppo, San Iacopo, San Giovanni putto e ginocchioni e San Marco Evangelista che ha un leone a' piedi, il quale standosi a giacere con un libro, ha i peli che vanno girando secondo ch'egli è posto. Il che fu difficile e bella considerazione, senza che il medesimo leone ha corte ale sopra le spalle con le penne così piumose e morbide, che non pare quasi da credere che la mano d'un artefice possa cotanto imitare la natura. Vi fece oltre ciò un casamento che gira a uso di teatro in tondo, con alcune statue così belle e bene accommodate, che non si può veder meglio. E fra l'altre, vi è una femina che filando guarda una sua chioccia et alcuni pulcini, che non può esser cosa più naturale. E sopra la Nostra Donna sono alcuni putti che sostengono un padiglione molto ben fatti e graziosi. E se anco questa tavola non fusse stata tanto tinta di nero, onde è diventata scurissima, certo sarebbe stata molto migliore. Ma questo nero fa perdere o smarrire la maggior parte delle fatiche che vi sono dentro; conciò sia che il nero, ancora che sia vernicato, fa perdere il buono, avendo in sé sempre dell'alido, o sia carbone o avorio abruciato o nero di fumo o carta arsa.
Fra molti discepoli ch'ebbe Giulio mentre lavorò queste cose, i quali furono Bartolomeo da Castiglioni, Tommaso Paperello cortonese, Benedetto Pagni da Pescia, quegli di cui più familiarmente si serviva fu Giovanni da Lione e Raffaello dal Colle del Borgo San Sepolcro, l'uno e l'altro de' quali nella sala di Gostantino e nell'altre opere, delle quali si è ragionato, avevano molte cose aiutato a lavorare. Onde non mi par da tacere che, essendo essi molto destri nel dipignere e molto osservando la maniera di Giulio nel mettere in opera le cose che disegnava loro, eglino colorirono col disegno di lui, vicino alla Zecca vecchia in Banchi, un'arme di papa Clemente Settimo; cioè la metà ciascuno di loro, con due figure a uso di termini, che mettono la detta arme in mezzo. Et il detto Raffaello, non molto doppo, col disegno d'un cartone di Giulio dipinse a fresco dentro la porta del palazzo del cardinale della Valle, in un mezzo tondo, una Nostra Donna che con un panno cuopre un fanciullo che dorme, e da una banda sono S. Andrea apostolo e dall'altra S. Niccolò: che fu tenuta, con verità, pittura eccellente.
Giulio in tanto, essendo molto dimestico di Messer Baldassarri Turrini da Pescia, fatto il disegno e modello, gli condusse sopra il monte Ianicolo, dove sono alcune vigne che hanno bellissima veduta, un palazzo con tanta grazia e tanto commodo, per tutti quegl'agi che si possono in un sì fatto luogo disiderare, che più non si può dire. Et oltre ciò furono le stanze non solo adornate di stucchi, ma di pittura ancora, avendovi egli stesso dipinto alcune storie di Numa Pompilio che ebbe in quel luogo il suo sepolcro. Nella stufa di questo palazzo dipinse Giulio alcune storie di Venere e d'Amore, e d'Apollo e di Iacinto con l'aiuto de' suoi giovani, che tutti sono in istampa. Et essendosi del tutto diviso da Giovanfrancesco, fece in Roma diverse opere d'architettura, come fu il disegno della casa degli Alberini in Banchi, se bene alcuni credono che quell'ordine venisse da Raffaello; e così un palazzo, che oggi si vede sopra la piazza della Dogana di Roma, che è stato per essere di bello ordine posto in istampa. E per sé fece sopra un canto del Macello de' Corbi, dove era la sua casa nella quale egli nacque, un bel principio di finestre, il quale, per poca cosa che sia, è molto grazioso. Per le quali sue ottime qualità, essendo Giulio dopo la morte di Raffaello per lo migliore artefice d'Italia celebrato, il conte Baldassarre Castiglioni, che allora era in Roma ambasciadore di Federigo Gonzaga, marchese di Mantova et amicissimo come s'è detto di Giulio, essendogli dal marchese suo signore comandato che procacciasse di mandargli un architettore per servirsene ne' bisogni del suo palagio e della città, e particolarmente che arebbe avuto carissimo Giulio, tanto adoperò il conte con prieghi e con promesse, che Giulio disse che andrebbe ogni volta, pur che ciò fusse con licenza di papa Clemente. La quale licenza ottenuta, nell'andare il conte a Mantova, per quindi poi andare, mandato dal Papa, all'imperadore, menò Giulio seco, et arrivato, lo presentò al marchese che, dopo molte carezze, gli fece dar una casa fornita orrevolmente e gl'ordinò provisione, et il piatto per lui, per Benedetto Pagni suo creato e per un altro giovane che lo serviva; e, che è più, gli mandò il marchese parecchie canne di veluto e raso, altri drappi e panni per vestirsi; e dopo, intendendo che non aveva cavalcatura, fattosi venire un suo favorito cavallo chiamato Luggeri, glielo donò; e montato che Giulio vi fu sopra, se n'andarono fuor della porta di S. Bastiano, lontano un tiro di balestra, dove sua eccellenza aveva un luogo e certe stalle chiamato il T., in mezzo a una prateria, dove teneva la razza de' suoi cavalli e cavalle. E quivi arrivati, disse il marchese che arebbe voluto, senza guastare la muraglia vecchia, accomodare un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a desinare, o a cena per ispasso.
Giulio, udita la volontà del marchese, veduto il tutto, e levata la pianta di quel sito, mise mano all'opera; e servendosi delle mura vecchie fece in una parte maggiore la prima sala, che si vede oggi all'entrare, col seguito delle camere che la mettono in mezzo. E perché il luogo non ha pietre vive, né commodi di cave da potere far conci e pietre intagliate, come si usa nelle muraglie da chi può farlo, si servì di mattoni e pietre cotte, lavorandole poi di stucco. E di questa materia fece colonne, base, capitegli, cornici, porte, finestre et altri lavori, con bellissime proporzioni: e con nuova e stravagante maniera gl'ornamenti delle volte, con spartimenti dentro bellissimi e con ricetti riccamente ornati. Il che fu cagione che, da un basso principio, si risolvesse il marchese di far poi tutto quello edifizio a guisa d'un gran palazzo, perché Giulio fatto un bellissimo modello, tutto fuori e dentro nel cortile d'opera rustica, piacque tanto a quel signore che, ordinata buona provisione di danari e da Giulio condotti molti maestri, fu condotta l'opera con brevità al suo fine. La forma del quale palazzo è così fatta: è questo edifizio quadro et ha nel mezzo un cortile scoperto a uso di prato, o vero piazza, nella quale sboccano in croce quattro entrate. La prima delle quali in prima vista trafora, o vero passa, in una grandissima loggia che sbocca per un'altra nel giardino, e due altre vanno a diversi appartamenti, e queste sono ornate di stucchi e di pitture. E nella sala, alla quale dà entrata la prima, è dipinta in fresco la volta fatta in varii spartimenti, e nelle facciate sono ritratti di naturale tutti i cavalli più belli e più favoriti della razza del marchese, et insieme con essi i cani di quello stesso mantello, o macchie, che sono i cavalli, co' nomi loro; che tutti furono disegnati da Giulio e coloriti sopra la calcina a fresco da Benedetto Pagni e da Rinaldo Mantovano, pittori e suoi creati, e nel vero così bene che paiono vivi. Da questa si cammina in una stanza, che è in sul canto del palazzo, la quale ha la volta fatta con spartimento bellissimo di stucchi e con variate cornici, in alcuni luoghi tocche d'oro. E queste fanno un partimento con quattro ottangoli, che levano nel più alto della volta con quadro, nel quale è Cupido, che nel cospetto di Giove (che è abbagliato nel più alto da una luce celeste), sposa alla presenza di tutti gli dèi Psiche. Della quale storia non è possibile veder casa fatta con più grazia e disegno; avendo Giulio fatto scortare quelle figure con la veduta al disotto in su tanto bene, et alcune di quelle non sono affatica lunghe un braccio, e si mostrano nella vista da terra di tre braccia nell'altezza. E nel vero sono fatte con mirabili arte et ingegno, avendo Giulio saputo far sì che, oltre al parer vive (così hanno rilievo), ingannano con piacevole veduta l'occhio umano. Sono poi negl'ottangoli tutte l'altre prime storie di Psiche, dell'avversità che le avvennero per lo sdegno di Venere, condotte con la medesima bellezza e perfezzione. Et in altri angoli sono molti amori, come ancora nelle finestre, che secondo gli spazii fanno varii effetti: e questa volta è tutta colorita a olio di mano di Benedetto e Rinaldo sopra detti. Il restante, adunque, delle storie di Psiche sono nelle facce da basso, che sono le maggiori, cioè in una a fresco quando Psiche è nel bagno e gl'amori la lavano, et appresso con bellissimi gesti la rasciugano; in un'altra parte s'appresta il convito da Mercurio, mentre ella si lava, con le Baccanti che suonano, dove sono le Grazie che con bellissima maniera fioriscono la tavola; e Sileno, sostenuto da' satiri col suo asino sopra una capra a sedere, ha due putti che gli suggono le poppe, mentre si sta in compagnia di bacco che ha a' piedi due tigri e sta con un braccio appoggiato alla credenza: dall'uno de' lati della quale è un camello e dall'altro un liofante; la qual credenza, che è a mezzo tondo in botte, è ricoperta di festoni di verzure e fiori e tutta piena di viti cariche di grappoli d'uve e di pampani, sotto i quali sono tre ordini di vazi bizzarri, bacini, boccali, tazze, coppe et altri così fatti, con diverse forme e modi fantastichi e tanto lustranti, che paiono di vero argento e d'oro, essendo contrafatti con un semplice colore di giallo e d'altro così bene, che mostrano l'ingegno, la virtù e l'arte di Giulio, il quale in questa parte mostrò esser vario, ricco e copioso d'invenzione e d'artifizio. Poco lontano si vede Psiche che, mentre ha intorno molte femine che la servono e la presentano, vede nel lontano fra i poggi spuntar Febo col suo carro solare, guidato da quattro cavalli, mentre sopra certe nuvole si sta Zefiro tutto nudo a giacere, che soffia, per un corno che ha in bocca, suavissime aure che fanno gioconda e placida l'aria che è d'intorno a Psiche. Le quali storie furono, non sono molti anni, stampate col disegno di Batista Franco viniziano, che le ritrasse in quel modo appunto che elle furono dipinte, con i cartoni grandi di Giulio da Benedetto da Pescia e da Rinaldo Mantovano, i quali misero in opera tutte queste storie, eccetto che il Bacco, il Sileno et i due putti che poppano la capra. Ben è vero che l'opera fu poi quasi tutta ritocca da Giulio, onde è come fusse tutta stata fatta da lui. Il qual modo, che egli imparò da Raffaello suo precettore, è molto utile per i giovani che in esso si esercitano, perché riescono per lo più eccellenti maestri. E se bene alcuni si persuadono essere da più di chi gli fa operare, conoscono questi cotali, mancata la guida loro prima che siano al fine, o mancando loro il disegno e l'ordin...
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