[Pagina precedente]...dinalato fatto belle memorie, dovesse nel papato avanzare tutti gl'altri di rinovamenti di fabbriche et adornamenti. Questa elezzione, adunque, fu di refrigerio a molti virtuosi, et ai timidi et ingegnosi animi, che si erano aviliti, grandissimo fiato e disideratissima vita. I quali per ciò risurgendo, fecero poi quell'opere bellissime che al presente veggiamo. E primieramente Antonio, per commessione di Sua Santità messo in opera, subito rifece un cortile in palazzo dinanzi alle logge, che già furon dipinte con ordine di Raffaello; il quale cortile fu di grandissimo comodo e bellezza, perché dove si andava prima per certe vie storte e strette, allargandole Antonio e dando loro miglior forma, le fece comode e belle. Ma questo luogo non istà oggi in quel modo che lo fece Antonio: perché papa Giulio Terzo ne levò le colonne che vi erano di granito per ornarne la sua vigna, et alterò ogni cosa. Fece Antonio in Banchi la facciata della Zecca vecchia di Roma con bellissima grazia, in quello angolo girato in tondo che è tenuto cosa difficile e miracolosa; et in quell'opera mise l'arme del Papa. Rifondò il resto delle logge papali, che per la morte di Leone non s'erano finite, e per la poca cura d'Adriano non s'erano continuate, né tocche; e così secondo il volere di Clemente furono condotte a ultimo fine.
Dopo, volendo Sua Santità fortificare Parma e Piacenza, dopo molti disegni e modelli che da diversi furono fatti, fu mandato Antonio in que' luoghi, e seco Giulian Leno, sollecitatore di quelle fortificazioni.
E là arivati, essendo con Antonio l'Abbaco suo creato, Pierfrancesco da Viterbo, ingegnere valentissimo e Michele da San Michele architetto veronese, tutti insieme condussero a perfezzione i disegni di quelle fortificazioni. Il che fatto, rimanendo gl'altri, se ne tornò Antonio a Roma, dove essendo poca commodità di stanze in palazzo, ordinò papa Clemente che Antonio sopra la Ferraria cominciasse quelle dove si fanno i concistori publici, le quali furono in modo condotte, che il Pontefice ne rimase sodisfatto, e fece farvi poi sopra le stanze de' camerieri di Sua Santità . Similmente fece Antonio sopra il tetto di queste stanze, altre stanze comodissime, la quale opera fu pericolosa molto, per tanto rifondare. E nel vero in questo Antonio valse assai, atteso che le sue fabbriche mai non mostrarono un pelo; né fu mai fra i moderni altro architetto più sicuro, né più accorto in congiugnere mura.
Essendosi al tempo di papa Paulo Secondo la chiesa della Madonna di Loreto, che era piccola e col tetto in sui pilastri di mattoni alla salvatica, rifondata e fatta di quella grandezza che ella essere oggi si vede, mediante l'ingegno e virtù di Giuliano da Maiano, et essendosi poi seguitata dal cordone di fuori in su, da Sisto Quarto e da altri, come si è detto, finalmente al tempo di Clemente, non avendo prima fatto mai pur un minimo segno di rovina, s'aperse l'anno 1526 di maniera che non solamente erano in pericolo gl'archi della tribuna, ma tutta la chiesa in molti luoghi, per essere stato il fondamento debole e poco adentro. Per che, essendo da detto papa Clemente mandato Antonio a riparare a tanto disordine, giunto che egli fu a Loreto, puntellando gl'archi et armando il tutto con animo risolutissimo e di giudizioso architetto, la rifondò tutta. E ringrossando le mura et i pilastri fuori e dentro, gli diede bella forma del tutto, e nella proporzione de' membri, e la fece gagliarda da poter reggere ogni gran peso, continuando un medesimo ordine nelle crocere e navate della chiesa, con superbe modanature d'architravi sopra gl'archi, fregi e cornicioni. E rendé sopramodo bello e ben fatto l'imbasamento de' quattro pilastri grandi, che vanno intorno all'otto facce della tribuna, che reggono i quattro archi: cioè i tre delle crocere, dove sono le cappelle, e quello maggiore della nave del mezzo. La quale opera merita certo di essere celebrata per la migliore che Antonio facesse già mai, e non senza ragionevole cagione: perciò che coloro che fanno di nuovo alcun'opera o la levano dai fondamenti hanno facultà di potere alzarsi, abbassarsi e condurla a quella perfezzione che vogliono e fanno migliore, senza essere da alcuna cosa impediti; il che non aviene a chi ha da regolare o restaurare le cose cominciate da altri, e mal condotte o dall'artefice o dagl'avenimenti della fortuna, onde si può dire che Antonio risuscitasse un morto e facesse quello che quasi non era possibile. E fatte queste cose, ordinò ch'ella si coprisse di piombo, e diede ordine come si avesse a condurre quello che restava da farsi, e così per opera di lui ebbe quel famoso tempio miglior forma e miglior grazia che prima non aveva, e speranza di lunghissima vita.
Tornato poi a Roma, dopo che quella città era stata messa a sacco, avendosi il papa in Orvieto, vi pativa la corte grandissimo disagio d'acqua. Onde, come volle il Pontefice, murò Antonio un pozzo tutto di pietra in quella città , largo venticinque braccia, con due scale a chiocciola intagliate nel tufo, l'una sopra l'altra, secondo che il pozzo girava; nel fondo del qual pozzo si scende, per le dette due scale a lumaca, in tal maniera che le bestie che vanno per l'acqua entrano per una porta e calano per una delle due scale, e arrivate in sul ponte, dove si carica l'acqua, senza tornare indietro passano all'altro ramo della lumaca, che gira sopra quella della scesa, e per un'altra porta diversa, e contraria alla prima, riescono fuori del pozzo. La qual opera, che fu cosa ingegnosa, comoda e di maravigliosa bellezza, fu condotta quasi a fine inanzi che Clemente morisse. E perché restava solo a farsi la bocca di esso pozzo, la fece finire papa Paulo Terzo, ma non come aveva ordinato Clemente col consiglio d'Antonio, che fu molto per così bell'opera comendato. È certo che gl'antichi non fecero mai edifizio pari a questo né d'industria, né d'artifizio; essendo in quello così fatto il tondo del mezzo, che infino al fondo dà lume, per alcune finestre, alle due scale sopra dette. Mentre si faceva quest'opera ordinò l'istesso Antonio la fortezza d'Ancona, la quale fu col tempo condotta al suo fine. Deliberando poi papa Clemente, al tempo che Alessandro de' Medici suo nipote era duca di Fiorenza, di fare in quella città una fortezza inespugnabile, il signor Alessandro Vitelli, Pierfrancesco da Viterbo et Antonio ordinarono e fecero condurre con tanta prestezza quel castello, o vero fortezza, che è tra la porta il Prato e San Gallo, che mai niuna fabbrica simile antica o moderna fu condotta sì tosto al suo termine; et in un torrione, che fu il primo a fondarsi, chiamato il Toso, furono messi molti epigrammi e medaglie, con cirimonie e solennissima pompa. La quale opera è celebrata oggi per tutto il mondo e tenuta inespugnabile.
Fu per ordine d'Antonio condotto a Loreto il Tribolo scultore, Raffaello da Monte Lupo, Francesco di San Gallo allora giovane e Simon Cioli, i quali finirono le storie di marmo cominciate per Andrea Sansovino. Nel medesimo luogo condusse Antonio il Mosca fiorentino, intagliatore di marmi eccellentissimo, il quale allora lavorava, come si dirà nella sua vita, un camino di pietra agl'eredi di Pellegrino da Fossombrone, che per cosa d'intaglio riuscì opera divina. Costui, dico, a' preghi d'Antonio si condusse a Loreto, dove fece festoni, che sono divinissimi. Onde con prestezza e diligenza restò l'ornamento di quella camera di Nostra Donna del tutto finito ancor che Antonio in un medesimo tempo allora avesse alle mani cinque opere d'importanza; alle quali tutte, benché fussero in diversi luoghi e lontane l'una dall'altra, di maniera suppliva che non mancò mai da fare a niuna: perché dove egli alcuna volta non poteva così tosto essere, serviva l'aiuto di Batista suo fratello. Le quali cinque opere erano: la detta fortezza di Fiorenza, quella d'Ancona, l'opera di Loreto, il palazzo apostolico et il pozzo d'Orvieto. Morto poi Clemente e creato sommo pontefice Paulo Terzo Farnese, venne Antonio, essendo stato amico del Papa mentre era cardinale, in maggior credito. Per che avendo Sua Santità fatto duca di Castro il signor Pierluigi suo figliuolo, mandò Antonio a fare il disegno della fortezza che quel Duca vi fece fondare, e del palazzo che è in sulla piazza, chiamato l'Osteria, e della zecca, che è nel medesimo luogo murata di trevertino a similitudine di quella di Roma. Né questi disegni solamente fece Antonio in quella città , ma ancora molti altri di palazzi et altre fabbriche a diverse persone terrazzane e forestiere, che edificarono con tanta spesa, che a chi non le vede pare incredibile, così sono tutte fatte senza risparmio, ornate et agiatissime. Il che non ha dubbio fu fatto da molti per far piacere al Papa, essendo che anco con questi mezzi, secondo l'umore de' principi, si vanno molto procacciando favori. Il che non è se non cosa lodevole, venendone commodo, utile e piacere all'universale.
L'anno poi che Carlo Quinto imperadore tornò vittorioso da Tunizi, essendogli stati fatti in Messina, in Puglia et in Napoli onoratissimi archi, pel trionfo di tanta vettoria, e dovendo venire a Roma, fece Antonio al palazzo di San Marco, di comessione del Papa, un arco trionfale di legname in sotto squadra, acciò che potesse servire a due strade, tanto bello, che per opera di legname non s'è mai veduto il più superbo né il più proporzionato. E se in cotale opera fusse stata la superbia e la spesa de' marmi come vi fu studio, artifizio e diligenza nell'ordine e nel condurlo, si sarebbe potuto meritamente, per le statue e storie dipinte et altri ornamenti, fra le sette moli del mondo annoverare. Era questo arco, posto in sull'ultimo canto che volge alla piazza principale, d'opera corinta con quattro colonne tonde per banda messe d'argento, et i capitegli intagliati con bellissime foglie tutti messi d'oro da ogni banda, erano bellissimi architravi, fregii e cornicioni posati con risalti sopra ciascuna colonna, fra le quali erano due storie dipinte per ciascuna, tal che faceva uno spartimento di quattro storie per banda, che erano fra tutte dua le bande otto storie, dentrovi - come si dirà altrove da chi le dipinse - i fatti dello imperadore; eravi ancora per più richezza per finimento del frontespizio da ogni banda sopra detto arco, dua figure di rilievo di braccia quattro e mezza l'una, fatte per una Roma; e le mettevano in mezzo dua imperatori di casa d'Austria, che dinanzi erano Alberto e Massimiliano, e da l'altra parte Federigo e Ridolfo, e così da ogni parte in su' cantoni erano quattro prigioni, dua per banda, con gran numero di trofei pur di rilievo, e l'arme di Sua Santità e di Sua Maestà , tutte fatte condurre con l'ordine di Antonio da scultori eccellenti e dai miglior pittori che fussino allora a Roma. E non solo questo arco fu da Antonio ordinato, ma tutto l'apparato della festa, che si fece per ricevere un sì grande et invittissimo imperadore.
Seguitò poi il medesimo, per lo detto duca di Castro, la fortezza di Nepi e la fortificazione di tutta la città , che è inespugnabile e bella. Dirizzò nella medesima città molte strade, e per i cittadini di quella fece disegni di molte case e palazzi. Facendo poi fare Sua Santità i bastioni di Roma, che sono fortissimi, e venendo fra quelli compresa la porta di Santo Spirito, ella fu fatta con ordine e disegno d'Antonio, con ornamento rustico di trevertini, in maniera molto soda e molto rara, con tanta magnificenza, ch'ella pareggia le cose antiche. La quale opera dopo la morte d'Antonio fu chi cercò, più da invidia mosso che da alcuna ragionevole cagione, per vie straordinarie di farla rovinare, ma non fu permesso da chi poteva. Fu con ordine del medesimo rifondato quasi tutto il palazzo apostolico che, oltre quello che si è detto in altri luoghi molti, minacciava rovina; et in un fianco particolarmente la cappella di Sisto, dove sono l'opere di Michelagnolo, e similmente la facciata dinanzi, senza che mettesse un minimo pelo: cosa più di pericolo che d'onore. Accrebbe la sala grande della detta cappel...
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