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...larmente quella del Salviati e del detto Ippolito cardinale de' Medici, unico rifugio de' vertuosi, il quale ritrasse in medaglie d'acciaio et al quale fece di cristallo quando ad Alessandro Magno è presentata la figliuola di Dario. E dopo, venuto Carlo V a Bologna a incoronarsi, fece il suo ritratto in un acciaio; et improntata una medaglia d'oro, la portò subito all'imperatore, il quale gli donò cento doble d'oro, facendolo ricercare se voleva andar seco in Ispagna. Il che Giovanni ricusò con dire che non potea partirsi dal servizio di Clemente e d'Ippolito cardinale, per i quali avea alcuna opera cominciata, che ancora era imperfetta.
Tornato Giovanni a Roma, fece al detto cardinale de' Medici il ratto delle Sabine, che fu bellissimo; per le quali cose, conoscendosi di lui molto debitore il cardinale, gli fece infiniti doni e cortesie, ma quello fu di tutti maggiore quando, partendo il cardinale per Francia, accompagnato da molti signori e gentiluomini, si voltò a Giovanni che vi era fra gl'altri e, levatasi dal collo una piccola collana, alla quale era appiccato un cammeo che valeva oltre seicento scudi, gliele diede dicendogli che lo tenesse insino al suo ritorno, con animo di sodisfarlo poi di quanto conosceva che era degna la virtù di Giovanni. Il quale cardinale morto, venne il detto cammeo in mano del cardinal Farnese, per lo quale lavorò poi Giovanni molte cose di cristallo, e particolarmente per una croce un Crucifisso et un Dio Padre di sopra, e dagli lati la Nostra Donna, e San Giovanni, e la Maddalena a' piedi. Et in un triangolo a' piè della croce fece tre storie della Passione di Cristo, cioè una per angolo. E per due candelieri d'argento fece in cristallo sei tondi: nel primo è il centurione che prega Cristo che sani il figliuolo; nel secondo la probatica piscina; nel terzo la Trasfigurazione in sul monte Tabor; nel quarto è il miracolo de' cinque pani e due pesci; nel quinto quando cacciò i venditori del tempio; e nell'ultimo la ressurezione di Lazzaro, che tutti furono rarissimi. Volendo poi fare il medesimo cardinal Farnese una cassetta d'argento ricchissima, fattone fra l'opera a Marino orefice fiorentino, che altrove se ne ragionerà, diede a fare a Giovanni tutti i vani de' cristalli, quali gli condusse tutti pieni di storie e di marmo di mezzo rilievo; fece le figure d'argento e gli ornamenti tondi con tanta diligenza, che non fu mai fatta altra opera con tanta e simile perfezzione. Sono di mano di Giovanni nel corpo di questa cassa intagliate in ovati queste storie con arte maravigliosa, la caccia di Meleagro e del porco calidonio, le baccanti et una battaglia navale, e similmente quando Ercole combatté con l'amazzone, et altre bellissime fantasie del cardinale; ne fece fare i disegni finiti a Perino del Vaga et a altri maestri. Fece appresso in un cristallo il successo della presa della Goletta, et in un altro la guerra di Tunisi.
Al medesimo cardinale intagliò, pur in cristallo, la Nascita di Cristo, quando ora nell'orto, quando è preso da' Giudei, quando è menato ad Anna, Erode e Pilato, quando è battuto e poi coronato di spine, quando porta la croce, quando è confitto e levato in alto, et ultimamente la sua santissima e gloriosa Resurrezzione: le quali opere tutte furono non solamente bellissime, ma fatte anco con tanta prestezza, che ne restò ogni uomo maravigliato. Et avendo Michelagnolo fatto un disegno (il che mi si era scordato di sopra) al detto cardinale de' Medici, d'un Tizio a cui mangia un avoltoio il cuore, Giovanni intagliò benissimo in cristallo; sì come anco fece con un disegno del medesimo Buonarroto un Fetonte che, per non sapere guidare il carro del sole, cadé in Po, dove piangendo le sorelle sono convertite in alberi.
Ritrasse Giovanni madama Margherita d'Austria, figliuola di Carlo Quinto imperadore, stata moglie del duca Alessandro de' Medici et allora donna del duca Ottavio Farnese, e questo fece a concorrenza di Valerio Vicentino; per le quali opere fatte al cardinale Farnese, ebbe da quel signore in premio un uffizio d'un giannizzero, del quale trasse buona somma di danari; Et oltre ciò, fu dal detto signor tanto amato, che n'ebbe infiniti altri favori. Né passò mai il cardinale da Faenza, dove Giovanni aveva fabricato una commodissima casa, che non andasse ad alloggiare con esso lui.
Fermatosi dunque Giovanni in Faenza, per quietarsi dopo aver molto travagliato il mondo, vi si dimorò sempre; et essendogli morta la prima moglie, della quale non aveva avuto figliuoli, prese la seconda di cui ebbe due maschi et una femmina, con i quali, essendo agiato di possessioni e d'altre entrate, che gli rendevano meglio di quattrocento scudi, visse contento insino a sessanta anni. Alla quale età pervenuto, rendé l'anima a Dio il giorno della Pentecoste l'anno 1555.
Matteo del Nassaro, essendo nato in Verona d'un Iacopo dal Nassaro calzaiuolo, attese molto nella sua prima fanciullezza non solamente al disegno, ma alla musica ancora, nella quale fu eccellente, avendo in quella per maestri avuto Marco Carrà et il Tromboncino veronesi, che allora stavano col marchese di Mantoa. Nelle cose dell'intaglio gli furono di molto giovamento due veronesi d'onorate famiglie, con i quali ebbe continua pratica: l'uno fu Niccolò Avanzi, il quale lavorò in Roma privatamente cammei, corniuole et altre pietre, che furono portate a diversi principi. Et hacci di quegli che si ricordano aver veduto [in] un lapislazaro largo tre dita, di sua mano, la Natività di Cristo con molte figure, il quale fu venduto alla duchessa d'Urbino come cosa singolare. L'altro fu Galeazzo Mondella, il quale, oltre all'intagliar le gioie, disegnò benissimo. Da questi due adunque avendo Matteo tutto quello che sapevano apparato, venutogli un bel pezzo di diaspro alle mani, verde e macchiato di gocciole rosse come sono i buoni, v'intagliò dentro un Deposto di croce con tanta diligenza, che fece venire le piaghe in quelle parti del diaspro che erano macchiate di sangue; il che fece essere quell'opera rarissima, et egli commendatone molto. Il quale diaspro fu venduto da Matteo alla marchesana Isabella da Este.
Andatosene poi in Francia, dove portò seco molte cose di sua mano, perché gli facessero luogo in corte del re Francesco Primo, fu introdotto a quel signore, che sempre tenne in conto tutte le maniere de' virtuosi; il quale re, avendo preso molte delle pietre da costui intagliate, toltolo al servigio suo et ordinatogli buona provisione, non l'ebbe men caro per essere eccellente sonatore di liuto et ottimo musico, che per il mestiere dell'intagliar le pietre. E di vero niuna cosa accende maggiormente gl'animi alle virtù, che il veder quelle essere apprezzate e premiate dai principi e signori, in quella maniera che ha sempre fatto per l'adietro l'illustrissima casa de' Medici, et ora fa più che mai, e nella maniera che fece il detto re Francesco veramente magnanimo. Matteo dunque, stando al servigio di questo re, fece non pure per sua maestà molte cose rare, ma quasi a tutti i più nobili signori e baroni di quella corte, non essendovi quasi niuno che non avesse (usandosi molto allora di portare cammei et altre simili gioie al collo e nelle berette) dell'opere sue. Fece al detto re una tavola per l'altare della capella di sua maestà, che si faceva portare in viaggio, tutta piena di figure d'oro, parte tonde e parte di mezzo rilievo, con molte gioie intagliate sparse per le membra delle dette figure. Incavò parimenti molti cristalli, gl'esempi de' quali, in solfo e gesso, si veggiono in molti luoghi, ma particolarmente in Verona, dove sono tutti i pianeti bellissimi et una Venere con un Cupido che volta le spalle, il quale non può esser più bello. In un bellissimo calcidonio, stato trovato in un fiume, intagliò divinamente Matteo la testa d'una Deanira quasi tutta tonda con la spoglia del leone in testa e con la superficie lionata, et in un filo di color rosso, che era in quella pietra, accomodò Matteo nel fine della testa del lione il rovescio di quella pelle tanto bene, che pareva scorticata di fresco. In un'altra macchia accomodò i capegli, e nel bianco la faccia et il petto e tutto con mirabile magisterio. La quale testa ebbe insieme con l'altre cose il detto re Francesco. Et una impronta ne ha oggi in Verona il Zoppo orefice, che fu suo discepolo.
Fu Matteo liberalissimo e di grande animo, in tanto che più tosto arebbe donato l'opere sue, che vendutele per vilissimo prezzo; perché, avendo fatto a un barone un cammeo d'importanza e volendo colui pagarlo una miseria, lo pregò strettamente Matteo che volesse accettarlo in cortesia; ma colui, non lo volendo in dono, e pur volendolo pagare piccolissimo prezzo, venne in collora Matteo, et in presenza di lui con un martello lo stiacciò. Fece Matteo per lo medesimo re molti cartoni per panni d'arazzo, e con essi, come volle il re, bisognò che andasse in Fiandra e tanto vi dimorasse che fussono tessuti di seta e d'oro. I quali finiti e condotti in Francia, furono tenuti cosa bellissima. Finalmente, come quasi tutti gl'uomini fanno, se ne tornò Matteo alla patria portando seco molte cose rare di que' paesi, e particolarmente alcune tele di paesi fatte in Fiandra a olio et a guazzo, e lavorati da bonissime mani; le quali sono ancora per memoria di lui tenute in Verona molto care dal signor Luigi e signor Girolamo Stoppi. Tornato Matteo a Verona, si accomodò di stanza in una grotta cavata sotto un sasso, al quale è sopra il giardino de' frati Gesuati; luogo che, oltre all'esser caldissimo il verno e molto fresco la state, ha una bellissima veduta. Ma non poté godersi Matteo questa stanza fatta a suo capriccio quanto arebbe voluto: perché liberato che fu dalla sua prigionia, il re Francesco mandò subito per uno a posta a richiamar Matteo in Francia, e pagargli la provisione eziandio del tempo che era stato in Verona. E giunto là, lo fece maestro de' conii della zecca. Onde Matteo, presa moglie in Francia, s'accomodò, poiché così piacque al re suo signore, a vivere in que' paesi. Della qual moglie ebbe alcuni figliuoli, ma a lui tanto dissimili, che n'ebbe poca contentezza.
Fu Matteo così gentile e cortese, che chiunche capitava in Francia, non pure della sua patria Verona, ma lombardo, carezzava straordinariamente. Fu suo amicissimo in quelle parti Paulo Emilio Veronese, che scrisse l'istorie franzesi in lingua latina. Fece Matteo molti discepoli, e fra gl'altri un suo veronese, fratello di Domenico Brusciasorzi, due suoi nipoti, che andarono in Fiandra, et altri molti Italiani e Franzesi, de' quali non accade far menzione. E finalmente si morì non molto dopo la morte del re Francesco di Francia.
Ma per venire oramai all'eccellente virtù di Valerio Vicentino, del quale si ragionerà, egli condusse tante cose grande e piccole, d'intaglio, encavo e di rilievo, ancora con una pulitezza e facilità che è cosa da non credere; e se la natura avesse fatto così buon maestro Valerio di disegno, come ella lo fece eccellentissimo nello intaglio, e diligente e pazientissimo nel condur l'opere sue da che fu tanto e spedito, arebbe passato di gran lunga gli antichi, come gli paragonò, e con tutto ciò ebbe tanto ingegno, che si valse sempre o de' disegni da lui o degli intagli antichi nelle sue cose. Condusse Valerio a papa Clemente VII una cassetta tutta di cristalli, condotta con mirabil magisterio, che n'ebbe da quel Pontefice per sua fattura scudi duomila d'oro, dove Valerio intagliò in que' cristalli tutta la Passione di Gesù Cristo col disegno d'altri; la qual cassetta fu poi donata da papa Clemente al re Francesco a Nizza, quando andò a marito la sua nipote al duca d'Orliens, che fu poi il re Arrigo. Fece Valerio per il medesimo papa alcune paci bellissime, et una croce di cristallo divina, e similmente conii da improntar medaglie, dov'era il ritratto di papa Clemente con rovesci bellissimi, e fu cagione che nel tempo suo quest'arte si acrebbe di tanti maestri, che innanzi al sacco di Roma che da Milano e di altri paesi n'era cresciuto sì gran num...
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