[Pagina precedente]...ta di Santo Stefano nel Duomo antico di Verona, gli facesseno fare al loro altare, in tre quadri di figure simili, tre storiette della Nostra Donna, cioè lo sposalizio, la Natività di Cristo e la storia de' Magi.
Dopo quest'opere, parendogli essersi acquistato assai credito in Verona, disegnava Giovanfrancesco di partirsi e cercare altri paesi, ma gli furono in modo addosso gl'amici e parenti, che gli fecero pigliar per donna una giovane nobile e figliuola di Messer Braliassarti Grandoni, la quale, poi che si ebbe menata l'anno 1505 et avutone indi a non molto un figliuolo, ella si morì sopra parto. E così rimaso libero si partì Giovanfrancesco di Verona, et andossene a Milano, dove il signor Antonmaria Visconte, tiratoselo in casa, gli fece molte opere, per ornamento delle sue case, lavorare. Intanto essendo portata da un fiamingo in Milano una testa d'un giovane ritratta di naturale e dipinta a olio, la quale era da ognuno in quella città ammirata, nel vederla Giovanfrancesco se ne rise, dicendo: "A me basta l'animo di farne una migliore". Di che facendosi beffe il fiamingo, si venne dopo molte parole a questo: che Giovanfrancesco facesse la pruova, e perdendo, perdesse il quadro fatto e 25 scudi, e vincendo, guadagnasse la testa del fiamingo e similmente 25 scudi. Messosi dunque Giovanfrancesco a lavorare con tutto il suo sapere, ritrasse un gentiluomo vecchio e raso con un sparviere in mano, ma ancora che molto somigliasse, fu giudicata migliore la testa del fiamingo. Ma Giovanfrancesco non fece buona elezzione, nel fare il suo ritratto, d'una testa che gli potesse fare onore, perché se pigliava un giovane bello e l'avesse bene immitato, come fece il vecchio, se non avesse passata la pittura dell'avversario, l'arebbe almanco paragonata. Ma non per questo fu se non lodata la testa di Giovanfrancesco, al quale il fiamingo fece cortesia, perché contentandosi della testa sola del vecchio raso, non volle altrimenti (come nobile e gentile) i venticinque ducati. Questo quadro venne poi col tempo nelle mani di madonna Isabella da Este, Marchesana di Mantoa, che lo pagò benissimo al fiamingo e lo pose per cosa singolare nel suo studio, nel quale aveva infinite cose di marmo, di conio, di pittura e di getto bellissime.
Dopo aver servito il Visconte, essendo Giovanfrancesco chiamato da Guglielmo, Marchese di Monferrato, andò volentieri a servirlo essendo di ciò molto pregato dal Visconte, e così arivato gli fu assegnata bonissima provisione, et egli, messo mano a lavorare, fece in Casale a quel signore in una cappella dove egli udiva messa, tanti quadri quanti bisognarono a empierla et adornarla da tutte le bande di storie del Testamento Vecchio e Nuovo, lavorate con estrema diligenza, sì come anco fu la tavola principale. Lavorò poi per le camere di quel castello molte cose che gli acquistarono grandissima fama. E dipinse in San Domenico, per ordine di detto marchese, tutta la capella maggiore, per ornamento d'una sepoltura dove dovea essere posto; nella quale opera si portò talmente Giovanfrancesco, che meritò dalla liberalità del Marchese essere con onorati premi riconosciuto; il quale Marchese per privilegio lo fece uno de' suoi camerieri, come per uno instrumento, che è in Verona appresso gl'eredi, si vede. Fece il ritratto di detto signore e della moglie, e molti quadri che mandarono in Francia, et il ritratto parimente di Guglielmo lor primogenito ancor fanciullo, e così quegli delle figliuole e di tutte le dame che erano al servigio della Marchesana.
Morto il marchese Guglielmo, si partì Giovanfrancesco da Casale, avendo prima venduto ciò che in quelle parti aveva, e si condusse a Verona, dove accomodò di maniera le cose sue e del figliuolo, al quale diede moglie, che in poco tempo si trovò esser ricco di più di settemila ducati. Ma non per questo abandonò la pittura, anzi vi attese più che mai, avendo l'animo quieto e non avendo a stillarsi il cervello per guadagnarsi il pane. Vero è che, o fusse per invidia o per altra cagione, gli fu dato nome di pittore che non sapesse fare se non figure piccole. Per che egli, nel fare la tavola della capella della Madonna in San Fermo, convento de' frati di San Francesco, per mostrare che era calonniato a torto, fece le figure maggiori del vivo e tanto bene, ch'elle furono le migliore che avesse mai fatto. In aria è la Nostra Donna, che siede in grembo a Santa Anna, con alcuni Angeli che posano sopra le nuvole, e a' piedi sono San Piero, San Giovanbattista, San Roco e San Bastiano, e non lontano è in un paese bellissimo San Francesco che riceve le stimite. Et invero quest'opera non è tenuta dagl'artefici se non buona.
Fece in San Bernardino, luogo de' frati Zoccolanti, alla capella de la croce, Cristo che inginocchiato con una gamba chiede licenza alla madre. Nella quale opera, per concorrenza di molte notabili pitture che in quel luogo sono di mano d'altri maestri, si sforzò di passargli tutti; onde certo si portò benissimo, per che fu lodato da chiunche la vide, eccetto che dal guardiano di quel luogo; il quale con parole mordaci, come sciocco e goffo solenne che egli era, biasimò Giovanfrancesco con dire che aveva fatto Cristo sì poco reverente alla madre, che non s'inginocchiava se non con un ginocchio. A che rispondendo Giovanfrancesco disse: "Padre, fatemi prima grazia d'inginocchiarvi e rizzarvi, et io poi vi dirà per quale cagione ho così dipinto Cristo". Il guardiano, dopo molti preghi inginocchiandosi, mise prima in terra il ginocchio destro e poi il sinistro, e nel rizzarsi alzò prima il sinistro e poi il destro. Il che fatto disse Giovanfrancesco: "Avete voi visto, padre guardiano, che non vi siate mosso a un tratto con due ginocchi, né così levato? Vi dico dunque che questo mio Cristo sta bene, perché si può dire o che s'inginocchi alla madre, o che, essendo stato ginocchioni un pezzo, cominci a levar una gamba per rizzarsi". Di che mostrò rimanere assai quieto il guardiano, pure se n'andò in là così borbottando sotto voce.
Fu Giovanfrancesco molto arguto nelle risposte, onde si racconta ancora che, essendogli una volta detto da un prete che troppo erano lascive le sue figure degl'altari, rispose: "Voi state fresco, se le cose dipinte vi comuovono, pensate come è da fidarsi di voi dove siano persone vive e palpabili".
A Isola, luogo in sul lago di Garda, dipinse due tavole nella chiesa de' Zoccolanti, et in Malsessino, terra sopra il detto lago, fece, sopra la porta d'una chiesa, una Nostra Donna bellissima, et in chiesa alcuni Santi a requisizione del Fracastoro, poeta famosissimo, del quale era amicissimo. Al conte Giovanfrancesco Giusti dipinse, secondo la invenzione di quel signore, un giovane tutto nudo, eccetto le parti vergognose, il quale stando in fra due, et in atto di levarsi o non levarsi, aveva da un lato una giovane bellissima finta per Minerva, che con una mano gli mostrava la fama in alto, e con l'altra lo eccitava a seguitarla; ma l'ozio e la pigrizia che erano dietro al giovane, si affaticavano per ritenerlo. A basso era una figura con viso mastinotto, e più di servo e d'uomo plebeo che di nobile, la quale aveva alle gomita attaccate due lumache grosse e si stava a sedere sopra un granchio; et appresso aveva un'altra figura con le mani piene di papaveri. Questa invenzione, nella quale sono altre belle fantasie e particolari, e la quale fu condotta da Giovanfrancesco con estremo amore e diligenza, serve per testiera d'una lettiera di quel signore in un suo amenissimo luogo detto Santa Maria Stella, presso a Verona. Dipinse il medesimo al conte Raimondo della Torre tutto un camerino di diverse storie in figure piccole. E perché si dilettò di far di rilievo, e non solamente modegli per quelle cose che gli bisognavano e per acconciar panni addosso, ma altre cose ancora per suo capriccio, se ne veggiono alcune in casa degl'eredi suoi, e particolarmente una storia di mezzo rilievo che non è se non ragionevole. Lavorò di ritratti in medaglie, e se ne veggiono ancora alcuni come quello di Guglielmo marchese di Monferrato, il quale ha per rovescio un Ercole che amazza... con un motto che dice: "Monstra domat".
Ritrasse di pittura il conte Raimondo della Torre, Messer Giulio suo fratello e Messer Girolamo Fracastoro. Ma fatto Giovanfrancesco vecchio, cominciò a ire perdendo nelle cose dell'arte, come si può vedere in Santa Maria della Scala ne' portegli degl'organi, e nella tavola della famiglia de' Movi, dove è un Deposto di croce, et in Santa Nastasia nella capella di San Martino. Ebbe sempre Giovanfrancesco grande opinione di sé, onde non arebbe messo in opera per cosa del mondo cosa ritratta da altri, perché volendogli il vescovo Giovan Matteo Giberti far dipignere in Duomo nella capella grande alcune storie della Madonna, ne fece fare a Roma a Giulio Romano suo amicissimo i disegni, essendo datario di papa Clemente Settimo. Ma Giovanfrancesco, tornato il vescovo a Verona, non volle mai mettere que' disegni in opera. Là dove il vescovo sdegnato gli fece fare a Francesco detto il Moro. Costui era d'openione, né in ciò si discostava dal vero, che il vernicare le tavole le guastasse e le facesse, più tosto che non farieno, divenir vecchie; e perciò adoperava, lavorando, la vernice negli scuri e certi olii purgati. E così fu il primo che in Verona facesse bene i paesi, perché se ne vede in quella città di sua mano che sono bellissimi. Finalmente, essendo Giovanfrancesco di 76 anni, si morì come buon cristiano, lasciando assai bene agiati i nipoti e Giovanni Caroti suo fratello, il quale, essendo stato un tempo a Vinezia, dopo avere atteso all'arte sotto di lui, se n'era a punto tornato a Verona quando Giovanfrancesco passò all'altra vita; e così si trovò con i nipoti a vedere le cose che loro rimasero dell'arte, fra le quali trovarono un ritratto d'un vecchio armato, benissimo fatto e colorito, il quale fu la miglior cosa che mai fusse veduta di mano di Giovanfrancesco, e così un quadretto, dentrovi un Deposto di croce, che fu donato al signor Spitech, uomo di grande autorità appresso al re di Pollonia, il quale allora era venuto a certi bagni che sono in sul Veronese. Fu sepolto Giovanfrancesco nella sua capella di San Niccolò nella Madonna dell'Organo, che egli aveva delle sue pitture adornata.
Giovanni Caroti fratello del detto Giovanfrancesco, se bene seguitò la maniera del fratello, egli nondimeno esercitò la pittura con manco reputazione. Dipinse costui la su detta tavola della capella di San Niccolò, dove è la Madonna sopra le nuvole, e da basso fece il suo ritratto di naturale e quello della Placida sua moglie. Fece anco nella chiesa di San Bartolomeo, all'altare degli Schioppi, alcune figurette di Sante, e vi fece il ritratto di madonna Laura delli Schioppi, che fece fare quella capella, e la quale fu non meno per le sue virtù che per le bellezze celebrata molto dagli scrittori di que' tempi. Fece anco Giovanni a canto al Duomo in San Giovanni in Fonte, in una tavoletta piccola un San Martino, e fece il ritratto di Messer Marcantonio della Torre quando era giovane, il quale riuscì poi persona litterata et ebbe publiche letture in Padova et in Pavia, e così anco Messer Giulio, le quali teste sono in Verona appresso degl'eredi loro. Al priore di San Giorgio dipinse un quadro d'una Nostra Donna, che come buona pittura è stato poi sempre e sta nella camera de' priori. In un quadro dipinse la trasformazione d'Ateone in cervio, per Brunetto maestro d'organi, il quale la donò poi a Girolamo Cicogna, eccellente ricamatore et ingegnere del vescovo Giberti, et oggi l'ha Messer Vincenzio Cicogna suo figliuolo.
Disegnò Giovanni tutte le piante dell'anticaglie di Verona, e gl'archi trionfali et il Colosseo, riviste dal Falconetto, architettore veronese, per adornarne il libro dell'antichità di Verona, il quale avea scritte e cavate da quelle proprie Messer Torello Saraina, che poi mise in stampa il detto libro, che da Giovanni Caroto mi fu mandato a Bologna, dove io allora faceva l'opera del refettorio di San Mich...
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