[Pagina precedente]...e antique, cioè non solo alle fabriche, ma anco all'inscrizzioni antiche che sono nei sepolcri et all'altre anticaglie, e non solo in Roma, ma ne' paesi all'intorno et in tutti i luoghi d'Italia, raccolse in un bellissimo libro tutte le dette inscrizzioni e memorie e lo mandò a donare, secondo ch'affermano i Veronesi medesimi, al Magnifico Lorenzo Vecchio de' Medici, con il quale, come amicissimo e fautor di tutti i virtuosi, egli e Domizio Calderino, suo compagno e della medesima patria, tenne sempre grandissima servitù. E di questo libro fa menzione il Poliziano nelle sue Mugillane, nelle quali si serve d'alcune autorità del detto libro, chiamando fra' Iocondo peritissimo in tutte l'antiquità . Scrisse il medesimo sopra i Comentarii di Cesare, alcune osservazioni che sono in stampa. E fu il primo che mise in disegno il ponte fatto da Cesare sopra il fiume Rodano, descritto da lui nei detti suoi Comentarii e male inteso ai tempi di fra' Iocondo, il quale confessa il detto Budeo avere avuto per suo maestro nelle cose d'architettura; ringraziando Dio d'avere avuto un sì dotto e sì diligente precettore sopra Vitruvio, come fu esso frate, il quale ricorresse in quello autore infiniti errori non stati infino allora conosciuti. E questo poté fare agevolmente per essere stato pratico in tutte le dottrine, e per la cognizione che ebbe della lingua greca e della latina. E queste et altre cose afferma esso Budeo, lodando fra' Iocondo per ottimo architettore, aggiungendo che per opera del medesimo furono ritrovate la maggior parte delle Pistole di Plinio in una vecchia libreria in Parigi; le quali, non essendo state più in mano degl'uomini, furono stampate da Aldo Manuzio, come si legge, in una sua pistola latina stampata con le dette. Fece fra' Iocondo, stando in Parigi al servizio del re Lodovico Duodecimo, due superbissimi ponti sopra la Senna carichi di botteghe; opera degna veramente del grand'animo di quel re e del maraviglioso ingegno di fra' Iocondo. Onde meritò, oltre la inscrizione che ancor oggi si vede in queste opere in lode sua, che il Sanazzaro, poeta rarissimo, l'onorasse con questo bellissimo distico:
Iocundus geminum imposuit tibi Sequana pontem;
hunc tu iure potes dicere Pontificem.
Fece, oltre ciò, altre infinite opere per quel re in tutto il regno, ma essendo stato solamente fatto memoria di queste come maggiori, non ne dirò altro.
Trovandosi poi in Roma alla morte di Bramante, gli fu data la cura del tempio di San Piero, in compagnia di Raffaello da Urbino e Giuliano da S. Gallo, acciò continuasse quella fabrica cominciata da esso Bramante; per che minacciando ella rovina in molte parti, per essere stata lavorata in fretta e per le cagioni dette in altro luogo, fu per consiglio di fra' Iocondo, di Raffaello e di Giuliano per la maggior parte rifondata; nel che fare, dicono alcuni che ancor vivono e furono presenti, si tenne questo moda: furono cavate, con giusto spazio dall'una all'altra, molte buche grandi a uso di pozzi, ma quadre, sotto i fondamenti, e quelle ripiene di muro fatto a mano furono fra l'uno e l'altro pilastro, o vero ripieno di quelle, gettati archi fortissimi sopra il terreno, in modo che tutta la fabrica venne a esser posta, senza che si rovinasse, sopra nuove fondamenta, e senza pericolo di fare mai più risentimento alcuno.
Ma quello in che mi pare che meriti somma lode fra' Iocondo, si fu un'opera di che gli deveno avere obligo eterno non pur i viniziani, ma con essi tutto il mondo; perché considerando egli che l'eternità della Republica di Vinizia pende in gran parte dal conservarsi nel sito inespugnabile di quelle lagune, nelle quali è quasi miracolosamente edificata quella città , e che ogni volta che le dette lagune atterrassero, o sarebbe l'aria infetta e pestilente, e per conseguente la città inabitabile, o che per lo meno ella sarebbe sottoposta a tutti quei pericoli a che sono le città di terraferma, si mise a pensare in che modo si potesse provedere alla conservazione delle lagune e del sito in che fu da principio la città edificata. E trovato il modo, disse fra' Iocondo a que' signori che, se non si veniva a presta resoluzione di riparare a tanto danno, fra pochi anni, per quello che si vedeva essere avenuto in parte, s'accorgerebbono dell'errore loro senza essere a tempo a potervi rimediare. Per lo quale avvertimento svegliati que' signori e udite le vive ragioni di fra' Iocondo, e fatta una congregazione de' più rari ingegnieri et architetti che fussero in Italia, furono dati molti pareri e fatti molti disegni, ma quello di fra' Iocondo fu tenuto il migliore e messo in essecuzione. E così si diede principio a divertire con un cavamento grande i duoi terzi, o almeno la metà dell'acque che mena il fiume della Brenta, le quali acque con lungo giro condussero a sboccare nelle lagune di Chioggia. E così, non mettendo quel fiume in quelle di Vinezia, non vi ha portato terreno che abbia potuto riempire, come ha fatto a Chioggia, dove ha in modo munito e ripieno, che si sono fatte, dove erano l'acque, molte possessioni e ville, con grande utile della città di Venezia. Onde affermano molti e massimamente il Magnifico Messer Luigi Cornaro, gentiluomo di Vinezia, e per lunga esperienza e dottrina prudentissimo, che, se non fusse stato l'avertimento di fra' Iocondo, tutto quello atterramento fatto nelle dette lagune di Chioggia, si sarebbe fatto, e forse maggiore, in quelle di Vinezia, con incredibile danno e quasi rovina di quella città . Afferma ancora il medesimo, il quale fu amicissimo di fra' Iocondo, come fu sempre et è di tutti i virtuosi, che la sua patria Vinezia avea sempre per ciò obligo immortale alla memoria di fra' Iocondo, e che egli si potrebbe in questa parte ragionevolmente chiamare secondo edificatore di Vinezia, e che quasi merita più lode, per avere conservata l'ampiezza e nobiltà di sì maravigliosa e potente città mediante questo riparo, che coloro che l'edificarono da principio debile e di poca considerazione. Perché questo benefizio, sì come è stato, così sarà eternamente d'incredibile giovamento et utile a Vinezia.
Essendosi, non molti anni dopo che ebbe fatto questa sant'opera fra' Iocondo, con molto danno de' viniziani abruciato il Rialto di Vinezia, nel quale luogo sono i raccetti delle più preciose merci e quasi il tesoro di quella città , et essendo ciò avenuto in tempo a punto che quella Republica, per lunghe e continue guerre e perdita della maggior parte, anzi di quasi tutto lo stato di terra ferma, era ridotta in stato travagliatissimo, stavano i signori del governo in dubbio e sospesi di quello dovessero fare. Pure, essendo la riedificazione di quel luogo di grandissima importanza, fu risoluto che ad ogni modo si rifacesse. E per farla più onorevole e secondo la grandezza e magnificenza di quella Republica, avendo prima conosciuto la virtù di fra' Iocondo e quanto valesse nell'architettura, gli diedero ordine di fare un disegno di quella fabrica. Laonde ne disegnò uno di questa maniera: voleva occupare tutto lo spazio che è fra il canale delle Beccherie di Rialto et il rio del Fondaco delle Farine, pigliando tanto terreno fra l'uno e l'altro rio, che facesse quadro perfetto, cioè che tanta fusse la lunghezza delle facciate di questa fabrica, quanto di spazio al presente si trova, caminando, dallo sbucare di questi due rivi nel Canal Grande. Disegnava, poi, che li detti due rivi sboccassero dall'altra parte in un canal comune che andasse dall'uno all'altro, tal che questa fabrica rimanesse d'ogni intorno cinta dall'acqua, cioè che avesse il Canal Grande da una parte, li due rivi da due, et il rio, che s'avea a far di nuovo, dalla quarta parte. Voleva, poi, che fra l'acqua e la fabrica intorno intorno al quadro fusse, o vero rimanesse, una spiaggia o fondamento assai largo che servisse per piazza, e vi si vendessero, secondo che fusseno deputati i luoghi, erbaggi, frutte, pesci et altre cose che vengono da molti luoghi alla città . Era di parere, appresso, che si fabricassero, intorno intorno dalla parte di fuori, boteghe che riguardassero le dette piazze, le quali boteghe servissero solamente a cose da mangiare d'ogni sorte. In queste quattro facciate aveva il disegno di fra' Iocondo quattro porte principali, cioè una per facciata posta nel mezzo e dirimpetto a corda all'altra. Ma prima che s'entrasse nella piazza di mezzo, entrando dentro, da ogni parte si trovava a man destra et a man sinistra una strada, la quale, girando intorno il quadro, aveva botteghe di qua e di là , on fabriche sopra bellissime e magazzini per servigio di dette botteghe, le quali tutte erano deputate alla drapperia, cioè panni di lana fini, et alla seta; le quali due sono le principali arti di quella città . Et insomma in questa entravano tutte le botteghe che sono dette de' toscani e de' setaiuoli. Da queste strade doppie di botteghe che sboccavano alle quattro porte, si doveva entrare nel mezzo di detta fabbrica, cioè in una grandissima piazza con belle e gran logge intorno intorno per commodo de' mercanti e servizio de' popoli infiniti, che in quella città , la quale è la dogana d'Italia, anzi d'Europa, per lor mercanzie e traffichi concorrono. Sotto le quali logge doveva essere intorno intorno le botteghe de' banchieri, orefici e gioiellieri, e nel mezzo aveva a essere un bellissimo tempio dedicato a San Matteo, nel quale potessero la mattina i gentiluomini udire i divini uffizii: nondimeno dicono alcuni che, quanto a questo tempio, aveva fra' Iocondo mutato proposito e che voleva farne due, ma sotto le logge perché non impedissero la piazza. Doveva oltre ciò questo superbissimo edifizio avere tanti altri comodi e bellezze et ornamenti particolari, che chi vede oggi il bellissimo disegno che di quello fece fra' Iocondo, afferma che non si può imaginare, né rappresentar da qual si voglia più felice ingegno, o eccellentissimo artefice, alcuna cosa né più bella, né più magnifica, né più ordinata di questa. Si doveva anche, col parere del medesimo, per compimento di quest'opera, fare il ponte di Rialto di pietre e carico di botteghe, che sarebbe stato cosa maravigliosa. Ma che quest'opera non avesse effetto, due furono le cagioni: l'una il trovarsi la Republica, per le gravissime spese fatte in quella guerra, esausta di danari; e l'altra perché un gentiluomo, si dica di Ca' Valereso grande in quel tempo e di molta autorità , forse per qualche interesse particolar, tolse a favorire, come uomo in questo di poco giudizio, un maestro Zamfragnino che, secondo mi vien detto, vive ancora, il quale l'aveva in sue particolari fabriche servito, il quale Zamfragnino (degno e conveniente nome dell'eccellenza del maestro) fece il disegno di quella marmaglia che fu poi messo in opera, e la quale oggi si vede. Della quale stolta elezzione molti che ancor vivono e benissimo se ne ricordano ancora si dogliono senza fine. Fra' Iocondo, veduto quanto più possono molte volte appresso ai signori e grandi uomini i favori che i meriti, ebbe del veder preporre così sgangherato disegno al suo bellissimo tanto sdegno, che si partì di Vinezia, né mai più vi volle, ancor che molto ne fusse pregato, ritornare. Questo, con altri disegni di questo padre, rimasero in casa i Bragadini riscontro a Santa Marina et a frate Angelo di detta famiglia, frate di San Domenico, che poi fu, secondo i molti meriti suoi, vescovo di Vicenza.
Fu fra' Iocondo universale, e si dilettò, oltre le cose dette, de' semplici e dell'agricoltura; onde racconta Messer Donato Giannotti fiorentino, che molti anni fu suo amicissimo in Francia, che avendo il frate allevato una volta un pesco in un vaso di terra, mentre dimorava in Francia, vide quel piccolissimo arbore carico di tanti frutti che era a guardarlo una maraviglia, e che avendolo, per consiglio d'alcuni amici, messo una volta in luogo dove avendo a passare il re, potea vederlo, certi cortigiani che prima vi passarono, come usano di fare così fatte genti, colsero, con gran dispiacere di fra' Iocondo, tutti i frutti di quell'arbusc...
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