[Pagina precedente]... di sua mano anco un quadro di certe ninfe, che oggi è in casa di Messer Niccolò Buffolini a Città di Castello; et una culla di putti, che fu fatta per la signora Angiola de' Rossi da Parma, moglie del signor Alessandro Vitelli, la quale è similmente in Città di Castello.
Francesco finalmente, avendo pur sempre l'animo a quella sua alchimia, come gl'altri che le impazzano dietro una volta, et essendo di delicato e gentile, fatto con la barba e chiome lunghe e mal conce, quasi un uomo sabatico et un altro da quello che era stato, fu assalito, essendo mal condotto e fatto malinconico e strano, da una febre grave e da un flusso crudele, che lo fecero in pochi giorni passare a miglior vita. Et a questo modo pose fine ai travagli di questo mondo, che non fu mai conosciuto da lui se non pieno di fastidii e di noie. Volle essere sepolto nella chiesa de' frati de' Servi, chiamata la Fontana, lontana un miglio da Casalmaggiore; e, come lasciò, fu sepolto nudo con una croce d'arcipresso sul petto in alto. Finì il corso della sua vita a dì 24 d'agosto 1540, con gran perdita dell'arte per la singolar grazia che le sue mani diedero alle pitture che fece. Si dilettò Francesco di sonar di liuto et ebbe in ciò tanto la mano e l'ingegno accomodato, che non fu in quello manco eccellente che nella pittura. Ma è ben vero che se non avesse lavorato a capriccio et avesse messo da canto le sciocchezze degl'alchimisti, sarebbe veramente stato dei più rari et eccellenti pittori dell'età nostra. Non niego che il lavorare a furori e quando se n'ha voglia non sia il miglior tempo, ma biasimo bene il non voler lavorare mai, o poco, et andar perdendo il tempo in considerazioni; atteso che il voler truffare e dove non si può aggiugnere pervenire, è spesso cagione che si smarrisce quello che si sa, per volere quello che non si può. Se Francesco, il quale ebbe dalla natura bella e graziosa maniera e spirito vivacissimo, avesse seguitato di fare giornalmente, arebbe acquistato di mano in mano tanto nell'arte, che sì come diede bella e graziosa aria alle teste e molta leggiadria, così arebbe di perfezzione, di fondamento e bontà nel disegno, avanzato se stesso e gl'altri.
Rimase dopo lui Ieronimo Mazzuoli suo cugino, che imitò sempre la maniera di lui con suo molto onore, come ne dimostrano l'opere che sono di sua mano in Parma. A Viadana ancora, dove egli si fuggì con Francesco per la guerra, fece in San Francesco, luogo de' Zoccoli, così giovanetto come era, in una tavolina, una bellissima Nunziata. Et un'altra ne fece in Santa Maria ne' Borghi. In Parma ai frati di San Francesco conventuali fece la tavola dell'altar maggiore, dentrovi Giovacchino cacciato del tempio, con molte figure. Et in Santo Alessandro, monasterio di monache in quella città , fece in una tavola la Madonna in alto con Cristo fanciullo che porge una palma a Santa Iustina, et alcuni Angeli che scuoprono un panno, e Santo Alessandro papa e San Benedetto. Nella chiesa de' frati Carmelitani fece la tavola dell'altar maggiore che è molto bella; et in San Sepolcro un'altra tavola assai grande. In San Giovanni Evangelista, chiesa di monache nella detta città , sono due tavole di mano di Girolamo assai belle, ma non quanto i portegli dell'organo, ne quanto la tavola dell'altar maggiore, nella quale è una Trasfigurazione bellissima e lavorata con molta diligenza. Ha dipinto il medesimo, nel refettorio di queste donne, una prospettiva in fresco, et in un quadro a olio la Cena di Cristo con gl'Apostoli; e nel Duomo a fresco la capella dell'altar maggiore. Ha ritratto, per madama Margherita d'Austria duchessa di Parma, il principe don Alessandro, suo figliuolo, tutto armato con la spada sopra un mappamondo, et una Parma ginocchioni et armata dinanzi a lui. Alla Steccata di Parma ha fatto in una capella a fresco gl'Apostoli che ricevono lo Spirito Santo; et in un arco, simile a quello che dipinse Francesco suo parente, ha fatto sei sibille, due colorite e quattro di chiaro scuro. Et in una nicchia al dirimpetto di detto arco, dipinse, ma non restò del tutto perfetta, la Natività di Cristo et i pastori che adorano, che è molto bella pittura. Alla Certosa fuor di Parma ha fatto i tre Magi nella tavola dell'altar maggiore; et a Pavia in San Piero, badia de' monaci di San Bernardo, una tavola; et in Mantoa, nel Duomo, un'altra al cardinale; et in San Giovanni della medesima città un'altra tavola, dentrovi un Cristo in uno splendore, et intorno gl'Apostoli e S. Giovanni, del quale par che dica: "Sic eum volo manere", etc.; et intorno a questa tavola sono, in sei quadri grandi, miracoli del detto S. Giovanni Evangelista. Nella chiesa de' frati zoccolanti, a man sinistra, è di mano del medesimo, in una tavola grande, la conversione di San Paulo, opera bellissima. Et in San Benedetto in Pollirone, luogo lontano dodici miglia da Mantoa, ha fatto nella tavola dell'altar maggiore Cristo nel presepio adorato dai pastori con Angeli che cantano. Ha fatto ancora, ma non so già in che tempo a punto, in un quadro bellissimo, cinque amori, il primo de' quali dorme e gl'altri lo spogliano, togliendogli chi l'arco, chi le saette et altri la face. Il qual quadro ha il signor duca Ottavio, che lo tiene in gran conto per la virtù di Ieronimo, il quale non ha punto degenerato dal suo parente Francesco nell'essere eccellente pittore e cortese e gentile oltre modo, e perché ancor vive si vedano anco uscire di lui altre opere bellissime che ha tuttavia fra mano. Fu amicissimo del detto Francesco Messer Vincenzio Caccianimici gentiluomo bolognese, il quale dipinse e s'ingegnò d'imitare quanto poté il più la maniera di esso Francesco Mazzuoli. Costui coloriva benissimo, onde quelle cose che lavorò per suo piacere e per donare a diversi signori et amici suoi sono invero dignissime di lode; ma particolarmente una tavola a olio, che è in San Petronio alla capella della sua famiglia, dentro la quale è la decollazione di San Giovanni Battista.
Morì questo virtuoso gentiluomo, di mano del quale sono alcuni disegni nel nostro libro molto belli, l'anno 1542.
VITA DI IACOMO PALMA E LORENZO LOTTO PITTORI VINIZIANI
Può tanto l'artifizio e la bontà d'una sola o due opere, che perfette si facciano in quell'arte che l'uomo esercita, che per piccole che elle siano, sono sforzati gl'artefici et intendenti a lodarle, e gli scrittori a celebrarle e dar lode all'artefice che l'ha fatte, nella maniera che facciamo or noi al Palma viniziano, il quale, se bene non fu eccellente né raro nella perfezzione della pittura, fu non di meno sì pulito e diligente e sommesso alle fatiche dell'arte, che le cose sue, se non tutte, almeno una parte hanno del buono; perché contrafanno molto il vivo et il naturale degl'uomini. Fu il Palma molto più nei colori unito, sfumato e paziente, che gagliardo nel disegno, e quegli maneggiò con grazia, pulitezza grandissima, come si vede in Venegia in molti quadri e ritratti che fece a diversi gentiluomini, de' quali non dirò altro perché voglio che mi basti far menzione di alcune tavole e d'una testa che tenghiamo divina e maravigliosa. L'una delle quali tavole dipinse in Santo Antonio di Vinezia vicino a Castello, e l'altra in Santa Elena presso al Lio, dove i monaci di Monte Oliveto hanno il loro monasterio. Et in questa, che è all'altar maggiore di detta chiesa, fece i Magi che offeriscono a Cristo con buon numero di figure, fra le quali sono alcune teste veramente degne di lode, come anco sono i panni che vestono le figure, condotti con bello andar di pieghe. Fece anco il Palma, nella chiesa di Santa Maria Formosa all'altare de' Bombardieri, una Santa Barbara grande quanto il naturale con due minori figure dalle bande, cioè San Sebastiano e Santo Antonio. Ma la Santa Barbara è delle migliori figure che mai facesse questo pittore; il quale fece anco nella chiesa di San Moisè, appresso alla piazza di San Marco, un'altra tavola, nella quale è una Nostra Donna in aria e San Giovanni a' piedi. Fece oltre ciò il Palma, per la stanza dove si ragunano gl'uomini della scuola di San Marco, in sulla piazza di San Giovanni e Paulo, a concorrenza di quelle che già fecero Gian Bellino, Giovanni Mansuchi et altri pittori, una bellissima storia, nella quale è dipinta una nave che conduce il corpo di San Marco a Vinezia: nella quale si vede finto dal Palma una orribile tempesta di mare et alcune barche combattute dalla furia de' venti, fatte con molto giudicio e con belle considerazioni, sì come è anco un gruppo di figure in aria e diverse forme di demoni, che soffiano a guisa di venti nelle barche che, andando a remi e sforzandosi con varii modi di rompere l'inimiche et altissime onde, stanno per somergersi. Insomma quest'opera, per vero dire, è tale e sì bella per invenzione e per altro, che pare quasi impossibile che colore o pennello adoperati da mani anco eccellenti, possino esprimere alcuna cosa più simile al vero o più naturale, atteso che in essa si vede la furia de' venti, la forza e destrezza degl'uomini, il moversi dell'onde, i lampi e baleni del cielo, l'acqua rotta dai remi e i remi piegati dall'onde e dalla forza de' vogadori. Che più? Io per me non mi ricordo aver mai veduto la più orrenda pittura di quella, essendo talmente condotta, e con tanta osservanza nel disegno, nell'invenzione e nel colorito, che pare che tremi la tavola, come tutto quello che vi è dipinto fusse vero. Per la quale opera merita Iacopo Palma grandissima lode, e di essere annoverato fra quegli che posseggono l'arte et hanno in poter loro facultà d'esprimere nelle pitture le difficultà dei loro concetti. Conciò sia che, in simili cose difficili, a molti pittori vien fatto nel primo abbozzare l'opera, come guidati da un certo forore, qualche cosa di buono e qualche fierezza, che vien poi levata nel finire e tolto via quel buono che vi aveva posto il furore. E questo avviene perché molte volte chi finisce considera le parti e non il tutto di quello che fa, e va (rafreddandosi gli spiriti) perdendo la vena della fierezza. Là dove costui stette sempre saldo nel medesimo proposito, e condusse a perfezzione il suo concetto, che gli fu allora, e sarà sempre, infinitamente lodato.
Ma senza dubbio, come che molte siano e molto stimate tutte l'opere di costui, quella di tutte l'altre è migliore e certo stupendissima, dove ritrasse, guardandosi in una spera, se stesso di naturale, con alcune pelli di camello intorno a certi ciuffi di capegli tanto vivamente che non si può meglio immaginare; perciò che poté tanto lo spirito del Palma in questa cosa particolare, che egli la fece miracolosissima e fuor di modo bella, come afferma ognuno, vedendosi ella quasi ogni anno nella mostra dell'Ascensione. Et invero ella merita di essere celebrata per disegno, per artificio e per colorito, et insomma per essere di tutta perfezzione, più che qual si voglia altra opera che da pittore viniziano fusse stata insino a quel tempo lavorata; perché, oltre all'altre cose, vi si vede dentro un girar d'occhi sì fatto che Lionardo da Vinci e Michelagnolo Buonarroti non averebbono altrimenti operato. Ma è meglio tacere la grazia, la gravità e l'altre parti che in questo ritratto si veggono, perché non si può tanto dire della sua perfezzione, che più non meriti. E se la sorte avessi voluto che il Palma, dopo quest'opera, si fusse morto, egli solo portava il vanto d'aver passato tutti coloro che noi celebriamo per ingegni rari e divini; là dove la vita, che durando lo fece operare, fu cagione che non mantenendo il principio che avea preso, venne a diminuire tutto quello che infiniti pensarono che dovesse accrescere. Finalmente, bastandogli che una o due opere perfette gli levassero il biasimo in parte che gli averebbono l'altre acquistato, si morì d'anni quarantotto in Vinezia.
Fu compagno et amico del Palma, Lorenzo Lotto pittor vineziano, il quale avendo imitato un tempo la maniera de' Bellini, s'appiccò poi a quella di Giorgione, come ne dimostrano molti quadri e ritratti che in Vinezia sono per le case de' gentiluomini. In casa...
[Pagina successiva]