[Pagina precedente]... e, che è più, sentendosi quanto egli s'ingegnava d'immitarlo in tutte le cose, ma sopra tutto nella pittura; il quale studio non fu invano, perché molti quadretti che fece in Roma, la maggior parte de' quali vennero poi in mano del cardinal Ipolito de' Medici, erano veramente maravigliosi, sì come è un tondo d'una bellissima Nunziata che egli fece a Messer Agnolo Cesis, il quale è oggi nelle case loro come cosa rara stimato. Dipinse similmente in un quadro la Madonna con Cristo, alcuni Angioletti et un San Giuseppo, che sono belli in estremo per l'aria delle teste, pel colorito e per la grazia e diligenza con che si vede esser stati dipinti. La quale opera era già appresso Luigi Gaddi et oggi dee essere appresso gl'eredi. Sentendo la fama di costui, il signor Lorenzo Cibo, capitano della guardia del papa e bellissimo uomo, si fece ritrarre da Francesco; il quale si può dire che non lo ritraesse, ma lo facesse di carne e vivo. Essendogli poi dato a fare per madonna Maria Bufolina da Città di Castello, una tavola che dovea porsi in San Salvatore del Lauro, in una capella vicina alla porta, fece in essa Francesco una Nostra Donna in aria che legge et ha un Fanciullo fra le gambe, et in terra con straordinaria e bella attitudine ginocchioni con un piè, fece un San Giovanni che torcendo il torso accenna Cristo fanciullo, et in terra a giacere in scorto è un San Girolamo in penitenza che dorme. Ma quest'opera non gli lasciò condurre a perfezzione la rovina et il sacco di Roma del 1527, la quale non solo fu cagione che all'arti per un tempo si diede bando, ma ancora che la vita a molti artefici fu tolta; e mancò poco che Francesco non la perdesse ancor egli; perciò che in sul principio del sacco era egli sì intento a lavorare, che quando i soldati entravano per le case, e già nella sua erano alcuni tedeschi, egli per rumore che facessero non si moveva dal lavoro; per che sopragiugnendogli essi e vedendolo lavorare, restarono in modo stupefatti di quell'opera, che come galantuomini che doveano essere, lo lasciarono seguitare. E così mentre che l'impiissima crudeltà di quelle genti barbare rovinava la povera città , e parimente le profane e sacre cose, senza aver rispetto né a Dio, né agl'uomini, egli fu da que' tedeschi proveduto e grandemente stimato, e da ogni ingiuria difeso. Quanto disagio ebbe per allora si fu che, essendo un di loro molto amatore delle cose di pittura, fu forzato a fare un numero infinito di disegni d'acquerello e di penna, i quali furono il pagamento della sua taglia. Ma nel mutarsi poi i soldati, fu Francesco vicino a capitar male perché, andando a cercare d'alcuni amici, fu da altri soldati fatto prigione, e bisognò che pagasse certi pochi scudi, che aveva, di taglia. Onde il zio, dolendosi di ciò e della speranza che quella rovina avea tronca a Francesco di acquistarsi scienza, onore e roba, deliberò, vedendo Roma poco meno che rovinata et il papa prigione degli Spagnuoli, ricondurlo a Parma. E così, inviatolo verso la patria, si rimase egli per alcuni giorni in Roma, dove dipositò la tavola fatta per madonna Maria Bufolina ne' frati della Pace; nel refettorio de' quali, essendo stata molti anni, fu poi da Messer Giulio Bufolini condotta nella lor chiesa a Città di Castello.
Arrivato Francesco a Bologna, e trattenendosi con molti amici, e particolarmente in casa d'un sellaio parmigiano suo amicissimo, dimorò, perché la stanza gli piaceva, alcuni mesi in quella città ; nel qual tempo fece intagliare alcune stampe di chiaro scuro, e fra l'altre la decollazione di San Piero e S. Paulo et un Diogene grande. Ne mise anco a ordine molte altre per farle intagliare in rame e stamparle, avendo appresso di sé per questo effetto un maestro, Antonio da Trento, ma non diede per allora a cotal pensiero effetto, perché gli fu forza metter mano a lavorare molti quadri et altre opere per gentiluomini bolognesi. E la prima pittura che fusse in Bologna veduta di sua mano, fu in San Petronio alla capella de' Monsignori un San Rocco di molta grandezza, al quale diede bellissima aria e fecelo in tutte le parti bellissimo, imaginandoselo alquanto sollevato dal dolore che gli dava la peste nella coscia, il che dimostra guardando con la testa alta il cielo in atto di ringraziarne Dio, come i buoni fanno eziandio dell'avversità che loro adivengono. La quale opera fece per un Fabrizio da Milano, il quale ritrasse dal mezzo in su in quel quadro a man giunte, che par vivo; come pare anche naturale un cane che vi è, e certi paesi che sono bellissimi, essendo in ciò particolarmente Francesco eccellente. Fece poi per l'Albio, medico parmigiano, una conversione di San Paulo con molte figure e con un paese, che fu cosa rarissima. Et al suo amico sellaio ne fece un altro di straordinaria bellezza, dentrovi una Nostra Donna volta per fianco con bell'attitudine, e parecchie altre figure. Dipinse al conte Giorgio Manzuoli un altro quadro, e due tele a guazzo per maestro Luca dai Leuti con certe figurette tutte ben fatte e graziose.
In questo tempo il detto Antonio da Trento, che stava seco per intagliare, una mattina che Francesco era ancora in letto, apertogli un forziere, gli furò tutte le stampe di rame e di legno e quanti disegni avea, et andatosene col diavolo, non mai più se ne seppe nuova. Tuttavia riebbe Francesco le stampe, avendole colui lasciate in Bologna a un suo amico, con animo forse di riaverle con qualche comodo, ma i disegni non poté già mai riavere; per che mezzo disperato, tornando a dipignere, ritrasse per aver danari non so che conte bolognese, e dopo fece un quadro di Nostra Donna con un Cristo che tiene una palla di mappamondo; ha la Madonna bellissima aria, et il putto è similmente molto naturale, perciò che egli usò di far sempre nel volto de' putti una vivacità propriamente puerile, che fa conoscere certi spiriti acuti e maliziosi che hanno bene spesso i fanciulli; abbigliò ancora la Nostra Donna con modi straordinarii, vestendola d'un abito che avea le maniche di veli gialletti e quasi vergati d'oro, che nel vero avea bellissima grazia, facendo parere le carni vere e delicatissime, oltra che non si possono vedere capegli dipinti meglio lavorati. Questo quadro fu dipinto per Messer Pietro Aretino, ma venendo in quel tempo papa Clemente a Bologna, Francesco glielo donò; poi, comunche s'andasse la cosa, egli capitò alle mani di Messer Dionigi Gianni, et oggi l'ha Messer Bartolomeo suo figliuolo, che l'ha tanto accommodato, che ne sono state fatte (cotanto è stimato) cinquanta copie. Fece il medesimo alle monache di Santa Margherita in Bologna, in una tavola, una Nostra Donna, Santa Margherita, San Petronio, San Girolamo e San Michele, tenuta in somma venerazione sì come merita, per essere nell'aria delle teste et in tutte l'altre parti, come le cose di questo pittore sono tutte quante. Fece ancora molti disegni, e particolarmente alcuni per Girolamo del Lino, et a Girolamo Fagiuoli orefice et intagliatore, che gli cercò per intagliargli in rame, i quali disegni sono tenuti graziosissimi. Fece a Bonifazio Gozadino il suo ritratto di naturale e quello della moglie, che rimase imperfetto. Abbozzò anco un quadro d'una Madonna, il quale fu poi venduto in Bologna a Giorgio Vasari aretino, che l'ha in Arezzo nelle sue case nuove e da lui fabricate, con molte altre nobili pitture, sculture e marmi antichi, Quando l'imperadore Carlo Quinto fu a Bologna perché l'incoronasse Clemente Settimo, Francesco, andando talora a vederlo mangiare, fece senza ritrarlo l'imagine di esso Cesare a olio in un quadro grandissimo, et in quello dipinse la Fama che lo coronava di lauro, et un fanciullo in forma d'un Ercole piccolino che gli porgeva il mondo quasi dandogliene il dominio. La quale opera, finita che fu, la fece vedere a papa Clemente, al quale piacque tanto che mandò quella e Francesco insieme, accompagnati dal vescovo di Vasona, allora datario, all'imperadore. Onde essendo molto piaciuta a Sua Maestà , fece intendere che si lasciasse; ma Francesco, come mal consigliato da un suo poco fedele o poco saputo amico, dicendo che non era finita, non la volle lasciare; e così Sua Maestà non l'ebbe et egli non fu, come sarebbe stato senza dubbio, premiato. Questo quadro, essendo poi capitato alle mani del cardinale Ipolito de' Medici, fu donato da lui al cardinale di Mantoa, et oggi è in guardaroba di quel Duca, con molte altre belle e nobilissime pitture.
Dopo essere stato Francesco, come si è detto, tanti anni fuor della patria e molto esperimentatosi nell'arte, senza aver fatto però acquisto nessuno di facultà , ma solo d'amici, se ne tornò finalmente, per sodisfare a molti amici e parenti, a Parma; dove, arrivato, gli fu subito dato a lavorare in fresco nella chiesa di Santa Maria della Steccata, una volta assai grande; ma perché inanzi alla volta era un arco piano che girava secondo la volta a uso di faccia, si mise a lavorare prima quello come più facile, e vi fece sei figure, due colorite e quattro di chiaro scuro molto belle; e fra l'una e l'altra alcuni molto belli ornamenti, che mettevano in mezzo rosoni di rilievo. I quali egli da sé, come capriccioso, si mise a lavorare di rame, facendo in essi grandissime fatiche. In questo medesimo tempo fece al cavalier Baiardo, gentiluomo parmigiano e suo molto familiare amico, in un quadro un Cupido che fabrica di sua mano un arco: a' piè del quale fece due putti, che sedendo uno piglia l'altro per un braccio e ridendo vuol che tocchi Cupido con un dito, e quegli, che non vuol toccarlo, piange mostrando aver paura di non cuocersi al fuoco d'amore. Questa pittura, che è vaga per colorito, ingegnosa per invenzione e graziosa per quella sua maniera che è stata et è dagl'artefici e da chi si diletta dell'arte imitata et osservata molto, è oggi nello studio del signor Marcantonio Cavalca, erede del cavalier Baiardo, con molti disegni che ha raccolti, di mano del medesimo, bellissimi e ben finiti d'ogni sorte, sì come sono ancora quelli che pur di mano di Francesco sono nel nostro libro in molte carte, e particolarmente quello della decollazione di San Piero e San Paulo che, come si è detto, mandò poi fuori in stampe di legno e di rame stando in Bologna. Alla chiesa di Santa Maria de' Servi fece in una tavola la Nostra Donna col Figliuolo in braccio che dorme, e da un lato certi Angeli, uno de' quali ha in braccio un'urna di cristallo, dentro la quale riluce una croce contemplata dalla Nostra Donna. La quale opera, perché non se ne contentava molto, rimase imperfetta; ma nondimeno è cosa molto lodata in quella sua maniera piena di grazia e di bellezza.
Intanto cominciò Francesco a dismettere l'opera della Steccata, o almeno a fare tanto adagio, che si conosceva che v'andava di male gambe. E questo avveniva perché, avendo cominciato a studiare le cose dell'alchimia, aveva tralasciato del tutto le cose della pittura, pensando di dover tosto aricchire congelando mercurio. Per che stillandosi il cervello, non con pensare belle invenzioni, né con i pennelli o mestiche, perdeva tutto il giorno in tramenare carboni, legne, bocce di vetro et altre simili bazicature che gli facevano spendere più in un giorno, che non guadagnava a lavorare una settimana alla capella della Steccata; e non avendo altra entrata, e pur bisognandogli anco vivere, si veniva così consumando con questi suoi fornelli a poco a poco. E, che fu peggio, gl'uomini della Compagnia della Steccata, vedendo che egli avea del tutto tralasciato il lavoro, avendolo per aventura, come si fa, soprapagato, gli messero lite; onde egli per lo migliore si ritirò, fuggendosi una notte con alcuni amici suoi a Casalmaggiore; dove, uscitogli alquanto di capo l'alchimie, fece per la chiesa di Santo Stefano, in una tavola, la Nostra Donna in aria, e da basso San Giovambatista e Santo Stefano. E dopo fece (e questa fu l'ultima pittura che facesse) un quadro d'una Lucrezia romana, che fu cosa divina e delle migliori che mai fusse veduta di sua mano; ma come si sia è stato trafugato che non si sa dove sia. È...
[Pagina successiva]