[Pagina precedente]...a moderna, et un bellissimo e pratico colorito in essa si comprende. Questa fu una delle sue tante fatiche che in quella città e per diversi luoghi del regno fece. Visse di continuo allegramente, e bellissimo tempo si diede. Però che non avendo emulazione, né contrasto degl'artefici nella pittura, fu da que' signori sempre adorato, e delle cose sue si fece con bonissimi pagamenti sodisfare. Così, pervenuto a gli anni 56 di sua età , d'uno ordinario male finì la sua vita. Lasciò suo creato Giovanni Filippo Crescione pittor napolitano, il quale in compagnia di Lionardo Castellani suo cognato, fece molte pitture e tuttavia fanno: dei quali per esser vivi et in continuo essercizio, non accade far menzione alcuna.
Furono le pitture di maestro Marco da lui lavorate dal 1508 fino al 1542.
Fu compagno di Marco un altro calavrese, del quale non so il nome, il quale in Roma lavorò con Giovanni, da Udine lungo tempo e fece da per sé molte opere in Roma, e particolarmente facciate di chiaro scuro. Fece anche nella chiesa della Trinità la capella della Concezzione a fresco, con molta pratica e diligenza.
Fu ne' medesimi tempi Nicola, detto comunemente da ognuno maestro Cola dalla Matrice, il quale fece in Ascoli, in Calavria et a Norcia molte opere che sono notissime, che gl'acquistarono fama di maestro raro e del migliore che fusse mai stato in que' paesi. E perché attese anco all'architettura, tutti gl'edificii che ne' suoi tempi si fecero ad Ascoli et in tutta quella provincia, furono architettati da lui; il quale senza curarsi di veder Roma o mutar paese, si stette sempre in Ascoli vivendo un tempo allegramente con una sua moglie di buona et onorata famiglia e dotata di singolar virtù d'animo, come si vide quanto, al tempo di papa Paulo Terzo, si levarono in Ascoli le parti; perciò che fuggendo costei col marito, il quale era seguitato da molti soldati, più per cagione di lei, che bellissima giovane era, che per altro, ella si risolvé, non vedendo di potere in altro modo salvare a sé l'onore et al marito la vita, a precipitarsi da un'altissima balza in un fondo; il che fatto, pensarono tutti che ella si fusse, come fu invero, tutta stritolata non che percossa a morte; per che lasciato il marito senza fargli alcuna ingiuria, se ne tornarono in Ascoli. Morta dunque questa singolar donna, degna d'eterna lode, visse maestro Cola il rimanente della sua vita poco lieto. Non molto dopo, essendo il signor Alessandro Vitelli fatto signore della Matrice, condusse maestro Cola già vecchio a Città di Castello dove, in un suo palazzo, gli fece dipignere molte cose a fresco e molti altri lavori, le quali opere finite, tornò maestro Cola a finire la sua vita alla Matrice. Costui non arebbe fatto se non ragionevolmente, se egli avesse la sua arte esercitato in luoghi dove la concorrenza e l'emulazione l'avesse fatto attendere con più studio alla pittura, et esercitare il bello ingegno di cui si vide che era stato dalla natura dotato.
VITA DI FRANCESCO MAZZUOLI PITTORE PARMIGIANO
Fra molti che sono stati dotati in Lombardia della graziosa virtù del disegno e d'una certa vivezza di spirito nell'invenzioni, e d'una particolar maniera di far in pittura bellissimi paesi, non è da posporre a nessuno, anzi da preporre a tutti gl'altri, Francesco Mazzuoli parmigiano, il quale fu dal cielo largamente dotato di tutte quelle parti che a un eccellente pittore sono richieste, poiché diede alle sue figure, oltre quello che si è detto di molti altri, una certa venustà , dolcezza e leggiadria nell'attitudini, che fu sua propria e particolare. Nelle teste parimente si vede che egli ebbe tutte quelle avvertenze che si dee, intanto che la sua maniera è stata da infiniti pittori immitata et osservata, per aver'egli dato all'arte un lume di grazia tanto piacevole, che saranno sempre le sue cose tenute in pregio, et egli da tutti gli studiosi del disegno onorato. Et avesse voluto Dio ch'egli avesse seguitato gli studii della pittura e non fusse andato dietro ai ghiribizzi di congelare mercurio per farsi più ricco di quello che l'aveva dotato la natura et il cielo, perciò che sarebbe stato sanza pari e veramente unico nella pittura; dove cercando di quello che non poté mai trovare, perdé il tempo, spregiò l'arte sua e fecesi danno nella propria vita e nel nome.
Nacque Francesco in Parma l'anno 1504, e perché gli mancò il padre essendo egli ancor fanciullo di poca età , restò a custodia di due suoi zii, fratelli del padre e pittori ammendue, i quali l'allevarono con grandissimo amore, insegnandogli tutti quei lodevoli costumi che ad uomo cristiano e civile si convengono. Dopo, essendo alquanto cresciuto, tosto che ebbe la penna in mano per imparare a scrivere, cominciò, spinto dalla natura che l'avea fatto nascere al disegno, a far cose in quello maravigliose; di che accortosi il maestro che gl'insegnava a scrivere, persuase, vedendo dove col tempo poteva arrivare lo spirito del fanciullo, ai zii di quello, che lo facessero attendere al disegno et alla pittura. Laonde, ancor che essi fusssero vecchi e pittori di non molta fama, essendo però di buon giudizio nelle cose dell'arte, conosciuto Dio e la natura essere i primi maestri di quel giovinetto, non mancarono con ogni acuratezza di farlo attendere a disegnare sotto la disciplina d'eccellenti maestri, acciò pigliasse buona maniera. E parendo loro nel continuare che fusse nato, si può dire, con i pennelli in mano, da un canto lo sollecitavano e dall'altro, dubitando non forse i troppi studii gli guastassero la complessione, alcuna volta lo ritiravano. Ma finalmente, essendo all'età di sedici anni pervenuto, dopo aver fatto miracoli nel disegno, fece in una tavola di suo capriccio, un San Giovanni che battezza Cristo, il quale condusse di maniera, che ancora chi la vede resta maravigliato che da un putto fusse condotta sì bene una simil cosa. Fu posta questa tavola in Parma alla Nunziata, dove stanno i frati de' Zoccoli. Ma non contento di questo, si volle provare Francesco a lavorare in fresco, per che fatta in San Giovanni Evangelista, luogo de' monaci neri di San Benedetto, una capella, perché quella sorte di lavoro gli riusciva, ne fece insino in sette. Ma in quel tempo, mandando papa Leon Decimo il signor Prospero Colonna col campo a Parma, i zii di Francesco, dubitando non forse perdesse tempo o si sviasse, lo mandarono in compagnia di Ieronimo Mazzuoli suo cugino, anch'egli putto e pittore, in Viadana, luogo del Duca di Mantoa, dove stando tutto il tempo che durò quella guerra, vi dipinse Francesco due tavole a tempera, una delle quali, dove è San Francesco che riceve le stimite e Santa Chiara, fu posta nella chiesa de' frati de' Zoccoli, e l'altra, nella quale è uno sposalizio di Santa Caterina, con molte figure, fu posta in S. Piero. Né creda niuno che queste siano opere da principiante e giovane, ma da maestro e vecchio. Finita la guerra e tornato Francesco col cugino a Parma, primamente finì alcuni quadri che alla sua partita aveva lasciati imperfetti, che sono appresso varie persone, e dopo fece in una tavola a olio la Nostra Donna col Figliuolo in collo, San Ieronimo da un lato e il beato Bernardino da Feltro nell'altro. E nella testa d'uno dei detti ritrasse il padrone della tavola tanto bene, che non gli manca se non lo spirito. E tutte quest'opere condusse inanzi che fusse di età d'anni dicianove. Dopo, venuto in desiderio di veder Roma, come quello che era in sull'acquistare e sentiva molto lodar l'opere de' maestri buoni, e particolarmente quelle di Raffaello e di Michelagnolo, disse l'animo e disiderio suo ai vecchi zii, ai quali parendo che non fusse cotal desiderio se non lodevole, dissero esser contenti, ma che sarebbe ben fatto che egli avesse portato seco qualche cosa di sua mano che gli facesse entratura a que' signori et agl'artefici della professione; il qual consiglio non dispiacendo a Francesco, fece tre quadri, due piccoli et uno assai grande, nel quale fece la Nostra Donna col Figliuolo in collo che toglie di grembo a un Angelo alcuni frutti et un vecchio con le braccia piene di peli, fatto con arte e giudizio e vagamente colorito. Oltra ciò, per investigare le sottigliezze dell'arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso, guardandosi in uno specchio da barbieri, di que' mezzo tondi. Nel che fare, vedendo quelle bizzarrie che fa la ritondità dello specchio, nel girare che fanno le travi de' palchi, che torcono e le porte e tutti gl'edifizi che sfuggono stranamente, gli venne voglia di contrafare per suo capriccio ogni cosa. Laonde, fatta fare una palla di legno al tornio, e quella divisa per farla mezza tonda e di grandezza simile allo specchio, in quella si mise con grande arte a contrafare tutto quello che vedeva nello specchio e particolarmente se stesso tanto simile al naturale, che non si potrebbero stimare, né credere. E perché tutte le cose che s'appressano allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono, vi fece una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio, tanto bella che pareva verissima; e perché Francesco era di bellissima aria et aveva il volto e l'aspetto grazioso molto e più tosto d'Angelo che d'uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina. Anzi gli successe così felicemente tutta quell'opera, che il vero non istava altrimenti che il dipinto, essendo in quella il lustro del vetro, ogni segno di riflessione, l'ombre et i lumi sì propri e veri, che più non si sarebbe potuto sperare da umano ingegno.
Finite queste opere, che furono non pure dai suo' vecchi tenute rare, ma da molti altri che s'intendevano dell'arte, stupende e maravigliose, et incassato i quadri et il ritratto, accompagnato da uno de' suoi zii, si condusse a Roma. Dove, avendo il datario veduti i quadri e stimatigli quello che erano, furono subito il giovane et il zio introdotti a papa Clemente, il quale vedute l'opere e Francesco così giovane, restò stupefatto e con esso tutta la corte. Appresso, Sua Santità , dopo avergli fatto molti favori, disse che voleva dare a dipignere a Francesco la sala de' pontefici, della quale aveva già fatto Giovanni da Udine di stucchi e di pitture tutte le volte. Così dunque, avendo donato Francesco i quadri al Papa et avute, oltre alle promesse, alcune cortesie e doni, stimolato dalla gloria, dalle lodi che si sentiva dare e dall'utile che poteva sperare da tanto pontefice, fece un bellissimo quadro d'una Circoncisione, del quale fu tenuta cosa rarissima la invenzione, per tre lumi fantastichi che a quella pittura, servivano perché le prime figure erano alluminate dalla vampa del volto di Cristo, le seconde ricevevano lume da certi che, portando doni al sacrifizio, caminavano per certe scale con torce accese in mano, e l'ultime erano scoperte et illuminate dall'aurora, che mostrava un leggiadrissimo paese con infiniti casamenti. Il quale quadro finito, lo donò al Papa, che non fece di questo come degl'altri, perché avendo donato il quadro di Nostra Donna a Ipolito cardinale de' Medici suo nipote, et il ritratto nello specchio a Messer Pietro Aretino poeta e suo servitore, e quello della Circoncisione ritenne per sé, e si stima che poi col tempo l'avesse l'imperatore; ma il ritratto dello specchio mi ricordo, io essendo giovinetto, aver veduto in Arezzo nelle case di esso Messer Pietro Aretino, dove era veduto dai forestieri, che per quella città passavano, come cosa rara. Questo capitò poi, non so come, alle mani di Valerio Vicentino intagliatore di cristallo, et oggi è appresso Alessandro Vittoria, scultore in Vinezia e creato di Iacopo Sansovino.
Ma tornando a Francesco, egli studiando in Roma volle vedere tutte le cose antiche e moderne, così di scultura come di pittura, che erano in quella città ; ma in somma venerazzione ebbe particolarmente quelle di Michelagnolo Buonarroti e di Raffaello da Urbino; lo spirito del qual Raffaello si diceva poi esser passato nel corpo di Francesco, per vedersi quel giovane nell'arte raro e ne' costumi gentile e grazioso, come fu Raffaello,...
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